Il consumatore multicanale acquista il doppio rispetto a chi lo fa o solo online o solo digitalmente. I retailer sono avvisati!

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Vendere prodotti o servizi, aumentando il proprio fatturato. È questo l’obiettivo di qualunque impresa presente sul mercato, obiettivo che è rimasto immutato negli anni, ma che nel corso degli ultimi tempi ha visto trasformarsi le modalità di vendita e l’approccio alla clientela. L’arrivo delle tecnologie digitali ha infatti rivoluzionato tutto: si acquista e ci si informa online, si utilizzano le soluzioni di realtà aumentata per “provare” i vestiti ad esempio e si contattano gli utenti attraverso nuovi canali. Protagonista di questo particolare momento storico è sicuramente l’e-commerce che, crescendo del 17% livello mondo, rappresenta il 7,5% degli interi acquisti effettuati su scala globale, percentuale questa che nel 2020 si prevede toccherà il 15%.

Il digitale non è il futuro, ma è già presente: basti pensare che nel 2016 sono stati acquistati nel mondo beni e servizi online per circa 2600 miliardi di dollari, coinvolgendo 1,5 miliardi di online shopper. Un numero che potrebbe presto aumentare poiché oggi navigano in rete circa 2,5 miliardi di persone, certamente un potenziale enorme che non può che essere sfruttato” ha spiegato Roberto Liscia, Presidente di Netcomm.

Ed è proprio per questa ragione che l’Italia deve iniziare ad investire per valorizzare il Made in Italy, simbolo che rappresenta un vero e proprio brand sul quale si deve fare leva per incrementare i profitti e portare nuovo lavoro nel nostro Paese. Non a caso, secondo i dati Google, il Made in Italy si classifica al settimo posto tra le parole più ricercate sul noto motore di ricerca, con particolare interesse da parte di nazioni come Cina, USA, India, Indonesia, Turchia, Messico, Russia, Iran e Arabia Saudita, Paesi verso i quali il digital export potrà garantire interessanti ritorni.

Se vogliono avere successo, le imprese italiane devono creare dei veri e propri ecosistemi, allearsi e innovare così da risultare maggiormente competitive. Molto importante è anche la valorizzazione dei distretti e delle vie della moda nel nostro Paese: un po’ come sta accadendo ad Amsterdam dove i quartieri dello shopping hanno creato un unico portale online dove poter vendere la propria merce. Una scelta questa che sta garantendo ottimi risultati, con un rafforzamento del legame dei consumatori ai brand – ha spiegato Roberto Liscia.

Ed è proprio l’integrazione tra digitale e fisico che dovrà essere il prossimo passo che tutti i retailer dovrebbero compiere. È emerso infatti da una ricerca ContactLab che il consumatore multicanale acquista il doppio rispetto a chi lo fa o solo online o solo digitalmente poiché maggiormente coinvolto con il brand. L’integrazione online-offline crea quindi valore ed è per questo che il punto vendita fisico si deve ridisegnare garantendo continuità di esperienza al consumatore. Nasce così il cosiddetto Unified Commerce.

Fortunatamente anche nel nostro Paese numerosi retailer hanno iniziato ad operare in questa direzione: su 44 mila negozi in Italia analizzati, 22 mila hanno attivi servizi di vendita online, con la possibilità di ritirare in negozio ciò che è stato acquistato online (20%), prenotare la merce su internet e poi pagarla presso lo store fisico (4,6%) o garantire servizi di reso (11%).

Alcuni retailer si sono addirittura completamente trasformati: Bonomis è diventato un vero e proprio centro di consulenza. In store si possono provare i vari modelli, ma non acquistarli fisicamente perché l’acquisto avviene solo online e il prodotto viene spedito a casa. Everlane invece, mostra esattamente i costi sostenuti per la realizzazione di un determinato capo (materiali, trasporto ecc.), propone quindi il proprio prezzo di vendita e lo confronta con quello di altri venditori online. Massima trasparenza al cliente quindi che vede così aumentare la fiducia nel brand.

Ed è proprio il cliente, i suoi bisogni e le sue aspettative che devono rimanere al centro della strategia di qualunque retailer. Conoscerli significa capirli e anticipare le loro preferenze. Non a caso quindi, molte realtà hanno deciso di puntare sull’analisi dei dati raccolti: chiaramente la segmentazione della clientela risulta molto più facile in caso di acquirenti online (con l’81% digitalmente contattabile) rispetto che offline (solo il 31% è digitalmente contattabile).

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Ci sono aziende che però fanno di più: Asics, Adidas e Under Armor hanno rispettivamente investito 85, 239 e 625 milioni di dollari in applicazioni fitness per avere maggiori informazioni sulle abitudini dei propri clienti e non. Una scelta questa che risulta premiante: sono proprio le aziende che investono nei dati ad ottenere performance migliori in termini di fatturato secondo lo studio ContactLab.

Investire in digitale, fondere fisico e digitale, creare filiere e studiare i consumatori sono quindi i segreti per far volare il Made in Italy.