Secondo l’indagine di PwC i lavoratori continuano a cambiare lavoro o considerano di farlo. La causa principale è il costo della vita.

Lavoratori

PwC ha pubblicato la nuova indagine Hopes and Fears Global Workforce Survey condotta da PwC che analizza gli atteggiamenti e i comportamenti di quasi 54.000 lavoratori in 46 Paesi. Quello che emerge è che, nonostante il rallentamento dell’economia globale, il fenomeno Grandi Dimissioni continua.  A livello mondiale un dipendente su quattro (26% del campione) afferma di voler cambiare lavoro nei prossimi 12 mesi, valore in crescita rispetto al 19% registrato nel 2022. Tra i dipendenti che hanno dichiarato di essere più propensi a cambiare lavoro, il 44% si sente oberato, il 38% fatica a pagare le bollette ogni mese, mentre il 35% fa parte della Gen Z.

Anche in Italia si acuisce il fenomeno delle “Grandi Dimissioni”

PwC rileva percentuali analoghe anche in Italia, dove il 25% degli intervistati dichiara di voler cambiare lavoro entro 12 mesi. La quota di professionisti incline alle dimensioni aumenta per le giovani generazioni, raggiungendo il 37% degli intervistati per la Gen Z e il 32% dei millennial.

La cultura e la mission aziendale, così come le policy di inclusione, si confermano fattori determinanti per i lavoratori. A livello mondiale solo il 47% degli intervistati inclini a cambiare, dichiara di trovare il proprio lavoro appagante, mentre la soddisfazione sale al 57% facendo la stessa domanda a chi non ha intenzione di dimettersi. Fra i più inclini alle dimissioni, solo il 51% afferma di poter essere sé stesso sul luogo di lavoro, contro il 59% registrato nella fascia di dipendenti non intenzionati a cambiare lavoro.

In Italia, scende al 51% la percentuale di soddisfazione professionale fra chi non è incline a dimettersi, mostrando una più netta mancanza di sensemaking dell’esperienza lavorativa.

L’incertezza macroeconomica spinge i lavoratori a chiedere un aumento

A livello mondiale, aumentano i lavoratori a corto di liquidità, complici il raffreddamento dell’economia e l’inflazione che continuano a incidere su portafogli e capacità di spesa. Solo il 38% della forza lavoro dichiara di riuscire a risparmiare a fine mese, in calo rispetto al 47% registrato nel 2022.

Oggi, un lavoratore su cinque (21%) svolge più professioni e, fra questi, il 69% lo fa perché ha bisogno di un reddito aggiuntivo. La percentuale di intervistati con più lavori è più alta per la generazione Z (30%) e per le minoranze etniche (28%). La stretta economica traina la richiesta di aumenti salariali: i lavoratori intenzionati a chiedere un aumento rappresentano il 42% degli intervistati, in aumento rispetto al 35% del 2022, e raggiunge il 46% se si restringe il perimetro ai lavoratori che dichiarano difficoltà finanziarie.

Bob Moritz, Presidente di PwC Global, afferma: La forza lavoro mondiale è divisa in due: coloro che possiedono competenze preziose, ben posizionati per continuare il loro percorso formativo, e coloro che non ne possiedono. Spesso chi non ha le competenze è meno sicuro finanziariamente e meno in grado di accedere alla formazione per acquisire le competenze del futuro. In un mondo in cui gli amministratori delegati sanno di dover trasformare le loro aziende per avere successo, emerge la necessità di combinare i vantaggi della tecnologia con un piano per sfruttare i talenti di tutti i lavoratori. Non è nell’interesse di nessuno che le aziende inseguano lo stesso gruppo di lavoratori qualificati, mentre il resto della società non progredisce”.

Difficoltà economica e scarsa formazione: il circolo vizioso da interrompere

I dipendenti in difficoltà economica sono meno preparati ad affrontare le sfide del futuro del mondo del lavoro, tra cui la necessità di upskilling e l’adattamento all’ascesa dell’intelligenza artificiale.

Secondo l’analisi di PwC, a livello mondiale la ricerca attiva di opportunità per lo sviluppo di nuove competenze raggiunge il 62% fra i dipendenti che riescono a pagare comodamente le bollette, mentre si ferma al 50% per i lavoratori in difficoltà economica (-12%).  Allo stesso modo, i lavoratori che godono di maggiore sicurezza finanziaria sono più propensi a cercare feedback sul lavoro e a utilizzarli per migliorare le proprie prestazioni (57%) rispetto a chi è in difficoltà (45%).

Più di un terzo (37%) degli intervistati che dichiarano di stare finanziariamente meglio è convinto che l’IA migliorerà la loro produttività, mentre è il 24% fra i lavoratori con problemi di liquidità. I lavoratori con maggiore sicurezza economica considerano l’IA come volano per la creazione di nuove opportunità di lavoro (24% vs 19%) e sono meno inclini a pensare che possa avere un impatto negativo (13% vs 18%).

I lavoratori qualificati sono più ottimisti

Dalla survey PwC emerge come le competenze professionali condizionino la fiducia dei lavoratori e l’attitudine al cambiamento in un ambiente economico e lavorativo in rapida evoluzione. Il 51% di intervistati nel mondo afferma che le skill richieste dal proprio lavoro cambieranno in modo significativo nei prossimi cinque anni.

La percentuale cala drasticamente al 15% fra i lavoratori che non hanno una formazione specializzata. Circa due terzi dei professionisti è convinto che il proprio datore di lavoro li aiuterà a sviluppare le competenze digitali, analitiche e di collaborazione di cui avranno bisogno. Queste percentuali scendono a meno della metà per coloro che attualmente non svolgono lavori che necessitano di una formazione specifica.

Anche in Italia l’aumento del divario di competenze sta preoccupando i CEO, mentre i dipendenti non mostrano un senso di urgenza nell’aggiornamento professionale. Solo un terzo dei dipendenti ritiene che le competenze necessarie per svolgere il proprio lavoro cambieranno in modo significativo nei prossimi 5 anni.

Riccardo Donelli, Partner PwC Italia People Transformation, spiega: “I risultati emersi dalla survey, validi per l’Italia quanto a livello globale, mostrano la necessità per le aziende di agire proattivamente per rispondere alle esigenze del mondo del lavoro che sono in continua trasformazione. I lavoratori italiani sono meno pronti all’innovazione e alla trasformazione rispetto ai colleghi di altri paesi”.

Le pratiche di assunzione tradizionali scoraggiano i lavoratori a cambiare lavoro

Secondo l’analisi PwC, in un mercato del lavoro competitivo, i datori di lavoro rischiano di lasciarsi sfuggire talenti preziosi a causa di approcci di assunzione e sviluppo del personale obsoleti e basati unicamente su CV e passaparola. A livello mondiale, più di un terzo (35%) dei lavoratori con competenze specializzate afferma di aver perso opportunità di lavoro perché non conosce le persone giuste.

Una percentuale analoga di intervistati (35%) afferma di possedere competenze che non emergono dal proprio CV o dalla propria storia lavorativa, a conferma di come le aziende possano trascurare dei talenti all’interno delle proprie organizzazioni. Stando a una recente ricerca pubblicata dal World Economic Forum in collaborazione con PwC, la creazione di mercati del lavoro in cui le competenze tecniche vengono prioritizzate potrebbe generare 100 milioni di posti di lavoro a livello globale.

I CEO hanno un ruolo determinante per la talent retention

La CEO Survey 2023 di PwC ha rilevato che 4 CEO su 10 pensano che la propria impresa non sarà più economicamente sostenibile fra 10 anni senza un processo di trasformazione aziendale.

La forza lavoro è un po’ più ottimista nella Hopes & Fears Survey: solo il 33% degli intervistati ha questa convinzione, anche se il pessimismo sale al 40% tra le generazioni più giovani. La fiducia nella longevità aziendale a lungo termine è determinante per trattenere i talenti ed evitarne le dimissioni: il 43% degli intervistati convinti che la propria azienda non sopravviverà al prossimo decennio sono più propensi a cambiare lavoro entro 12 mesi. Questa percentuale scende al 12% fra i lavoratori che hanno fiducia nella longevità e capacità di resilienza dell’azienda per cui lavorano.

In Italia i lavoratori sono ancora più ottimisti: il 25% degli intervistati ritiene che la propria azienda non sopravviverà per più di 10 anni senza una trasformazione. Il dato sale al 44% tra le generazioni più giovani.

L’impatto dell’IA è ancora in discussione, soprattutto in Italia 

In Italia, l’impatto dell’intelligenza artificiale viene percepito come meno significativo rispetto alla media globale. Solo il 21% ritiene che l’IA contribuirà ad aumentare la produttività e l’efficienza (a differenza del 31% a livello globale).

La metà (48%) dei dipendenti a livello globale non prevede un impatto positivo dell’IA sulla propria carriera nei prossimi cinque anni, e quasi il 70% non vede un impatto positivo sulla produttività del lavoro. Il 27% dei lavoratori considerano l’IA un’opportunità per apprendere nuove competenze.

L’indagine rivela anche forti disparità demografiche nell’atteggiamento dei dipendenti nei confronti dell’IA. Le generazioni più giovani sono molto più propense a pensare che l’IA avrà un impatto sulle loro carriere, che sia in positivo e in negativo: solo il 14% della Gen Z pensa che questa tecnologia non avrà nessun tipo di impatto. La percentuale sale al 17% per i Millennials e al 34% per i Baby Boomers.