La difficoltà per le start-up è ora doppia per loro, perché non hanno un mercato consolidato a cui attingere in questa fase di blocco totale.

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La situazione che stiamo vivendo ha pochi precedenti a livello globale. In poche settimane, pochi giorni, a volte poche ore, i governi si sono trovati a prendere decisioni radicali, drastiche, con l’obiettivo di generare un impatto positivo il più possibile rapido, a livello sanitario ma anche economico. Man mano che le misure adottate fanno il loro effetto, è ora di pensare al domani. In quest’ottica sono numerose le iniziative proposte, a livello nazionale e locale, che prevedono incentivi alle aziende, così duramente colpite in queste ultime settimane.
Un tema però sembra essere rimasto fuori dalla discussione generale, ed è quello delle start-up. Lo ha sollevato recentemente Riccardo Luna su Repubblica, e non posso fare a meno di unirmi allo stesso appello. Il mondo di oggi è sempre più guidato dall’innovazione, e le cosiddette start-up sono spesso e volentieri il motore di questa innovazione.

Senza contare che le start-up di successo crescono e diventano grandi leader di mercato. Le prime cinque aziende al mondo per capitalizzazione sul mercato non esistevano solo trent’anni fa. Sono nate da un’idea, un’intuizione, hanno avuto la forza e la capacità di crescere e ora guidano il loro settore. In qualche caso hanno sovvertito equilibri consolidati, in altri sono state in grado di intercettare nuovi bisogni e di creare de facto nuovi mercati.

Nella loro prima fase, le startup sono per natura fragili. Operano ma non fatturano, o comunque sono lontane dall’essere profittevoli. Per questo esistono iniziative, più spesso private che pubbliche, che le supportano per stimolarne la crescita, proprio perché sono le idee di oggi che possono plasmare il futuro di domani.

In Italia le start-up hanno sempre avuto vita dura. Perché siamo il paese della burocrazia e delle abitudini, e anche il supporto pubblico è sempre stato limitato, almeno rispetto ad altri paesi. Nonostante questo, sono 11.000 le start-up attualmente registrate nel nostro paese che, come tutte le altre realtà del mercato, stanno vivendo momenti di difficoltà.

La difficoltà per loro è doppia, perché non hanno un mercato consolidato a cui attingere in questa fase di blocco totale.

Per questo è importante che i vari provvedimenti, quelli che sono stati già annunciati e quelli che verranno presentati in futuro, tengano conto anche di questa categoria di imprese, che in molti casi oggi non genera profitto ma che potrebbe farlo a breve. Altri paesi l’hanno già fatto, Francia e Stati Uniti in particolare stanno studiando un piano dedicato a sostenere le start-up in questa difficile fase, proprio come le altre realtà del tessuto produttivo. In Italia, la discussione tra soggetti pubblici e privati è ancora all’inizio, ma il rischio concreto è quello di perdere tempo prezioso, tanto più prezioso per la intrinseca fragilità delle start-up.

Si tratta di realtà che giocano un ruolo importante nell’economia di un paese contribuendo a delinearla in ottica futura. Un paese che non investe sulle start-up non investe nell’innovazione, quella stessa innovazione che a lungo termine porta benefici a tutti i livelli del sistema. E per questo, soprattutto in questa fase, è necessario non dimenticarci di questa categoria di imprese.

Ricordiamoci inoltre che quando parliamo di start-up parliamo di persone, persone di talento che hanno attirato persone di talento, abbiamo la responsabilità di ricordarlo quando parliamo di questo per non dimenticare mai che è il talento e l’imprenditorialità che hanno reso la nostra nazione forte dopo ogni grande crisi.

Da questa esperienza rinasceremo, non possono esserci dubbi. Ma rinasceremo in modo tanto più rapido ed efficace quanto più sapremo supportare chi oggi sta investendo nell’innovazione, con l’obiettivo di aiutare il paese a guardare avanti.

Marco Fanizzi, VP and GM EMEA, Commvault