Dai risultati del sondaggio condotto da Conflavoro PMI si evince quanto la transizione digitale in Italia sia poco supportata e molto ostacolata.

Transizione digitale

In assenza di una adeguata politica economica e fiscale, le piccole e medie aziende italiane faticano a investire sulla transizione digitale: lo rivela il sondaggio promosso da Conflavoro PMI. Il 54,90% delle piccole e medie imprese interpellate non dispone di un sito web aggiornato oppure ne ha uno trascurato. Su 2 mila aziende intervistate, nessuna dispone di un blog e il 30,80% non usa alcun social media. Tra i settori meno aggiornati quello del turismo. Più della metà degli imprenditori interpellati da Conflavoro PMI dichiara che questa mancanza è correlata a una carenza di personale, o comunque di personale adeguatamente formato e aggiornato, mentre una seconda ragione è legata alla mancanza di fondi.

Sorprende”, ha dichiarato il presidente dell’associazione di categoria, Roberto Capobianco, “che un processo indifferibile come quello della transizione digitale delle imprese non venga supportato con interventi mirati. Le piccole e medie imprese sono la struttura portante del sistema produttivo italiano: miope non investire nella loro crescita”.

Un dato che, rileva Roberto Capobianco, risulta aggravato dall’attuale situazione politica italiana.

Rimane necessaria”, aggiunge il Presidente di Conflavoro PMI, “la pianificazione di incentivi che consentano alle imprese di programmare strategie di sviluppo digitale: sgravi fiscali, contributi a fondo perduto, prestiti e tassi agevolati. È ovvio che con la caduta del governo i procedimenti avviati non potranno che subire altri ritardi. È proprio per arginare questi problemi che Conflavoro ha chiesto di intervenire con urgenza, richiesta che rinnoveremo all’esecutivo che si insedierà. Il governo aveva avviato un processo di transizione digitale delle imprese al quale Conflavoro stava lavorando insieme ai propri associati. La crisi rischia di bloccare tutto: è possibile che non rientri tra gli affari correnti di cui l’esecutivo si occuperà nell’immediato, e le aziende rischiano così di trovarsi a settembre con il problema aperto e il timore che il nuovo esecutivo non intervenga. È urgente investire nella formazione per le competenze digitali potenziando programmi formativi; e favorire l’assunzione di personale qualificato”.

Per la transizione digitale le imprese, rileva Conflavoro PMI, necessitano di sostegno da parte delle istituzioni, oltre a incentivi fiscali, bonus, prestiti e tassi agevolati. Misure che permetterebbero investimenti in formazione, riqualificazione e ricerca di personale qualificato. La digitalizzazione è infatti un passo fondamentale per aumentare il posizionamento competitivo delle singole aziende e colmare il divario con le altre nazioni europee.

Appare dunque evidente”, commenta ancora Roberto Capobianco, “che specie in alcune regioni meno digitalizzate occorrano investimenti non solo economici, ma anche in termini di formazione e riqualificazione continua del personale. Gravi carenze che devono essere risolte coi piani di investimento previsti dal Pnrr, che stanzia 82 miliardi per fronteggiare quella che rischia di diventare una nuova questione meridionale”.

Il dato rilevato dal sondaggio di Conflavoro PMI è confermato a livello europeo. L’ultima edizione del Digital Economy and Society Index della Commissione Europea (DESI), condotta su dati del 2020, colloca l’Italia tra gli ultimi Paesi in Europa in termini di transizione digitale. Il nostro Paese è infatti al 20esimo posto su 27, una posizione in meno rispetto all’anno precedente.

La situazione si declina poi in modo diverso variando su base regionale: le nove regioni che registrano un punteggio superiore alla media nazionale sono tutte nel Nord Italia (57,5% per la provincia autonoma di Trento, seguita da Lombardia e Bolzano), mentre le regioni del centro-Sud riportano punteggi sotto la media.

Sono necessari più incentivi per consentire alle imprese di poter riprogrammare le loro strategie di sviluppo digitale. Servono sgravi fiscali, contributi a fondo perduto, prestiti e tassi agevolati. Questa necessità si affianca a quella di investire nella formazione per le competenze digitale potenziando specifici programmi formativi; e nell’assunzione, di personale qualificato che possa favorire l’ingresso in azienda di protagonisti del settore digitale”, conclude Roberto Capobianco.

Highlights del sondaggio

  • Il 45,10% degli imprenditori ha dichiarato di avere un sito web aziendale; anche se il 31,70% ha ammesso di non aggiornarlo periodicamente. Il 23,20% delle imprese invece non ha un sito web dedicato.

Transizione digitale

  • Per il 54,9% delle piccole e medie aziende italiane non appare indispensabile disporre di un sito aggiornato. Questo perché il 29,30% degli intervistati non lo ritiene affatto utile, mentre più della metà degli intervistati dichiara di non disporre di personale formato per seguire un sito, o comunque di non avere un numero sufficiente di dipendenti da poter indirizzare su tale lavoro. Solo il 19,07% del campione dichiara di non avere sufficienti risorse economiche.

Transizione digitale

  • Lievemente migliore appare la situazione relativa all’uso dei social media: il 69,2% degli intervistati ha dichiarato di essere presente almeno su un social (per il 98% si tratta di Facebook, LinkedIn, Instagram), mentre solo l’1,9% utilizza piattaforme come YouTube e Vimeo, e nessuno dispone di un blog. I social servono, nella visione degli imprenditori interpellati, per promuovere l’immagine dell’impresa (88,59%), raccogliere impressioni (8,56%) e ricercare personale (2,85%).

Transizione digitale

  • Lo scarso utilizzo dei social rivela una mancanza strutturale: se infatti il 52,84% degli intervistati ritiene che i social media non siano utili, la restante percentuale non si avvale del mezzo per mancanza di risorse economiche e di personale adeguatamente formato e dedicato allo scopo. Un gap del quale gli imprenditori hanno contezza, tant’è che il 47,83% di loro giudica solo sufficiente il proprio livello di digitalizzazione, a fronte di percentuali esigue per gli estremi “ottimo” (2,75%) e “inesistente” (1,14%).

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