Giovanni Meda, fondatore di Kooomo, spiega come le PMI italiane devono superare il gap di cultura digitale per affermarsi nell’ ecommerce crossborder.

Ecommerce crossborder

Se il 2020 ha conosciuto una flessione del commercio tradizionale rispetto al 2019, il vero trend propulsivo è stato quello dell’ ecommerce che, complici anche le restrizioni dovute alla pandemia, lo scorso anno ha chiuso nel complesso con un +29,2%. Un fenomeno che ha coinvolto anche le PMI, dando ad alcune tra esse l’ occasione di compiere i primi passi nell’ ecommerce crossborder.
È stato stimato, un aumento del 50% delle PMI attive con propri canali di ecommerce: oggi sono più di 70.000 le aziende che dispongono di mezzi per il commercio elettronico, più o meno un terzo dell’intero comparto delle piccole e medie imprese. Secondo l’ Istituto per la competitività, le PMI che vendono online mostrano una probabilità dell’ 84% in più di ottenere fatturati maggiori. Inoltre, immaginando che le PMI italiane che fanno ecommerce raggiungano quota 32%, si stima che il loro fatturato medio potrebbe aumentare di circa 2,5 miliardi di euro.

A crescere con il commercio online è anche e soprattutto l’ export realizzato grazie ai canali digitali” dice Giovanni Meda, fondatore e chief strategy officer di Kooomo, la piattaforma di ultima generazione che aiuta i brand a vendere online e affermarsi in ambito di ecommerce crossborder. E infatti numerose indagini sono concordi nel rilevare un aumento delle esportazioni verso l’ estero di quasi il 40%. Un aumento in volume che però non si traduce immediatamente in una crescita rilevante di fatturato: secondo un’ indagine del Politecnico di Milano, il 56% degli imprenditori sostiene che l’ export legato ai canali digitali produce una quota ancora marginale del fatturato realizzato all’ estero.

Una bella spinta – commenta Giovanni Medache però per diventare davvero redditizia deve essere sostenuta da una gestione professionale dei canali di vendita digitale”.  Il manager prosegue: “Basti pensare che ancora oggi una delle prime cause di mancata finalizzazione di un acquisto online è l’assenza della propria valuta fra quelle presenti per la transazione. Sembra una sciocchezza ma non lo è, muoversi su un mercato senza essere preparati getta in fumo investimenti e abbassa drasticamente le possibilità di generare fatturato”. Preparazione e cultura digitale quindi sono le leve che possono far decollare il nostro Made in Italy online e nell’ ecommerce crossborder.

Ma quali sono le caratteristiche tecniche che permettono a un ecommerce di internazionalizzarsi?

La regola d’ oro è essere pronti, non esiste ecommerce crossborder se non pensiamo prima che il nostro store digitale deve avere necessariamente 3 funzioni: essere multilingua – non solo usabilità, ma comprensibilità delle descrizioni dei prodotti, delle regole di reso e rimborsi, rendono più sicuro l’ambiente per il consumatore digitale – contemplare tutti i sistemi di tassazione – importantissimo soprattutto per vendere ad esempio negli Stati Uniti e in paesi con norme commerciali molto diverse dalle nostre – e ovviamente essere multivaluta – non è solo questione di praticità ma soprattutto di sicurezza per gli utenti che sentono di essere garantiti”.

Ma non è tutto. Se l’Italia pur avendo know how e prodotti di eccellenza, si pensi a settori come moda e agroalimentare, ancora stenta a vincere la sfida dell’ ecommerce crossborder è perché il nostro paese sconta un importante gap di cultura digitale:

La pandemia sotto il profilo della digitalizzazione ha fatto compiere al paese in un solo anno un salto di 5 anni”, prosegue Giovanni Meda.Ma oggi è necessario mettere a sistema questa accelerazione”.

E secondo il manager dell’ ecommerce ecco quali sono i passi da compiere:

Pensare all’ ecommerce come una filiera: tecnologie, logistica, delivery, dobbiamo creare campioni europei, lavorare in collaborazione non in competizione, evitare l’ omologazione con i grandi player globali, che sono sicuramente i grandi sfidanti, ma per un terreno segmentato come l’Europa, conviene giocare sulla specificità dei territori e delle nicchie di mercato. Infine è necessario un approccio che privilegi ricerca e sviluppo: il settore è nuovo, ha potenzialità inesplorate, siamo appena all’inizio e ci vuole elasticità nell’ affrontare nuovi progetti”.