Decoding Global Talent 2024: il 40% dei lavoratori italiani non ha ancora sperimentato la GenAI, ma il 63% è pronto a formarsi

GenAI

Nell’ultimo decennio la domanda globale di talenti è cresciuta a livello esponenziale in un ambiente caratterizzato da tassi di disoccupazione record e un elevato numero di posti vacanti. Ma come possono i datori di lavoro attrarre e trattenere i talenti e quanto pesa l’impatto della GenAI?

Decoding Global Talent 24: How Work preferences are shifting in the age of GenAI

Lo studio “Decoding Global Talent 2024: How Work Preferences Are Shifting in the Age of  GenAI”, realizzato da Boston Consulting Group (BCG) insieme a The Network  e The Stepstone Group riporta i risultati di un sondaggio condotto su 150.000 persone in 188 Paesi. Il campione include il 51% di uomini e il 49% di donne, un’età compresa principalmente tra i 20 e i 40 anni, quindi in una fase iniziale o intermedia della  propria carriera. Nell’attuale mercato del lavoro, il 64% dei rispondenti a livello globale ritiene di  avere una forte posizione negoziale.

In Italia la percentuale si attesta a circa il 50%. Si tratta di una prospettiva universale, indipendentemente dal ruolo lavorativo, e  tale fiducia non è infondata: il 75% dei lavoratori (in Italia il 73%) ha dichiarato  di essere contattato per opportunità di lavoro almeno qualche volta all’anno,  mentre il 19% settimanalmente (14% in Italia).

 “Appurato che la forza lavoro globale ha ormai acquisito una chiara consapevolezza del  proprio valore, è essenziale che i datori di lavoro comprendano quali elementi siano  realmente attrattivi per i talenti.” Afferma Matteo Radice, Managing Director e  Partner di BCG. “Oggi, al vertice delle priorità emerge la sicurezza del posto di lavoro,  una risposta legata alle crescenti preoccupazioni riguardo l’occupazione a lungo termine,  acuite dalla consapevolezza dell’impatto della GenAI. Altrettanto importanti per i talenti  sono l’equilibrio tra lavoro e vita privata, la compensazione economica, le buone relazioni  con i colleghi e, infine, le opportunità di apprendimento e sviluppo professionale.” 

L’interesse crescente per la sicurezza del lavoro

L’interesse crescente per la sicurezza del lavoro è universale, ma le preferenze  differiscono a seconda della regione di provenienza dei rispondenti e dell’età. Gli  europei mostrano meno preoccupazione rispetto ai lavoratori di altre regioni,  dando invece priorità all’equilibrio vita-lavoro. In Italia la sicurezza del lavoro  torna al primo posto, seguita da apprendimento e sviluppo professionale e dai  buoni rapporti con i colleghi. Le differenze sono significative anche in base all’età:  apprendimento e sviluppo sono fondamentali per i lavoratori di 30 anni o  meno, ma gradualmente l’importanza diminuisce fino a scomparire tra i  rispondenti di età superiore ai 50 anni. Al contrario, le buone relazioni con  manager e colleghi sono prioritarie per le generazioni più anziane.

Quando i talenti rifiutano

Ci sono poi i fattori che potrebbero spingere i talenti a rifiutare una buona offerta  di lavoro: a livello globale il 54% rifiuterebbe se si facesse un’opinione negativa  dell’azienda durante il colloquio e, ad esempio, se venissero poste domande  considerate discriminatorie. In Europa questa percentuale si attesta al 70% e in  Italia al 47%. Un impatto negativo dell’azienda sulla società è il secondo  motivo di rifiuto più importante: circa il 40% dei talenti non si unirebbe a un  datore di lavoro i cui servizi, attività o prodotti abbiano un effetto sociale nocivo (in  Italia la percentuale è del 28%); segue l’assenza di supporto per la salute mentale o  il benessere (33%), fattore che a livello globale conta per il 40% dei rispondenti.  Anche la mancanza di misure legate alla sostenibilità o iniziative ambientali diventano motivi di rifiuto, così come l’impossibilità di lavorare da remoto.

La rivoluzione della GenAI influisce sulle preferenze dei talenti

L’86% dei rispondenti a livello globale ha dichiarato di aver sentito parlare della  GenAI e più del 50% ha affermato di averla sperimentata almeno una volta di  recente, compreso circa il 39% che definiamo utilizzatori regolari. Se l’istruzione e  il genere hanno poco impatto sulla probabilità che i lavoratori utilizzino l’AI, l’età  svolge un ruolo significativo: i rispondenti di 30 anni o meno hanno i tassi di  adozione più elevati e il 49% di loro la utilizza regolarmente. Anche i fattori legati  al lavoro giocano un ruolo significativo: le persone con ruoli digitali e IT sono le più  propense a essere utilizzatori regolari, seguite da quelle con ruoli nel marketing, nei  media e nel design. La situazione è simile per quanto riguarda i settori industriali:  tecnologia e IT sono in testa, seguiti dai media e poi da scienza e ricerca. Per i  datori di lavoro è dunque importante capire quali sono le relazioni dei  dipendenti con questa tecnologia e come aiutarli ad adattarsi al nuovo mondo  del lavoro.

I primi 10 Paesi per percentuale di lavoratori che utilizzano la GenAI regolarmente  sono a basso reddito e non occidentali, come India e Pakistan. Tra le economie a  reddito più elevato, la maggior parte dei Paesi europei ha tassi di adozione inferiori  alla media. Gli ultimi dieci posti sono dominati da Paesi in Medio Oriente ed  Europa, tra cui l’Italia, dove solo il 21% dei rispondenti usa l’AI regolarmente: questo potrebbe riflettere regolamentazioni più rigide e una maggiore percezione  di potenziali minacce e rischi.

La maggior parte dei lavoratori nel mondo non è preoccupata che l’AI possa  sostituirli nei loro ruoli: il 25% (in Italia il 26%) pensa che l’AI non avrà alcun  effetto e solo il 5% crede che diventeranno obsoleti (in Italia il 7%). Tuttavia, il  49% prevede che alcuni aspetti dei loro lavori cambieranno, richiedendo lo sviluppo  di nuove competenze. I lavoratori nelle economie emergenti mostrano la maggiore  consapevolezza della potenziale perdita o trasformazione significativa dei lavori e  le opinioni differiscono anche per professione: coloro che lavorano nei servizi  finanziari, nel design e nel servizio clienti sono i più propensi a prevedere  cambiamenti nei loro ruoli rispetto a lavoratori sociali e manuali.

Complessivamente il 57% è disposto a fare reskilling, quindi apprendere nuove  competenze, per rimanere competitivo, in Italia il 63%. Coloro con un livello di  istruzione basso o medio tendono ad essere più flessibili rispetto alle persone più  istruite, mentre le persone più anziane sono generalmente meno aperte alla  riqualificazione. Il bisogno maggiore per le risorse è sapere quali competenze  devono acquisire: ciò solleva la necessità di avere accesso a programmi di  apprendimento ben progettati che affrontino le competenze più critiche.

Le azioni per colmare le carenze di talenti 

  • In primis, i datori di lavoro devono prevedere l’impatto della tecnologia sulla  forza lavoro: ciò implica quantificare come le nuove tecnologie influenzeranno il  bisogno di lavoratori e competenze, ma anche confrontare la loro valutazione della  domanda con una previsione dell’offerta di talenti, considerando età di  pensionamento e turnover.
  • Inoltre, i manager dovranno attrarre talenti  comprendendo le loro diverse esigenze, ottimizzando il recruitment. Qui l’AI  può essere un valido aiuto per creare annunci e gestire la programmazione dei  colloqui.
  • Il terzo step per i datori di lavoro è far crescere i talenti passando dalla  formazione tradizionale all’upskilling e reskilling strategici: in concreto significa  assicurarsi che i programmi di formazione siano strettamente allineati con gli  obiettivi aziendali.
  • Sarà inoltre necessario aumentare l’adozione dell’AI per far sì che un numero maggiore di lavoratori sia in grado di utilizzarla per compiti avanzati.
  • Infine, è necessario coinvolgere i talenti aiutandoli a gestire e ad affrontare  l’incertezza: il primo passo è la promozione di una comunicazione aperta e  trasparente sul futuro dell’azienda e sull’adozione delle tecnologie, così come la  creazione di un sistema di mobilità interna e l’offerta di servizi di supporto alla  salute mentale e al benessere emotivo. A questo proposito, stabilire politiche  flessibili sugli orari lavorativi e supportare l’equilibrio vita-lavoro porterà i  dipendenti ad apprezzare ancor di più la loro posizione e a non cercare un nuovo  impiego.