La Cloud Repatriation, un’opzione nell’ottica di una strategia dati multi-cloud. Di Michele Zunino, Amministratore Delegato di Netalia

La storia ci insegna come ci sia spesso un momento, al termine delle grandi rivoluzioni, in cui è forte la tentazione della restaurazione allo status quo ante. Nella tecnologia è un fenomeno inedito, perché nella realtà nessuno ha mai fermato l’innovazione, quando presenta vantaggi tangibili per l’umanità. Se questo è vero, come possiamo allora interpretare il cosiddetto fenomeno della Cloud Repatriation dati, ovvero il “rimpatrio” di carichi di lavoro e/o applicazioni dalle piattaforme di Public Cloud a soluzioni on-prem proprietarie, tecnicamente preesistenti e da cui erano stati inizialmente trasferiti?

Secondo alcune stime IDC, la Repatriation ha fatto tendenza sin dal momento in cui il Public Cloud è diventato il modello prevalente: tra il 70% e l’80% delle aziende ha cominciato a riportare a casa almeno una parte dei propri dati. Una survey di fine 2022 condotta da 451 Alliance, il ramo dedicato all’Hi-Tech di S&P Global, riporta che il 54% delle aziende ha spostato dal Public Cloud dati o applicazioni.

Quanto agli obiettivi perseguiti, le organizzazioni fanno ricadere le motivazioni in quattro grandi aree, le 4 C della Repatriation: compliance – costi – controllo – competenze. In particolare, le aziende vogliono:

  • COMPLIANCE: rispettare le normative locali, specie in mercati iper regolamentati;
  • COSTI:
    • ridurli, nella convinzione che l’investimento iniziale sia più che compensato dai risparmi a medio e lungo termine;
    • prevederli meglio, visto che persino grandi aziende dotate di articolati modelli di pianificazione dichiarano di essersi trovati di fronte alla doccia fredda di costi Public Cloud anche più che raddoppiati;
  • CONTROLLO:
    • presidiare i dati più critici, specialmente in settori ad alta sensibilità come finanza o sanità;
    • controllare l’infrastruttura e ridurre il rischio di vendor lock-in;
  • COMPETENZE: contare su capacità interne di sviluppo e manutenzione.

Alle 4 C si aggiunge la P, di performance: ricorrere a soluzioni proprietarie on-prem appare come un modo per incrementare la prestazione delle applicazioni core, quelle che incidono sulla continuità operativa, e soprattutto ridurre la latenza, specie in quei settori e per quelle funzioni per cui questo aspetto è sempre più nodale.

I vantaggi del Public Cloud sono qui per restare

Quindi, chi ha ragione? Il modello Public avrebbe già fatto il suo tempo? In realtà, la narrazione che vorrebbe il modello Public Cloud principalmente una fonte di risparmi è sbagliata e fuorviante. I vantaggi del Cloud non si sono mai appoggiati sulla riduzione dei costi, almeno non su quelli diretti. Il Public Cloud cambia i modelli di business, abilita nuove attività core, velocizza le funzioni perché modifica i paradigmi: non riduce i costi, ma aumenta i ricavi in modi prima impensabili. I carichi di lavoro tradizionali, le applicazioni legacy trasferite con approccio lift & shift non sono i servizi su cui confrontare l’incidenza dei costi. Non si possono raffrontare i costi/ricavi on-prem vs. in cloud di un vecchio gestionale con quelli dello sviluppo applicativo di LLM o di intelligenza generativa.

Stiamo andando verso uno scenario completamente cloud-native, in cui la compatibilità standard, dunque più conveniente, sarà quella legata al Public Cloud. Anche perché raggiungere alti picchi è sempre più ricorrente e garantire scalabilità attraverso infrastrutture proprietarie è costoso e talvolta difficile. Le economie di scala contano sempre di più anche in materia di dati, archiviati e processati.

Oggi non possiamo nemmeno rinunciare ad ambienti altamente affidabili: garantire affidabilità comporta sfridi spesso incolmabili da architetture proprietarie. Solo un’infrastruttura dedicata e aggiornata può garantire adeguati livelli di sicurezza in ottica dinamica. Inoltre, la gestione dell’infrastruttura fisica ha una complessità spesso trascurata o necessariamente delegata.

Vanno valutati correttamente anche i costi di manutenzione, che il Public Cloud include nel servizio. Infine, le competenze per ingegnerizzazione ed esercizio sono difficilmente reperibili, con i talenti specializzati che spesso preferiscono una carriera presso operatori di settore piuttosto che ruoli fissi in azienda.

Hanno tutti ragione: da cloud-only a cloud-also, verso una data governance ibrida e variegata

Da che parte andare allora? La buona notizia è che non c’è una risposta univoca. Perché la Cloud Repatriation il più delle volte è solo una parte della data strategy aziendale, che è perlopiù ibrida e multi- cloud, dedicata a soddisfare logiche che hanno al centro i workload. La tecnologia evolve: oggi il Public Cloud lavora in ottica HPC e sempre più con approccio Edge, che elimina il problema della latenza per i settori iper sensibili. Tornare indietro, inoltre, non è un’operazione a costo zero: le applicazioni che hanno subito refactoring sono ormai inseparabili dal Cloud, anche perché sempre più spesso interdipendenti da altre, anche nella logica dei microservizi.

Public Cloud non è sinonimo di hyperscaler: con gli operatori locali, i vantaggi si moltiplicano Rispetto agli obiettivi menzionati, la Cloud repatriation, dunque, non è necessariamente la soluzione migliore perché il Public Cloud non è solo quello delle Big Tech.

Esistono invece operatori locali qualificati che offrono la stessa qualità intrinseca, ma che sono in grado di garantire anche i vantaggi tipicamente associati alle soluzioni proprietarie: residenza fisica, normativa e giuridica sul territorio, compliance by design e sovranità digitale nativa, assistenza personalizzata e disegno sartoriale delle soluzioni, negoziazione contrattuale e assenza di lockin tecnologici, controllo della filiera del dato dall’origine alla cancellazione, competenze specializzate e culturalmente vicine, appartenenza a una filiera che opera nell’interesse di un ecosistema più grande all’interno del perimetro nazionale.

rsz_michele_zunino_ad_netalia_ldAffidarsi a un CSP locale consente di valorizzare aziende che investono sui territori, i cui interessi coincidono con quelli delle aziende cliente e con il sistema nel quale operano, a dispetto di ogni eventuale mutamento geopolitico: una situazione win-win. Anche grazie alla grande spinta del PNRR la Pubblica Amministrazione sembra averlo capito bene, con risorse ingenti dedicate alla migrazione in Cloud per gli enti pubblici.

È importante accompagnare anche le imprese private italiane in questo passaggio: stiamo costruendo la nuova società ed economia digitale soprattutto grazie a loro. È fondamentale che il tessuto industriale italiano faccia rete e possa innestare quel circolo virtuoso che ci consentirà di operare verso obiettivi convergenti per lo sviluppo del sistema Paese.