
L’accelerazione tecnologica che ha investito il mondo del lavoro negli ultimi anni non è solo un’opportunità: è una sfida sistemica. Secondo il Future of Jobs Report 2025 del World Economic Forum, entro il 2030 il 39% delle competenze lavorative subirà cambiamenti radicali o diventerà obsoleto. Eppure, nonostante questo scenario trasformativo, quasi 4 aziende su 10 non hanno una strategia chiara per affrontare il divario di competenze.
Un disallineamento pericoloso e mentre l’intelligenza artificiale, l’automazione e i big data ridisegnano ruoli e funzioni, resta indietro un elemento cruciale: la cultura organizzativa.
Molte organizzazioni faticano a conoscere e valorizzare le competenze reali delle proprie persone. Nel contesto di una digitalizzazione crescente del mondo del l lavoro, la narrazione dominante tende infatti a promuovere un’immagine dell’intelligenza artificiale come mezzo per creare dipendenti “super efficienti” e privi di difetti.
Lavoro e AI: la visione di Talentware
“La vera rivoluzione non è far diventare le persone “perfette”, ma renderle più consapevoli, libere di sbagliare, ascoltate e guidate da una leadership che sa evolversi.
Non superuomini digitali, ma professionisti umani, con punti di forza e margini di miglioramento reali”, afferma Giacomo Marchiori, Founder di Talentware, piattaforma fondata insieme a Ismet Balihodzic e Andrea Raimondo che permette di gestire un’organizzazione tramite un approccio skill-based, migliorando la talent retention, il decision-making e la performance aziendale.
Concetto pienamente condiviso anche da Alessandro Castelli, Senior HR Lead, Business e Mental Coach, che vanta una lunga esperienza sia in ambito aziendale sia nella consulenza strategica per la gestione e la valorizzazione delle persone.
Alessandro Castelli inoltre sottolinea “che lavorare sullo sviluppo delle persone e delle competenze non possa più essere un’iniziativa spot: servono percorsi e alleanze che uniscano aziende, consulenti, accademie e business school, rafforzati da linguaggi capaci di parlare davvero ai giovani — come, per esempio, lo sport — per costruire un ecosistema culturale capace di far arrivare questi messaggi in modo autentico e generare cambiamento”.
Una visione che mette al centro la persona in un mondo sempre più tech-driven. “Il ruolo dell’intelligenza artificiale nelle HR non è quello di trasformare le persone in superuomini, ma di aiutarle a esprimere il proprio potenziale nel lavoro che svolgono, valorizzando i loro punti di forza, i margini di miglioramento e le competenze spesso inespresse”, prosegue Giacomo Marchiori.
L’AI come alleato per decisioni più informate, non come sostituto dell’essere umano
L’AI è uno strumento fondamentale, ma non sostituisce l’essere umano: lo rende più data-driven, permettendogli di prendere decisioni più informate in tempi rapidi. Questo significa ridurre drasticamente gli errori nelle scelte relative alle persone, facilitando un sistema di valutazione e promozione più meritocratico.
Una trasformazione che richiede un cambio culturale profondo
Perché tutto questo si realizzi, è però necessario un vero cambio culturale. Le aziende che desiderano trattenere i talenti migliori e mantenerli motivati e produttivi nel tempo devono investire in una nuova mentalità organizzativa, che metta davvero le persone al centro. Solo così potranno restare competitive in un mercato in continua evoluzione.
Lo sport è un esempio da cui il mondo del lavoro può trarre ispirazione: per definizione, si basa su meritocrazia, formazione continua e sviluppo di nuove skill per affrontare i competitor. Nello sport c’è un coach che guida l’atleta, evidenziando le aree da migliorare e costruendo percorsi di crescita. In azienda, purtroppo, non tutti i manager sono in grado di svolgere questa funzione. Il risultato è che troppo spesso si perde potenziale, si demotivano i collaboratori e si innescano processi di abbandono o stagnazione.
Questo ha conseguenze rilevanti non solo per la singola organizzazione, ma per l’intero sistema Paese.
L’AI come co-pilota per persone, manager e C-level
L’AI, se ben sviluppata, può essere un vero co-pilota per dipendenti, manager, HR e C-level. Non è solo un tool operativo per scrivere mail più in fretta o sintetizzare meeting, ma uno strumento per gestire dinamicamente l’enorme mole di dati presenti in azienda, che fino a ieri erano difficili da intercettare o richiedevano grandi team per essere analizzati e utilizzati.
Oggi, con le tecnologie giuste, anche le PMI possono accedere a strategie di gestione del capitale umano che prima erano appannaggio solo delle grandi multinazionali. Un CEO o CHRO di un’azienda con 300-500 dipendenti può oggi ottenere un vantaggio competitivo reale anche rispetto a grandi multinazionali, investendo in modo mirato e sostenibile.
Employer branding, università e futuro del lavoro
Strumenti avanzati di HR Tech possono generare anche impatti positivi in termini di employer branding, aumentando la capacità dell’azienda di attrarre e trattenere i talenti.
E c’è un ulteriore beneficio sistemico: se un’organizzazione ha una visione chiara di dove vuole andare, delle competenze interne e dei profili che cerca, può orientare meglio non solo le sue scelte, ma anche le università. Offrire alle istituzioni formative una mappatura precisa del fabbisogno professionale è fondamentale per ridurre il gap tra formazione e lavoro e sviluppare corsi realmente professionalizzanti.
Alla base di questa visione, Talentware illustra cinque leve strategiche della trasformazione culturale del mondo del lavoro. oggi imprescindibili per affrontare il cambiamento innovativo in atto.
Dal feedback alla cultura dell’errore: le sfide del lavoro che cambia
- Ascolto reale (non solo “attivo”). Molte aziende dichiarano di ascoltare, ma mancano strumenti concreti e continuativi. Il risultato? Giovani in stage che non ricevono feedback, manager che arrivano ai confronti con approcci poco data – driven perchè non hanno strumenti adeguati per raccogliere i dati chiave sul dipendente. L’ascolto diventa un esercizio formale, svuotato di efficacia.
“Ascoltare davvero – commenta Alessandro Castelli, Senior HR Lead, Business e Mental Coach – significa dare continuità alla voce delle persone, non limitarsi a un sondaggio una volta all’anno senza poi mettere in atto azioni concrete”. - Errore come crescita, non stigma. In Italia c’è ancora troppa paura di sbagliare, anche ai livelli manageriali. Questo frena le scelte innovative, mentre altri paesi europei (es. Francia, Spagna, Nordics) sperimentano con coraggio soluzioni tech.Serve cambiare mindset: l’errore è parte del progresso. Non sbaglia chi rischia, sbaglia chi resta fermo. La vera innovazione nasce da una cultura che accetta l’incertezza come terreno fertile per apprendere, migliorare e crescere. È tempo che anche i nostri manager si sentano autorizzati a sperimentare, senza dover prima chiedere “permesso al passato”.
- Leadership: più umana, grazie alla tecnologia. Un vero leader oggi delega all’AI i compiti ripetitivi e si dedica a ciò che conta davvero: ascoltare, motivare, formare.
Tecnologia non per sostituire, ma per liberare il potenziale umano.
Affidare all’AI i task operativi non è una perdita di controllo, ma un guadagno di tempo e visione. È in quel tempo riconquistato che la leadership può tornare ad essere relazione, fiducia, cura delle persone. L’AI gestisce i dati, il leader coltiva il senso. - Accademie, formare per il lavoro reale. Le università chiedono visibilità sulle competenze richieste dalle aziende. È il momento di collaborare per costruire corsi aggiornati e coerenti. Meno teoria, più impatto concreto dal primo giorno di lavoro. Le imprese hanno il dovere di essere trasparenti sui bisogni reali, e le accademie la responsabilità di adattare la formazione. Serve un nuovo patto formativo, basato su competenze tangibili, esperienze pratiche e dialogo costante. Il futuro del lavoro comincia in aula — ma solo se l’aula parla il linguaggio del lavoro.
- Lo sport come leva HR. Non è solo una metafora, ma una scuola concreta di soft skill: resilienza, concentrazione, spirito di squadra. Integrare sport e cultura organizzativa aiuta ad attrarre, motivare e trattenere le nuove generazioni, soprattutto in un mondo del lavoro sempre più fluido.
La vera sfida è costruire un’architettura culturale condivisa, che parta dalle persone ma sia guidata dall’intera organizzazione, fino ai vertici.
“La trasformazione non si affronta con iniziative spot. Serve un ecosistema culturale che sappia ascoltare, dare senso all’errore, aggiornare la leadership e parlare con i giovani in modo autentico,” conclude Alessandro Castelli. “Questa evoluzione deve coinvolgere tanto i leader di oggi quanto quelli di domani: significa aiutare i giovani a costruire la propria identità professionale e di leadership, in un contesto che sappia davvero valorizzare competenze e relazioni. Senza questa visione integrata, rischiamo che l’innovazione tecnologica diventi un acceleratore di alienazione”.