Emilia Garito di Quantum Leap riflette su come l’Europa può accelerare la competitività in questa ondata di innovazione.

Innovazione

Vi proponiamo, di seguito, un approfondimento sull’innovazione generata negli ultimi tempi in Italia e in Europa, di Emilia Garito, CEO di Quantum Leap, boutique di consulenza nel settore del Technology Transfer e Open Innovation.

Il tessuto economico e industriale globale negli ultimi decenni ha subìto profonde trasformazioni: la digitalizzazione e il progresso tecnologico hanno rivoluzionato i mercati, ridefinito i modelli di business e i rapporti tra imprese e consumatori, generando un’innovazione in termini di prodotti e servizi senza precedenti.

Un’innovazione questa che, tuttavia, rischia di rimanere un “virtuoso esercizio di stile” con poca probabilità di lasciare un impatto positivo e memorabile nel tempo – sicuramente per molte delle applicazioni digitali d’uso comune – poiché basato sulla logica del produrre ciò che la tecnologia consente di realizzare, piuttosto che ciò che serve per rispondere ai problemi concreti, in virtù del fatto che il progresso tecnologico non deve essere frenato mai.

Cambiano paradigmi e cambiano i business

Questo tipo di tendenza, tuttavia, inizia a scontrarsi con la necessità di porsi con urgenza il problema dei bisogni reali e di come trovare per essi delle soluzioni possibili. A causa dello sconvolgimento causato dal Covid, infatti, molte logiche produttive e finanziarie hanno iniziato a vedere l’inizio di un cambio di paradigma che pone attenzione all’uso e alla qualità del contenuto tecnologico di un prodotto innovativo, piuttosto che alla promessa di fare sì che lo stesso un giorno soddisfi nuovi bisogni, molto spesso indotti, creando una nuova cultura del prodotto.

Siamo nell’epoca di un ripensamento generale del capitalismo anni ‘90 che non ha altra scelta se non quella di superare il mito di Milton Friedman secondo il quale “il business è solo guadagno”. Stiamo andando, infatti, verso una direzione più inclusiva di un altro modo di concepire il business, dando a questo la responsabilità di creare un valore diffuso e godibile per l’intera società. Da qui il bisogno di individuare soluzioni, comprenderne il valore tecnologico, immaginarne un impatto positivo, condiviso e, per ultimo, di avviare un processo per trasformarle in innovazione utile.

La ricerca scientifica è il primo passo verso l’innovazione: il ruolo chiave del PNRR

Da dove partire in questo viaggio, considerando le specificità del nostro Paese? Dalla ricerca scientifica naturalmente, come è sempre stato in ogni paese tecnologicamente avanzato del mondo. E abbiamo tutte le competenze e le strutture necessarie per farlo. Ma se è vero che i ricercatori italiani si classificano ai primi posti per la produzione di letteratura scientifica, è altrettanto dimostrato che facciamo fatica a tradurre il frutto di questa ricerca in soluzioni tecnologiche e applicazioni industriali scalabili a livello mondiale. Il corto circuito si innesca all’interno dell’incomunicabilità tra centri di ricerca, imprese, istituzioni politiche e finanziarie che spesso operano separatamente e per differenti obiettivi all’interno della filiera dell’innovazione, con l’inevitabile conseguenza che le migliori innovazioni italiane faticano a scalare i mercati e, in alcuni casi, neanche vi approdano. In risposta a tale limite, tutto italiano, stiamo assistendo ad un fenomeno che si sta verificando per la prima volta, ovvero la creazione degli ecosistemi dell’innovazione, reali e non ipotetici. Grazie, infatti, al PNRR sono stati avviati progetti di creazione di organismi, tipo fondazioni, e di soggetti tutti correlati che solo insieme potranno accelerare la creazione dell’offerta tecnologica italiana.

Creare un ecosistema dell’innovazione per una maturazione dell’Identità Tecnologica Europea

Naturalmente, tutto ciò è anche il frutto di un’azione più ampia già avvenuta a livello Europeo che ha come obiettivo la formazione di strutture solide e di filiere brevi per la creazione di eccellenze tecnologiche europee, atte a consentire all’Europa di costruire quella leadership tecnologica sempre più necessaria all’equilibrio politico ed economico globale che, senza il giusto peso europeo, abbiamo già visto non essere possibile. Proprio per questo, missione politica e missione industriale stanno già necessariamente convergendo verso un obiettivo comune, creando le strutture, gli strumenti e i processi per accelerare la capacità europea di produrre e valorizzare soluzioni tecnologiche proprie, ma globalmente strategiche.

Tale obiettivo, che chiamerei di maturazione di una nuova Identità Tecnologica Europea, è possibile solo attraverso la creazione di un Ecosistema Europeo dell’Innovazione, basato sulle eccellenze scientifiche e tecnologiche di tutte le nazioni europee. In questa visione, i diversi stakeholder degli ecosistemi dell’innovazione nei diversi Paesi membri, ovvero università, centri di ricerca, startup con i loro incubatori e acceleratori, industrie e venture builders, e ancora venture capital e banche, devono essere pronti a creare sinergie sia al loro interno che al loro esterno. Solo operando in maniera sempre più interconnessa, infatti, si potranno accelerare i tempi per la creazione dell’Innovazione europea, che passa inevitabilmente per tre vie principali: la cultura, gli strumenti e i modelli di sviluppo dell’innovazione.

Qual è il ruolo dell’Italia?

In questa visione europea anche l’Italia è chiamata a fare la sua parte e ha di fronte una sfida possibile, da vincere ad ogni costo per poter avere un ruolo nella costruzione della sovranità tecnologica europea. Ma per vincere questa sfida è evidente come anche i centri di ricerca italiani, con i loro spin off, e le startup innovative ad alto contenuto tecnologico abbiano la responsabilità delicata e strategica di orientare il progresso verso la soddisfazione di bisogni reali e, in tale missione, si configureranno sempre di più come “fornitori di know how” necessario alle aziende, sia italiane che europee, per poter creare nuovi prodotti e servizi da scalare sui mercati mondiali.

Ma torniamo alle tre vie da percorrere per creare la nuova identità tecnologica europea, e ancora prima quella italiana.

La nuova cultura dell’innovazione per l’Italia

Così come è necessario per le grandi imprese un cambio di paradigma, che le renda più inclusive delle soluzioni tecnologiche esterne ad esse, allo stesso modo è importante che i centri di ricerca pubblica capiscano l’importanza della loro missione: ovvero, la produzione di tecnologie abilitanti che risolvano problemi reali generando, al contempo, profitti.

Solo attraverso un cambio di mentalità in tal senso sarà possibile sviluppare modelli di Open Innovation che siano davvero utili e attuabili. La trasformazione culturale è necessaria anche nel modo in cui i diversi stakeholders dell’innovazione guardano al mondo delle startup e mi riferisco, soprattutto, alle grandi industrie e ai fondi di venture capital. Sono sempre più convinta che sia necessario sostituire il termine “startup” con quello più nobile e tradizionale di “piccola impresa”, che all’interno contiene quella importante parola che è “impresa”.

Soprattutto nei settori del Deep Tech (settore in cui aziende e startup usano tecnologie ad alto impatto fondate su scoperte scientifiche o innovazioni ingegneristiche) è, infatti, poco sostenibile investire in giovani imprese – le startup di prima – con l’idea che debbano in minima parte essere in grado di fare la cosiddetta exit (vendita sul mercato a cifre con moltiplicatore milionario) in soli 3 anni, come da tipica pratica dei fondi di venture capital della Silicon Valley, il cui ecosistema finanziario ha consentito questi risultati nei decenni passati. In Europa – ma anche negli Stati Uniti se guardiamo ai dati circa la recente decrescita degli investimenti in startup proprio da parte dei venture capital che nel 2022 ha registrato -37% (dato CbInsights gennaio 2023) – questo modello è ormai non credibile e via via sostituito dall’idea e, fortunatamente, da modelli di fondi di investimento che al contrario puntano a fare crescere tutte – o quasi – le piccole imprese investite, considerandole vere e proprie imprese, piuttosto che meri prodotti finanziari. Solo così, con i tempi giusti, queste realtà, che oggi chiamiamo ancora startup, potranno trasformarsi prima da piccole a medie imprese per poi diventare, in seguito, le grandi imprese tecnologiche del futuro.

Si deve investire sulle piccole imprese

Se continueremo, però, ad applicare per queste aziende del futuro il modello della selezione naturale della specie, nella ricerca ossessiva dell’unicorno a scapito di quelle meno rapide nello scaleup, distruggeremo la possibilità di rigenerare il modello di ecosistema industriale più solido e produttivo della nostra storia italiana, ovvero quello delle piccole aziende che inventano e crescono e, alla fine, si consolidano producendo la vera ricchezza. Di fatto, secondo i dati del Family Firm Institute, le aziende familiari rappresentano i due terzi di tutte le imprese del mondo, generano circa il 70-90% del PIL globale annuo e creano il 50-80% dei posti di lavoro nella maggior parte dei Paesi del mondo. In Italia le cifre sono ancora maggiori, infatti le imprese alla terza generazione familiare rappresentano nuovamente i due terzi delle imprese italiane e contribuiscono per il 60% alla produzione del PIL, garantendo il 70% dei posti di lavoro a livello nazionale (fonte Family Business Study 2019 – Russell Reynolds Associates). Dati, questi, che ci fanno correre a creare, ancora adesso, un ecosistema italiano forte delle piccole imprese di oggi che saranno il futuro per l’economia nazionale e mondiale del domani.

Dunque, la cultura e la visione sono fondamentali per la sfida che abbiamo davanti e la nuova cultura dell’Innovazione del futuro non può fare altro che conciliare, in tempi rapidi, gli obiettivi di creazione di valore da parte dei diversi stakeholders, se da una parte la ricerca punta a creare un valore tecnologico di alto impatto e svincolato dal business, la risposta da parte delle aziende deve essere quella di accogliere l’offerta scientifica e veicolarla verso una produzione remunerativa, ma utile all’intera società.

Al contempo, la finanza, sempre più bisognosa di costruire un capitalismo etico, deve certamente continuare a perseguire gli obiettivi di moltiplicazione del valore investito, ma abilitando – al contempo – la possibilità di differenziare la mappa produttiva globale. Questo è possibile coniugando gli obiettivi di profitto con quelli di creazione di un nuovo impianto produttivo industriale composto da piccole, medie e grandi imprese tecnologicamente avanzate, quali strumenti strategici e irrinunciabili per lo sviluppo di ciascun paese europeo, e quindi anche dell’Italia.

Gli strumenti dell’innovazione

Il Trasferimento Tecnologico (TT) è uno degli strumenti più efficaci per accelerare il processo di creazione dell’Innovazione. Il ponte dalla Ricerca all’impresa – sviluppato mediante strumenti di TT – consente di avvicinare le prospettive degli uni e degli altri e di creare un mix di competenze efficace e competitivo. È necessario, però, ridurne i tempi, sviluppando processi di accelerazione del TT, attraverso la creazione e la valorizzazione della proprietà intellettuale. Rafforzare la proprietà intellettuale, proteggere il know how, consente alle PMI (Piccole Medie Imprese) di arrivare anche a definire delle collaborazioni, in Italia e all’estero, basate sull’approccio della valorizzazione. A tal proposito uno degli strumenti validati nei progetti di Open Innovation è l’IP Lifecycle Management, che consente di prendere le misure più idonee per ottenere l’atteso vantaggio competitivo della soluzione tecnologica in fase sviluppo, rispetto allo stato dell’arte della stessa e in ogni fase di crescita del progetto.

In conclusione

Bisogna immaginare l’ecosistema globale europeo come una sorta di “grande blockchain” in cui ciascuno membro è collegato alla rete attraverso la quale dialoga e collabora con gli altri soggetti – i nodi vitali di tale rete – mentre tutti insieme sono a conoscenza del contenuto del lavoro di ciascuno, ma ne rispettano l’originalità e la proprietà. Sempre insieme possono costruire conoscenza e ottenere il consenso su una qualsiasi scelta, necessariamente condivisa in quanto impattante su tutti, e insieme operano secondo i principi noti della blockchain: trasparenza, verificabilità, autonomia, consenso e trasferibilità. Quest’ultima è attuabile grazie agli strumenti del modello ecosistemico, quali il trasferimento tecnologico, e ai processi di creazione del valore abilitati da un necessario e rapido cambio culturale. Ma chi potrà rendere funzionante ed efficace tale blockchain? Saranno coloro i quali creeranno una nuova cultura, scopriranno quali saranno i veri problemi da risolvere, inventeranno per essi delle nuove soluzioni e le svilupperanno attraverso processi strutturati; quindi, sto parlando necessariamente dei giovani imprenditori di oggi che saranno i grandi industriali di domani. A loro dobbiamo pensare e per loro dobbiamo creare un modello efficace di Trasferimento Tecnologico e valorizzazione della conoscenza del quale tutti gli stakeholder devono essere parte attiva, animati dalla stessa visione e missione: quella di creare la nuova Identità Tecnologica Europea a garanzia dell’equilibrio economico e politico della società globale.

di Emilia Garito, CEO di Quantum Leap