Alla macchine mancherà sempre la curiosità e lo spirito d’innovazione

Customer Experience: l'impatto dell'intelligenza artificiale

Secondo recenti studi IDC, le imprese di tutto il mondo effettueranno investimenti che raggiungeranno i 47 miliardi di dollari nelle tecnologie di Intelligenza Artificiale e McKinsey, analizzando tutti i settori produttivi, ha evidenziato benefici tra i 3500 e i 5800 miliardi di dollari come valore aggiunto portato dalle tecnologie di AI.

Cifre queste senza dubbio molto considerevoli a testimonianza di un fenomeno in netta espansione che porterà profondi cambiamenti nel modo di fare business e nella vita delle persone, grazie al loro utilizzo pervasivo in relazione alla crescita dell’Internet of Things.

Intelligenza artificiale e Internet of Things sono oggi mente e corpo di una straordinaria mutazione che sta cambiando la nostra vita, rappresentazione di un empowerment che è espressione dell’inarrestabile percorso dell’uomo verso nuove evoluzioni. Un ambito collaborativo inedito tra uomo e macchina dove solo il pensiero umano consapevole dietro e insieme all’intelligenza artificiale renderà possibile qualcosa di straordinario” ha dichiarato Marco Icardi, CEO di SAS Italia in occasione del SAS Forum 2018 che ha visto la presenza di oltre 2500 partecipanti.

Grazie all’AI è possibile infatti creare macchine che possono imparare, capire e valutare in base alla informazioni che gli vengono fornite: estraggono le caratteristiche importanti dai dati, determinano un metodo di analisi e producono un riscontro intelligente attraverso un processo automatizzato, il tutto con una minima ma fondamentale influenza umana.

Ma quindi la macchina può essere considerata come un uomo? No! Le macchine non sono realmente intelligenti, non hanno il pensiero creativo e non hanno un’indole che le spinga autonomamente verso l’innovazione, ma soprattutto non hanno la curiosità. E’ per questo che alla base della rivoluzione in cui l’intelligenza artificiale diventa protagonista, ci sarà sempre l’uomo.

L’idea, invece, che macchine e umani si equivalgano è molto diffusa: non a caso infatti, una delle preoccupazioni maggiori per chiunque senta parlare di intelligenza è il pensiero della possibile perdita di numerosi posti di lavoro, con la convinzione che le macchine presto rimpiazzeranno in tutto l’uomo.

Si tratta di una credenza errata: alcune mansioni, tipicamente le operazioni altamente ripetitive, saranno sì svolte dalle macchine che sostituiranno l’uomo, il qualche però svolgerà altri nuovi lavori – ha spiegato Marco Icardi portando alla platea un esempio molto significativo. – Il lavoro umano non viene eliminato, ma si trasforma. Basti solo pensare alle persone che molti anni fa si occupavano dell’accensione e spegnimento delle luci a gas o ad olio nelle strade delle città: l’arrivo della corrente elettrica ha eliminato quel tipo di operazioni, ma sicuramente ha aperto maggiori opportunità. E lo stesso avverrà con l’Intelligenza artificiale”.

Si formeranno infatti 4 grandi categorie di nuovi impeghi: trainer (programmeranno, realizzeranno gli algoritmi e insegneranno alle macchine), translator (trasformeranno il linguaggio umano in quello della macchina), explainer (spigheranno ai vertici aziendali le implicazioni, vantaggi e limiti dell’AI) e sustainers (valutano e controllano l’impatto delle tecnologie di AI).

Nuove figure professionali quelle che nasceranno quindi, di cui però il mercato è già carente, così come avviene per gli altri specializzati ICT: l’Osservatorio sulle competenze digitali ha stimato che tra il 2016 e il 2018 sono stati richiesti 85mila professionisti ICT (di cui 20mila di lavoratori da riformare), un quantitativo non “copribile” dalle università che sfornano 8mila laureati nel settore l’anno.

Il problema non è quindi la perdita di lavoro a seguito dell’avvento dell’intelligenza artificiale, ma la mancanza di competenze che devono essere subito colmate per permettere alle organizzazioni di trovare i profili giusti ed avviare con successo il loro processo di digital transformation.

Il rischio maggiore portato dall’intelligenza artificiale è quello di non riuscirne a comprendere a pieno il suo funzionamento e non poterne sfruttare i benefici, a causa della mancanza di risorse interne, capaci di poter valorizzare i nuovi sistemi” ha spiegato Marco Icardi.

Ma questo non è tutto: essendo l’intelligenza artificiale una tecnologia relativamente nuova, siamo ancora in una sua fase embrionale e presenta alcuni limiti.

Innanzitutto bisogna considerare la velocità di apprendimento delle macchine: per l’uomo, ad esempio, imparare ad identificare un gatto è molto rapido, mentre una macchina deve vedere centinaia di casi possibili. E lo stesso vale anche per l’adattamento ai cambiamenti del contesto in cui ci si trova: l’AI è ancora troppo spesso legata ad un determinato concetto circoscritto. Si parla infatti di Intelligenza Artificiale Narrow (specifica), la quale già oggi garantisce comunque interessanti benefici. Più difficile è invece sviluppare un concetto di intelligenza artificiale generale dove le macchine possono scegliere tra tante opzioni, spiegarne il perché ed adattarsi a seconda della modifica di infinite variabili” ha spiegato Marco Zorzi, professore di psicologia e intelligenza artificiale dell’Università di Padova.

È pertanto opportuno per le aziende continuare ad investire in innovazione perché soltanto chi lo farà riuscirà ad ottenere un vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza. E nel farlo si deve mantenere sempre viva la curiosità.

“Pensate a cose straordinarie: saranno loro a farvi volare e portarvi più in alto” ha concluso Marco Icardi, citando Peter Pan.