Più del 54% del budget welfare dei lavoratori viene convertito in voucher a integrazione del proprio reddito

Welfare

In occasione della prima tavola rotonda Unica Welfare Conference 2024, organizzata da AmedeA welfare operation center in collaborazione con Aiwa – Associazione Italiana Welfare Aziendale e Percorsi di Secondo Welfare, è stato presentato il primo osservatorio AmedeA, un’indagine dello scenario attuale e delle prospettive di sviluppo future del welfare aziendale, realizzata insieme a Secondo Welfare, laboratorio di ricerca e informazione dell’Università degli Studi di Milano che studia e racconta come cambia il welfare italiano.

Il bacino di lavoratrici coinvolti nell’osservatorio, per cui AmedeA gestisce le pratiche in Italia è pari a oltre 230mila per 1000 aziende di diversa tipologia e dimensione (24,2% di aziende da 0 a 9 dipendenti; 31,61% di aziende da 10 a 49 dipendenti; il 30,61% di aziende da 50 a 249 dipendenti e il 13,57% di imprese con oltre 250 dipendenti).

Da questa prima edizione dell’osservatorio AmedeA emerge, innanzitutto, come l’introduzione di piani welfare riguardi ancora principalmente le medie e grandi imprese se valutate in numero complessivo, benché le micro e piccole li stiano gradualmente introducendo. I motivi che spingono verso una sempre maggiore diffusione del welfare aziendale sono diversi:  dalla necessità di attrazione dei talenti e al loro trattenimento in azienda con vantaggi sull’engagement e l’incremento di fatturato (fonte Corporate Welfare Lab di Bocconi SDA); al loro utilizzo quale forma di retribuzione fiscalmente agevolata, visto che in Italia gli stipendi tendono a non crescere (con un aumento del 1% tra il 1991 e il 2023 secondo il rapporto Inapp 2023). Altro motivo è l’avvio dell’introduzione della normativa europea ESG (Environmental, Social, Governance* – approfondimenti in calce) a cui imprese grandi e piccole dovranno adeguarsi per rispettare i principi di sostenibilità. 

Il successo dei fringe benefit e la necessità di immediata monetizzazione. I fringe benefit, compensi che si aggiungono al netto in busta paga concretizzati in beni e servizi, sono la soluzione più apprezzata dai dipendenti perché possono concorrere a coprire delle spese vive e non sono oggetto di tassazione. Rappresentano una soluzione interessante anche per i datori di lavoro perché, sui fringe benefit, non pagano i contributi. Dai dati dell’osservatorio Amedea emerge una riflessione interessante: i lavoratori desiderano monetizzare nell’immediato i fondi welfare, infatti più del 54% dei budget messo a disposizione viene convertito subito in voucher fringe benefit, fruibili in maniera più estesa rispetto alle tipologie di spesa previste nel perimetro del welfare (per esempio rimborsi o fondi sanitari). I voucher diventano così un equivalente di liquidità spendibile su piattaforme di spesa online, buoni pasto e catene di GDO. Nello specifico, viene registrato un incremento dell’uso dei buoni pasto, avvenuto in seguito a un innalzamento del quantitativo utilizzabile (legge di bilancio del 2019) e della sua deducibilità, oltre che al progressivo affermarsi dello smart working in seguito alla pandemia. La percentuale di utilizzo da parte dei lavoratori, per quanto riguarda gli altri servizi, è la seguente: 16% servizi presso strutture convenzionate, 23% servizi di natura rimborsuale, e 7% previdenza e casse sanitarie.

Servizi rimborsabili: bollette e affitti sono i rimborsi più richiesti. Analizzando le pratiche rimborsabili (più di 200.000 l’anno), la ricerca AmedeA conferma: bollette e affitti risultano la voce più richiesta nel 2024, passando dal 9,85% del 2023 al 24,71%; soprattutto in seguito ai rincari dovuti alla crisi energetica, a discapito delle spese per scuola e istruzione che hanno subito una riduzione di preferenze tra il 2023 (73,31%) e il 2024 (57,05%). I servizi che incidono di più a livello dei costi riguardano il baby sitting e la cura e l’assistenza ai propri cari (oltre i 600 euro), seguiti dall’assistenza domiciliare (479 euro); mentre le spese per le bollette si sono ridotte dal 2023 al 2024, tornando ai livelli pre-crisi da 345 euro a 266 euro; -23%). Inoltre, oltre a essere i più diffusi a livello numerico, i rimborsi riguardanti la scuola e l’istruzione dei figli sono quelli per cui la spesa media è più elevata: poco più di 400 euro per ogni singolo rimborso.

Dall’osservatorio emerge in generale un riscontro positivo in materia di conoscenza del welfare aziendale da parte dei lavoratori. Stando ai dati di AmedeA, infatti, la richiesta di integrazione delle pratiche presentate al rimborso per documentazione errata o incompleta realizzata dal dipendente è diminuita allo 0,85% nel 2024, contro un 4,16% del 2023.