Dopo l’annuncio di Google prendono slancio approcci come quello studiato da Ogury, che concilia le esigenze dei marketer con quelle del rispetto della privacy degli utenti

Blocco dei cookie

Google ha deciso, contrariamente a quanto aveva precedentemente annunciato, di rinunciare all’eliminazione completa degli identificatori di terze parti: questo significa che non eliminerà i cookie di terze parti su Chrome, lasciando di fatto la responsabilità agli utilizzatori. Numerose ricerche attestano però il dato che gli utenti, se possono scegliere, decidono di non essere tracciati e se si somma questo alla sempre maggiore pervasività dei regolamenti internazionali a tutela della privacy, come il GDPR, diventa semplice capire che oggi i marketer hanno bisogno di alternative.

Ogury propone un approccio basato sugli Zero Party Data, che diventano gli elementi chiave per una pubblicità rispettosa della privacy. Ogury punta, infatti, tutto sul Personified Advertising grazie alla sua tecnologia rivoluzionaria che si rivolge alle personas, piuttosto che alle identità degli utenti, e si concentra sulle piattaforme in cui gli individui consumano i contenuti, invece che sui singoli utenti, nel pieno rispetto della loro privacy ma con risultati precisi che garantiscono il successo delle campagne.

Abbiamo approfondito questa tematica con Marcello Gruppo, Senior Insights Director Southern Europe di Ogury, che esordisce:

“Dal punto di vista della possibilità di tracciamento la scelta definitiva di Google si presenta come più formale che sostanziale. L’esito finale, infatti, non cambierà poiché Google sceglie di lasciare la decisione in mano agli utenti. A questo proposito abbiamo già esperienza, e lo dicono molte ricerche, che gli utenti, nel momento in cui possono decidere veramente, decidono di non essere tracciati, soprattutto se questo può essere fatto all’insegna della semplicità.

Ci aspettiamo che non ci sarà un grande cambiamento in termini di potenzialità del tracciamento, grazie al fatto che gli utenti diventano più consapevoli e anche per una serie di motivi legislativi, come il GDPR, che ha rappresentato il primo passo verso una maggiore tutela della privacy e dei dati, cui si stanno aggiungendo pian piano nuovi regolamenti anche a livello internazionale”.

In cosa consiste il modello basato sul consenso, che Google offre come alternativa?

“Come accennavo prima si tratta più di un cambiamento di forma che di sostanza perché la deprecazione dei cookie, come l’aveva inizialmente pensata Google, consiste in un cambio infrastrutturale che inevitabilmente va a penalizzare il mercato perché porta con sé lo scardinamento di logiche e infrastrutture su cui si basavano e si basano tante tecnologie non proprietarie di Google.

Google, con la posizione dominante nel mondo dei browser di Chrome, se avesse cambiato l’infrastruttura dello strumento più utilizzato sarebbe andato incontro a una violazione delle norme Antitrust. Quindi formalmente ha dovuto cambiare approccio lasciando la decisione in mano agli utenti. Il risultato atteso, lato Google, sarà quello di un calo della tracciabilità, lasciando la decisione in mano agli utenti. Sulla base di queste premesse si prevede che si arriverà in una situazione di sostanziale cecità”.

Cosa aspettarsi quando Google darà agli utenti la possibilità di scegliere?

“Non è stato ancora spiegato ma possiamo citare il caso Apple come esempio.

Quello che non è chiaro è se la possibilità di scegliere sarà data a livello di sito, di applicazione o a livello di browser: quindi se l’utente dovrà dare tanti consensi ogni volta che visita un sito o solo uno nel momento in cui installa il browser”.

Numerosi inserzionisti hanno considerato l’annuncio di Google come un’opportunità per rimandare il passaggio a soluzioni che non si basano esclusivamente su identificatori di terze parti. Perché questa è una scelta non corretta?

“Proprio perché stiamo parlando di forma e non di sostanza il messaggio passato erroneamente anche dai media è stato quello che si torna alla situazione precedente quindi dove i cookie non vengono cancellati. Gli inserzionisti hanno vissuto tutto ciò come una rimozione del problema.

Il punto reale è però che le aziende hanno impostato la loro azione sulla base dei cookie e dell’infrastruttura che c’è dietro e non avere avuto oggi un cambio di rotta con il passo indietro di Google li ha portati a ritardare l’adozione di soluzioni alternative cookieless o che comunque vadano a tutelare e proteggere maggiormente la privacy”.

Ogury_IT_Marcello Gruppo_Protrait 2 (1) (1)Cosa dovrebbero fare invece le aziende?

“Il fatto che gli utenti possano dare o meno il loro consenso al tracciamento online delle proprie esperienze, come abbiamo visto, avrà come conseguenza diretta quello della cecità del mercato perché la maggior parte degli utilizzatori nega questo consenso. È arrivato quindi il momento per gli inserzionisti di trovare delle valide alternative che si appoggiano su nuove tecnologie che permettano di mantenere una granularità e una rilevanza delle possibilità anche senza l’utilizzo diretto di identificatori di qualsivoglia genere.

E questo è un qualcosa che deve essere compreso dagli advertiser stessi, perché devono continuare ad investire e investigare, a testare e a scoprire quali possono essere le soluzioni alternative, perché il rischio che sta correndo l’industria è di continuare ad appoggiarsi a un qualcosa che non sta più funzionando come prima.  È quindi prioritario che gli advertiser investano nella tecnologia digitale per scoprire quali sono le soluzioni alternative, perché il digitale è un canale ad altissimo potenziale e non possiamo permetterci di penalizzarlo solo perché c’è incertezza all’interno dello stesso”. 

Quali sono le alternative che potranno essere messe in campo?

“Partiamo dal presupposto che si sta delineando un mercato concentrato in grandi silos con gli ID alternativi al centro, che sono stati di certo il naturale sbocco della tecnologia dei cookie. Quindi si è cercato di trovare un altro identificativo che non si basasse sul cookie come strumento di raccolta che possa garantire allo stesso tempo la privacy degli utenti.

Le alternative sul mercato sono già presenti, i noti Alternative ID, che collezionano tanti segnali e permettono la riconciliazione degli stessi e la creazione di un unico identificativo online degli utenti. Questi però hanno delle complessità di scala notevoli: possono avere una buona qualità dell’identificazione ma è molto difficile scalarli e la garanzia che la privacy sia rispettata è complessa da garantire

Altre soluzioni sono legate alla qualità del dato che può essere utilizzato, perché contestualmente, dietro le quinte, Google e tutti gli altri player stanno anche riducendo la quantità di informazioni che vengono condivise quando ci sono dei passaggi tecnici di informazione. Ad esempio, prima la geolocalizzazione, le informazioni sul device e così via erano in chiaro mentre ora si sta lavorando per ridurre il numero di segnali che possono essere utilizzati per riconciliare queste identità.

Queste soluzioni, quindi, introducono un problema qualitativo passando dalla dimensione del deterministico a quella del probabilistico, e dall’altra c’è un importante problema di scala perché non tutto internet è disposto ad accettare questa soluzione più complessa”.

Come possiamo quindi arrivare ad un compromesso?

“L’alternativa che noi di Ogury abbiamo trovato come più interessante è una soluzione che mixa questo tipo di informazioni con l’aggiunta di una fonte unica sul mercato, che è quella degli Zero Party Data, che va a raccogliere tutte le informazioni dichiarate spontaneamente e proattivamente dagli utenti. Con questo modello ci si sgancia da una raccolta passiva delle informazioni, abitudini e così via e si lavora su quello che l’utente ha deciso di condividere direttamente, che può essere sfruttato per definire delle aree in cui troviamo alte concentrazioni di determinate tipologie di utenti”.

Ci faccia un esempio…

“Parliamo di consapevolezza ecologica degli utenti. Ogury raccoglie le risposte a delle domande erogate all’interno e all’esterno dei siti e delle applicazioni del suo network; quando otteniamo un sufficiente numero di utenti che rispondono a quel tipo di domanda (es. sei preoccupato dell’inquinamento causate delle auto?), possiamo riconoscere un’alta concentrazione rispetto alla media della popolazione di persone che si posizionano come interessate al tema dell’ecologia. E sulla base di queste indicazioni si potrà andare a posizionare l’annuncio di un prodotto green su un sito di finanza perché, grazie agli Zero Party Data, si è avuta l’indicazione che all’interno di quel sito la consapevolezza circa l’ambiente è un tema molto sentito. Per cui facendo pubblicità in questo modo si va ad intercettare un’audience molto più ampia senza rinunciare alla granularità della profilazione”.

Ci spieghi meglio l’approccio di Ogury…

“Ogury eroga una grandissima quantità di domande all’interno del suo network in spazi pubblicitari che le permettono di raccogliere informazioni sulle caratteristiche del consumo e sulle caratteristiche demografiche delle proprie audience, proattivamente condivise proprio dagli utenti, che sono liberi di interagire o meno.

Ogury è attiva sul mercato da dieci anni circa e solo negli ultimi 3 anni ha raccolto una grande quantità di informazioni (più di un miliardo e mezzo di punti dato): combinando gli Zero party Data con i dati semantici e altri segnali ancora disponibili sulla rete si riescono a creare dei profili di persone rappresentativi delle audience che vogliono essere raggiunte dagli advertiser e che permettono di mantenere un altissimo livello di granularità senza tracciare alcun utente.

Quello che fa Ogury è la qualificazione del posizionamento su quel determinato sito o applicazione: non va a raccogliere alcuna informazione riguardo chi ha risposto.

L’obiettivo è quindi anche quello di tutelare quelle tematiche di privacy e tutela dei dati che sono oggi molto a cuore agli utenti e che impongono le legislazioni a livello internazionale.

La tecnologia Ogury è fondata sulla privacy ma garantisce contemporaneamente la rilevanza degli annunci, che ricordiamo essere la parte fondamentale dell’esperienza di navigazione.

Se infatti l’utente è esposto sul sito a qualcosa che non lo interessa, la sua esperienza ne risente e quindi Ogury ha relazioni dirette con i suoi publisher con l’obiettivo di garantire che l’esperienza degli utenti che visitano le pagine non venga intaccata, garantendo la qualità. Gli advertiser d’altro canto cercano la rilevanza e si viene così a creare una situazione win-win per entrambi”.

L’approccio di Ogury come è stato accolto nel nostro Paese?

“Senza dubbio molto positivamente anche perché nulla è stato lasciato al caso. Anche perché Ogury ha portato avanti un test dettagliato per dimostrare che può garantire le stesse performance dell’approccio che sfruttava gli identificatori ma avendo la completa protezione della privacy degli utenti e una indipendenza totale delle scelte di mercato”.

Volendo riassumere in pochi punti: quali sono i punti di forza dell’approccio di Ogury? 

“L’assoluta protezione della privacy, l’indipendenza da qualsiasi player di mercato a livello tecnologico, la scalabilità della soluzione in termini di volumi e la garanzia della rilevanza delle ADV che vengono erogate tra attraverso la tecnologia Ogury”.