Una sentenza stabilisce una multa salata all’impresa che non ha preso tutte le misure idonee necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro

Come reagireste se scorgeste una telecamera nascosta che vi osserva mentre siete seduti sul water della toilette dell’azienda in cui lavorate? Può sembrare una scena da commedia in stile anni ’80, ma è quanto veramente accaduto a quattro dipendenti di un’azienda toscana che, insospettite dal comportamento del figlio dei titolari, hanno ispezionato i bagni scoprendo una webcam appostata su un soppalco che puntava proprio sui wc, riprendendole e registrandole nell’intimità dei loro bisogni fisiologici.

Se a spingere l’uomo a spiare le lavoratrici fino a tal punto fosse stata la smania di controllare se queste utilizzassero davvero le pause per i propri bisogni, oppure qualche altra morbosa tendenza voyeurista, non è del tutto chiaro, fatto sta che nel suo pc è stato trovato un archivio contenente i video delle donne in bagno, e per questo le dirette interessate non hanno indugiato e hanno sporto denuncia alle autorità.

Data l’evidenza dei fatti, in primo grado il giudice penale ha condannato l’autore della bravata a un anno e sei mesi di reclusione con il pagamento effettivo di una provvisionale di 10mila euro a ciascuna delle dipendenti ai sensi dell’art.615 bis del Codice Penale, che punisce “chiunque, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata” di una persona.

Ma la scure pecuniaria della giustizia si è abbattuta successivamente sull’azienda, quando il giudice del lavoro, constatando l’ampia dimostrazione del danno morale subìto dalle donne, ha disposto il pagamento di un risarcimento in favore delle quattro donne di 105mila euro per non aver adottato “tutte le misure idonee necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”, secondo quanto richiesto dell’art.2087 del Codice Civile.

Anche se negli ultimi tempi abbiamo spesso sentito dire dai mass media che la privacy dei lavoratori è stata superata con il Jobs Act, ed è pur vero che qualche concessione in più le aziende l’hanno ottenuta, in realtà certi comportamenti che ledono la sfera privata erano e sono tuttora reati puniti dal Codice Penale, cosiccome sono rimasti inalterati tutti i diritti riconosciuti all’individuo dal Codice della Privacy.

Articolo di Nicola Bernardi, presidente di Federprivacy