Abbattere la povertà attraverso l’inclusione finanziaria è uno dei 17 obiettivi di sostenibilità dell’Onu ed è in cima all’Agenda europea 2030.

inclusione finanziaria

Nell’anno 2020 è emerso con chiarezza il potenziale della digitalizzazione. In ogni campo e anche in quello finanziario. Ma il 2020 è stato anche un anno in cui milioni di persone – soprattutto vicine alla soglia di povertà e anche nel mondo occidentale – si sono dovute confrontare con sfide finanziarie senza precedenti, sfide che il FinTech ha contribuito in maniera determinante a superare e in parte a vincere grazie al potere di inclusione finanziaria che lo caratterizza.

Il nuovo corso parte dagli USA dove le neo-banche come Cash App, Venmo, Chime, Money Lion, e Dave sono in grado di offrire una gamma di servizi finanziari a tutto tondo, dal conto corrente, alla carta prepagata, ai pagamenti P2P fino a forme più o meno evolute di investimento. Tutto via app, scaricate in maniera intensiva nel corso dei 12 mesi, soprattutto da quei 30 milioni di americani che rientrano nelle categorie degli unbanked o underbanked. È una cifra enorme: circa il 10% dell’intera popolazione USA, che è la più evoluta economia occidentale, non possiede alcun accesso in banca o è sottobancarizzata, ovvero possiede un accesso limitato o scarso in termini di servizi e possibilità. E allora non è un caso che gli investimenti in capitale di rischio in queste banche in USA, ma anche in Europa e in America Latina, siano letteralmente esplosi nel corso dell’anno. La già citata Chime, ma anche Robinhood, NuBank (Brasile) e Revolut (Europa) hanno tutte raggiunto valutazioni superiori ai 5 miliardi. PayPal e Square (che controllano rispettivamente Venmo e Cash App) hanno visto, grazie all’inclusione finanziaria portata dal Fintech, le loro azioni più che raddoppiare lo scorso anno.

Non solo Usa: in tutto il mondo la tecnologia facilita l’accesso alla finanza

La tecnologia è ormai da anni l’unica porta di accesso al mondo della finanza nel mondo emergente (dove l’alternativa tradizionale di fatto esiste solo per una piccola parte di abbienti). Nell’Asia meridionale dal 2014 a oggi i titolari di conti online sono aumentati del 23% e sono il 70% della popolazione. A guidare il trend di inclusione finanziaria sono la Cina e soprattutto l’India. In Africa, dove secondo il Global Financial Inclusion Database della Banca Mondiale i possessori di conti corrente sono raddoppiati dal 23,2% del 2011 al 34,2% del 2014 al 42,6% del 2017, la regione Sub sahariana è l’unica al mondo in cui la percentuale di adulti titolari di un conto di mobile money supera il 20%.

Chi sono gli unbaked e perché non devono più esserlo

Ma è sempre la Banca Mondiale a rilevare che (pre-Covid) erano un miliardo e 700mila gli adulti che non avevano alcun accesso a servizi finanziari di alcun tipo, con una concentrazione maggiore, ovviamente, nel mondo emergente.
Se il Covid e la conseguente esplosione del FinTech hanno contribuito all’inclusione finanziaria e, quindi, all’apertura delle porte della finanza anche solo a una frazione di questa massa enorme di unbanked, è una notizia da accogliere con grande entusiasmo. Perché agevolare l‘accesso delle persone alla finanza è la via maestra per abbattere la povertà. Questo è uno dei 17 obiettivi di sostenibilità dell’Onu e l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile dell’Ue si pone come primo obiettivo proprio la povertà zero, che si raggiunge anche attraverso la microfinanza. La quale, associata alle nuove tecnologie, diventa uno strumento imprescindibile di inclusione economica e sociale: secondo la rivista scientifica MicroFinanza “lo sviluppo umano equo e sostenibile non può prescindere dalla tecnologia e dalla finanza”.

Sottobancarizzati? Un problema anche nel mondo occidentale

La Federal Deposit Insurance Corporation (FDCI) negli Stati Uniti stima che gli unbanked ancora oggi siano il 5,4% della popolazione (circa 7,1 milioni di persone). La situazione è migliorata rispetto al 2009 quando erano il 7,7%. In Europa e Asia centrale, ancora la Banca Centrale ci dice che 116 milioni di adulti sono unbanked, che “equivale a vivere al limite della soglia della povertà”. Numeri che sono stati esacerbati dalla crisi del 2008: dopo il tracollo del credito, da un lato l’Europa con le regole di Basilea ha costretto le banche a stringere le maglie del credito (penalizzando in maniera selettiva le microimprese e il retail, a cui fare credito è più rischioso) per rendere più solidi i bilanci; dall’altro negli USA il Dodd-Frank Act che ha riformato e reso più rigido il sistema a protezione dei risparmiatori. Ma con qualche errore: con il Durbin Amendment, per esempio, ha limitato le fee di transazione spingendo le banche ad aumentare le commissioni di tenuta, il che ha provocato la cancellazione dei conti da parte dei clienti meno abbienti. Un effetto collaterale molto pericoloso sul fronte sociale. Il Fintech, nell’anno 2020, ha portato l’inclusione finanziaria che ha consentito agli americani che nel frattempo non avevano alcun conto in banca, di incassare in maniera semplice e veloce il sussidio pandemico, ma anche di trasferire denaro a familiari in difficoltà: per questo le neo-banche sono state letteralmente prese d’assalto.

Il segreto dell’inclusione finanziaria è la tecnologia

Ma queste norme restrittive – al netto degli effetti collaterali nefasti – da entrambi i lati dell’Atlantico hanno di fatto anche aperto la porta al FinTech, alle challenger bank che non addebitano commissioni né richiedono saldi minimi e che via Api reperiscono tutte le informazioni necessarie per emettere carte di credito senza rischiare scoperti; e alle piattaforme di lending che riescono a fare credito anche a soggetti che le banche rifiutano perché a basso (o nullo) margine. O anche agli Exchange che consentono di investire in frazioni di azioni, con somme che partono anche da un euro. Perché le FinTech hanno costi inferiori, grazie alla tecnologia, e processi più efficienti. Senza considerare che offrono ai clienti un senso di sicurezza finanziaria, che deriva dalla velocità e dalla snellezza del servizio, ma anche alla personalizzazione e dall’ascolto.