A lasciare il nostro paese sono sempre di più giovani con livelli di istruzione elevati

Fuga dei cervelli

Per il terzo anno consecutivo, la popolazione del nostro paese diminuisce: l’Istat ha registrato, a gennaio del 2018, 60,5 milioni di italiani, quasi 100mila in meno rispetto all’anno scorso. L’incidenza negativa non è il risultato del solo calo demografico, ma anche dell’emigrazione dei giovani: siamo il secondo Paese più vecchio al mondo.

“Molti italiani con alto livello di istruzione lasciano il Paese, pochi vi fanno ritorno – dice l’Istat. Selezionando i migranti italiani con più di 24 anni, nel corso del 2016 si ottiene un saldo migratorio con l’estero di circa 54 mila unità, di cui circa 15 mila hanno almeno la laurea. La fascia d’età in cui si registra la perdita più marcata è quella dei giovani dai 25 ai 39 anni (circa 38 mila unità in meno) e, tra questi, quasi il 30% è laureato. La giovane età di questi emigrati testimonia la difficoltà del Paese nel trattenere competenze e professionalità.”

Il Rapporto BES 2017 dell’Istat, utilizzando come dato migratorio specifico il tasso di mobilità dei laureati, rileva segnali del tutto negativi rispetto alla capacità dell’Italia di “attrarre occupazione altamente qualificata ovvero di favorire prospettive di occupazione per i laureati italiani. Nel 2016 il tasso di mobilità dei laureati italiani continua ad essere negativo, indicando una perdita netta a favore dei paesi esteri e proseguendo il trend degli ultimi anni.” Ad emigrare, evidenzia il report, sono sempre più persone giovani con un livello di istruzione superiore. L’Italia, dunque, non è in grado di arginare il fenomeno della fuga dei cervelli e quindi le aziende si organizzano da sole.

Siamo il secondo Paese più vecchio al mondo, dice il Rapporto Annuale dell’Istat sul sistema produttivo italiano, presentato due giorni fa a Roma: “I processi di emigrazione di giovani con qualifiche terziarie rischiano di rendere insufficiente l’offerta attuale di personale qualificato, in una fase di crescita e ristrutturazione sostenuta dai processi di digitalizzazione”. Rispetto alla necessità delle imprese di colmare il divario digitale nel momento epocale del passaggio all’industria 4.0 una risposta risiede nella capacità delle stesse di formare, assumere e credere nei giovani italiani, dando una possibilità di crescita competitiva a sé stesse e trattenendo le intelligenze migliori in Italia.