Nel 2023, l’Italia si è posizionata al ventitreesimo posto tra i paesi dell’UE27 per competenze digitali dei propri cittadini, con un ritardo di 10 punti percentuali rispetto alla media europea – lo rivela ISTAT in uno suo recente studio.
Il divario è evidente: se settori come quello dell’informazione e comunicazione mostrano un buon livello di alfabetizzazione digitale, altri, come l’agricoltura e l’edilizia, sono in forte difficoltà. Nonostante gli sforzi delle aziende ICT nell’aumentare la formazione dei dipendenti, il divario con il resto d’Europa persiste. Anche la crescita di specialisti e laureati in materie tecnico/scientifiche, pur presente, non è sufficiente a colmare il ritardo complessivo rispetto agli altri Paesi dell’Unione. Diventa quindi urgente per l’Italia accelerare gli investimenti nello sviluppo delle competenze digitali della popolazione, condizione imprescindibile per colmare il divario e rafforzare la propria competitività.
Un commento sul tema, a cura di Tiziano Bertolotti di Peoplelink
“Il recente rapporto ISTAT, pur mostrando una realtà preoccupante, non sorprende chi di noi osserva regolarmente da vicino l’evoluzione del panorama digitale italiano. Con il 42% dei nostri cittadini privi di competenze digitali di base, ci troviamo di fronte a un gap critico che minaccia di minare il nostro stesso livello economico e lasciarci indietro in un mondo sempre più guidato dal progresso tecnologico. Dati del genere non devono essere una semplice statistica di cui prendere atto, ma rappresentano l’occasione per una chiamata a gran voce rivolta a istituti di formazione, politici, leader aziendali e singoli individui, con l’obiettivo di avere una risposta collettiva e finalmente decisiva.
Per affrontare questa sfida con successo è necessario un approccio a 360 gradi, che vada oltre la semplice presa d’atto del problema. Occorre investire in modo proattivo nel futuro, incrementando il peso di un’istruzione di tipo STEM – ovvero le discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche – già dai primi cicli di studio, per garantire che i nostri bambini abbiano già gli strumenti per un futuro digitale. Investire nella loro “fluidità digitale” fin da piccoli non deve essere un’opzione, ma un investimento per la competitività della nostra nazione negli anni a venire. Dobbiamo accendere la passione per la scienza, la tecnologia, l’ingegneria e la matematica fin dalle prime fasi dell’istruzione, promuovendo l’alfabetizzazione digitale, ma anche il pensiero critico e la capacità di identificare e affrontare i problemi.
Le competenze tecnologiche, infatti, non devono essere fini a sé stesse, per evitare rischi di una eccessiva omogeneità e conseguente sterilità. Alla formazione STEM deve abbinarsi una solida cultura logica e umanistica che dia agli studenti la capacità di utilizzare gli strumenti (anche tecnologici) a disposizione in modo personale e intelligente, non solo per analizzare meglio il mondo che ci circonda, ma anche per ricavarne una lettura personale, che faccia emergere la capacità critica e il valore individuale della persona.
Il discorso vale per i giovani che si affacciano oggi al mondo del lavoro, ma anche per chi già ne fa parte: abbiamo bisogno di solidi programmi di aggiornamento e riqualificazione specificamente pensati per dare la possibilità di recuperare anche a categorie demografiche attualmente lasciate indietro, come le donne oltre i 45 anni. La loro partecipazione non è solo una questione di equità sociale; è un imperativo economico che non possiamo più permetterci di ignorare. Dobbiamo creare percorsi accessibili che permettano alle persone di acquisire le competenze richieste, digitali e umanistiche, indipendentemente dalla loro età o percorso passato, fornendo loro gli strumenti e le opportunità per occupare un posto adeguato nello scenario lavorativo attuale.
Tuttavia, per trasformare veramente la nostra forza lavoro e sprigionare il pieno potenziale del nostro capitale umano, è fondamentale andare oltre gli approcci tradizionali. La crescente digitalizzazione dei processi genera quantità di dati molto elevate e costantemente crescenti. Dobbiamo abbracciare il potere degli insight basati su questi dati e sfruttare la tecnologia per creare un sistema di sviluppo professionale più agile, reattivo e personalizzato, che dia la possibilità ai singoli individui di identificare le proprie inclinazioni, e valorizzarle con il giusto mix di competenze, tecnologiche e logiche/umanistiche. Come i dati in produzione vengono utilizzati per anticipare evoluzioni e necessità, anche l’integrazione di tecnologie HR all’avanguardia può permetterci di passare da un modello reattivo a uno proattivo, identificando le esigenze in anticipo e contribuendo alla realizzazione di soluzioni mirate.
Immaginate di poter anticipare le future esigenze in termini di competenze prima che diventino colli di bottiglia critici, garantendo alle aziende l’accesso alla pipeline di talenti necessari per prosperare. O di poter personalizzare i percorsi di sviluppo dei dipendenti sulla base di dati in tempo reale, fornendo agli individui le abilità di cui hanno bisogno per fare carriera e contribuire al loro massimo potenziale. E infine, di poter misurare con precisione il ritorno sull’investimento dei nostri sforzi di upskilling, dimostrando l’impatto tangibile sulla crescita individuale e organizzativa.
In un mondo che si fa sempre più digitale, ma che richiede capacità di analisi e discernimento, questo è il potenziale di trasformazione offerto da una tecnologia HR all’avanguardia: un’opportunità per le aziende italiane di non limitarsi a colmare il divario digitale, ma di muoversi in anticipo, promuovendo un’Italia più competitiva, innovativa e pronta per le prossime sfide. Adottando un approccio allo sviluppo della forza lavoro incentrato sulle persone, possiamo potenziare gli individui, rafforzare le aziende e garantire un futuro più luminoso al nostro Paese”.