Secondo Stefano Zamagni, docente di economia politica all’Università di Bologna è necessario ripensare al modello produttivo italiano per poter evitare situazioni come quella attuale

Vita green e sostenibilità ambientale: 7 miti da sfatare

Secondo le stime di numerosi economisti, oltre all’elevatissimo numero di vite umane provocato dal Coronavirus, anche l’economia italiana avrà seri rallentamenti. Basti pensare che soltanto negli ultimi 2 mesi Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna hanno subito danni per 114 miliardi di Euro. Guardando sull’intero anno si parla addirittura di un calo del PIL che potrà oscillare tra il 10 e il 15%. Numeri drammatici che non si registravano dalla Seconda Guerra Mondiale.

Ma come uscirne? Lo ha spiegato Stefano Zamagni, docente di economia politica all’Università di Bologna in occasione del Restart in Green Forum evidenziando due possibili soluzioni.

La prima si basa sul modello alluvione: dopo il disastro bisogna aspettare che l’acqua rientri nel proprio corso, sistemare e rafforzare gli argini straripati e successivamente continuare ad operare come avveniva prima della calamità. Questa rappresenta sicuramente la via più facile da percorrere ed è quella seguita dal Governo stando alle iniziative sin qui proposte come quelle basate sul sostegno al credito e all’erogazione di fondi.
La seconda strategia coincide invece con la resilienza trasformativa, che ha l’obiettivo di portare a resistere alle vulnerabilità attraverso l’introduzione di nuovi modelli. Un esempio di successo per l’attuale crisi può essere quello basato sullo sviluppo della Green Economy che, secondo il professore, ha la capacità di evitare in futuro il verificarsi di situazioni simili a quella che stiamo vivendo.

La pandemia attuale era stata prevista 10 anni fa e l’OMS aveva inviato diverse linee guida – purtroppo inascoltate – ai Governi consigliando loro di adottare le dovute precauzioni per fronteggiare una possibile situazione di emergenza. Le supposizioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità derivavano da studi sull’inquinamento, la deforestazione ed altri fattori capaci di facilitare la diffusione di Pandemie” ha spiegato Stefano Zamagni.

Nonostante le avvisaglie, i moniti degli ambientalisti e che l’’opinione pubblica parli da anni di creare un’economia green, nella pratica troppo poco è stato fatto. Forse qualcosa sta iniziando a muoversi: in questi giorni l’equivalente della Confindustria italiana in America sta infatti stilando un documento per introdurre un nuovo modello di produzione basato su soluzioni sempre più sostenibili. In Italia siamo ancora indietro: basti pensare che il primo dottorato sul tema della sostenibilità sarà avviato soltanto l’anno prossimo.

Ma cosa è quindi che frena l’adozione a pieno della Green Economy nonostante tutti siano d’accordo possa essere la soluzione giusta?

Secondo Zamagni il problema è legato alla mancanza della definizione del cosiddetto “sentiero della transizione” e di sistemi compensativi: durante il passaggio da una tecnologia ad un’altra inizialmente si avranno si dei costi con conseguenti benefici sul medio e lungo termine (il + in una ipotetica bilancia). Abbandonare invece una pratica che oggi funziona ma che non è sostenibile, causerebbe dei danni non compensati (il – della bilancia) portati dal nuovo modello introdotto con interi settori pronti a creare delle lobby come è già avvenuto in passato. Lobby che rappresentano il vero freno alla transizione verso un modello green perché loro perderebbero troppo senza la realizzazione di un sistema compensativo.

Esiste però una soluzione secondo il professore: “Servono tecnologi, ingegneri ed esperti di settore capaci di riuscire ad indirizzare il Paese verso la strada giusta: è opportuno creare un sistema Paese nel quale sostenibilità economica, sostenibilità sociale e sostenibilità ambientale vadano a braccetto” ha concluso Stefano Zamagni.