Il Governo di Pechino cerca di limitare l’uso dei Bitcoin ed i miner scelgono di operare sui mercati americani

Il Governo cinese frena e gli investitori fuggono in America

La decisione del Governo cinese che, attraverso la propria banca Centrale, ha imposto agli istituti finanziari di “non favorire i clienti nelle transazioni in Bitcoin e altre valute virtuali” ha avuto un effetto decisamente negativo sul mercato delle criptovalute. L’effetto, inoltre, è stato ampliato dal fatto che lo stesso invito è stato rivolto anche alle piattaforme di pagamento online, oltre che al gigante Alibaba, sempre in aperta competizione con l’altro colosso delle vendite: Amazon.

In poche ore i Bitcoin hanno così ripreso a scendere, attivando martedì 22 giugno a quota 31.400 dollari. Un valore molto vicino alla soglia psicologica dei 30mila euro, che potrebbe indure un’ulteriore spinta al ribasso. Una condizione che ha trascinato verso il basso anche le altre criptovalute, suscitando una certa apprensione tra gli investitori.

Ufficialmente, infatti, la Cina ha giustificato questa scelta adducendo ragioni ambientaliste. Infatti per produrre (o come si dice in gergo, estrarre) Bitcoin sono necessari sistemi di elaborazione che assorbono enormi quantità di energia elettrica, con immancabili ripercussioni sull’ambiente quanto l’’energia non viene prodotta da fonti rinnovabili.

In realtà, però, sulla decisione del governo di Pechino pesa, sicuramente, anche la scelta di promuovere una versione elettronica dello yuan, la moneta cinese. Cercare di limitare la diffusione dei Bitcoin, quindi, potrebbe essere una mossa per favorire la propria criptovaluta.

Oltre ai divieti espliciti, inoltre, le principali banche cinesi invitano espressamente i propri clienti a limitare l’uso delle criptovalute, sottolineando con enfasi tutti i possibili aspetti negativi che, oltre agli aspetti ambientali, toccano anche la stabilità del Paese e l’uso improprio da parte delle organizzazioni criminali.

Ma è davvero la fine?

Eppure questa situazione non sembra preoccupare più di tanto gli esperti di settore che, già in passato, hanno affrontato e superato simili deprezzamenti. Del resto le criptovalute ci hanno abituati a improvvisi rimbalzi anche dopo periodi di apparente crisi. E, soprattutto gli investitori più accorti scelgono proprio i momenti di flessione per effettuare gli investimenti a maggior rendimento come su Bitcoin Code. Ed è proprio la volatilità uno degli aspetti che maggiormente preoccupa gli istituti finanziari, poco propensi ad affrontare e gestire mercati poco prevedibili e che, quindi, richiedono un’estrema rapidità di scelta da parte degli investitori.

I cinesi scelgono l’America

A fronte delle forti pressioni esercitate dal Governo di Pechino, il primo effetto è stato un deprezzamento della criptovaluta. Ma, immediatamente dopo, è seguita la reazione dei principali miner cinesi, che hanno scelto di abbandonare le operazioni sul proprio territorio, per orientare gli investimenti in altri Paesi. Complice l’impossibilità di limitare una serie di operazioni in rete, i miner cinesi hanno così iniziato ad operare con le banche dei peggiori nemici dei proprio Paese, ovvero gli istituti di credito americani. Improvvisi aumenti di transazioni provenienti dal Sud Est asiatico si sono così registrate in Canada, ma anche sul territorio degli Stati Uniti, con una particolare predilezione per il South Dakota ed il Texas.