La blockchain rappresenta uno dei fenomeni più dirompenti degli ultimi anni e una delle tendenze tecnologiche destinate ad avere il maggiore impatto sulle nostre economie e società in questo decennio.
Nel nuovo modello di scambio e transazioni in rete, si cristallizzano tre delle caratteristiche che definiscono il Web 3.0: decentralizzazione, finanziarizzazione ed empowerment. Per la prima volta nella storia, la tecnologia rende possibile alle comunità organizzate in nodi di creare le proprie valute e certificati di proprietà di risorse condivise, aprendo la porta a Smart Contracts, NFT (Non-Fungible Tokens), DeFi (Decentralised Finance) e DAOs (Decentralised Autonomous Organisations), in cui gli utenti diventano parte attiva del processo, con un ruolo nella rete che certifica lo scambio degli asset digitali.
Naturalmente, decentralizzazione ed empowerment rappresentano una minaccia al ruolo giocato dalle autorità centrali e dagli attori sistemici, sulla cui certificazione e controllo si basava la formalità e la validità delle transazioni. Confermata la blockchain come una tendenza presente e futura, le nostre istituzioni hanno reagito a questa minaccia integrandola nel sistema. Così, dopo una fase iniziale di aspirazioni più o meno rivoluzionarie, la blockchain sta entrando in una nuova fase di maturità, con due chiare linee di sviluppo, una pubblica e un’altra privata, entrambe “istituzionalizzate” e integrate nel sistema.
Da un lato, le banche centrali stanno promuovendo le cosiddette Central Bank Digital Currencies (CBDC), una tendenza ineluttabile su scala globale che sta maturando per affermarsi ed espandersi nei prossimi anni, rivoluzionando le regole del gioco dei sistemi monetari. Dall’altro, molte banche private hanno iniziato a guardare alla blockchain per automatizzare le loro transazioni al fine di semplificare i loro processi e ridurre i costi.
Come spiega Gillian Tett sul Financial Times, diverse banche di Wall Street hanno iniziato a offrire ai manager e ai CFO soluzioni basate sulla blockchain: JP Morgan ha annunciato un progetto di “denaro programmabile” per effettuare pagamenti automatici attraverso Smart Contracts, mentre HSBC e Wells Fargo intendono utilizzare le tecnologie blockchain per le transazioni interbancarie. Automatizzando questi processi, le banche riducono la burocrazia, eliminando l’errore umano e minimizzando i tempi (cioè i costi). Inoltre, la riduzione degli errori umani nella gestione delle transazioni permette alle banche di limitare le riserve e gli accantonamenti che le banche mettono da parte per coprire i rischi che ne derivano, liberando liquidità per altre operazioni.
Le tecnologie Blockchain comportano anche altri vantaggi di trasparenza, tracciabilità e agilità alle operazioni. Nel 2018, Indra (capogruppo di Minsait) e la banca BBVA hanno realizzato con successo la prima sperimentazione di prestito tramite blockchain: la banca ha erogato un prestito di 75 milioni di euro utilizzando una soluzione basata sulle Distributed Ledger Technology (DLT) che garantisce la piena tracciabilità del contratto: le due parti hanno potuto consultare e verificare autonomamente e in tempo reale lo stato del contratto e le condizioni, accelerando la negoziazione e riducendo il tempo di gestione da giorni a ore.
Nonostante tutti questi vantaggi e la crescente “istituzionalizzazione” delle tecnologie blockchain, in Italia non si percepisce ancora appieno l’impulso che questa tecnologia può apportare sia ad aziende private che alle pubbliche amministrazioni. Come riportato dall’Osservatorio del Politecnico di Milano, il mercato italiano vive in una fase di attesa con investimenti pari a 28 milioni di euro per progetti blockchain, senza incrementi significativi rispetto agli anni precedenti.
L’ulteriore sviluppo delle tecnologie blockchain nel nostro Paese dovrà considerare tre aspetti fondamentali: l’adeguamento degli investimenti pubblici e privati al potenziale dirompente del nuovo modello, che sarà chiave nei prossimi anni per settori sistemici come quello finanziario ed energetico; una regolamentazione delle criptovalute che permetta di porre dei limiti a quella che Evgeny Morozov chiama “la retorica della decentralizzazione che legittima le criptovalute [e] crea un vuoto pericoloso in cui prospera l’illegalità“; e la sostenibilità delle transazioni in rete, che ancora oggi richiedono uno sforzo energetico troppo elevato, soprattutto nelle blockchain come quella di Bitcoin che utilizzano il protocollo di consenso Proof of Work.
di Adriano Gerardelli, direttore Financial Services di Minsait in Italia