Il termine “metaverso” è stato coniato da Neal Stephenson nel suo libro “Snow Crash”: in un futuro post-apocalittico in cui l’iperinflazione ha minato il valore del dollaro statunitense a tal punto da favorire l’utilizzo di monete alternative come lo yen o il “Kongbucks”, la popolazione si rifugia in una realtà virtuale – il metaverso – in cui interagisce tramite avatar.
Esistono già tantissimi metaversi, come ben sanno gli appassionati di videogiochi: Second Life è stato uno dei tentativi di maggior successo di creare quel che oggi viene chiamato metaverso; aveva una propria valuta fluttuante, il Linden Dollar, che si poteva convertire in dollari USA a un tasso di cambio medio di circa 250 LD = 1 USD. Ciascuno di questi mondi virtuali ha il suo prodotto interno lordo, perché nel gioco i loro abitanti producono beni e svolgono attività cui è attribuibile un valore monetario. Nel 2015 il PIL (prodotto interno lordo) dell’economia di Second Life era stimato in circa 500 milioni di dollari.
L’avvento degli asset e delle monete digitali come il bitcoin ha inaugurato una nuova fase di questo processo di trasformazione tecnologica: ne è un esempio The Sandbox (una sorta di incrocio tra Runescape e Minecraft) in cui il criptotoken nativo (SAND) vanta attualmente una capitalizzazione di mercato equivalente a circa 2 miliardi di USD. In un altro mondo virtuale, Decentraland, si utilizza un token (MANA) la cui capitalizzazione di mercato è valutata a 4,4 miliardi di USD.
Da qualche tempo a questa parte, i confini tra spazio fisico e quello virtuale sono sempre più labili: ci troviamo nel metaverso (anzi, nei metaversi) da un bel pezzo, attraverso un processo che potremmo definire come “virtualizzazione del mondo”; nel decennio in corso è cambiato però qualcosa di fondamentale: solo negli ultimi anni, nei paesi industrializzati, la maggioranza delle persone (ossia più del 50%) non ricorda come fosse la vita prima di Internet. Questi cambiamenti demografici continueranno a svilupparsi, soprattutto nei paesi in cui gli smartphone sono ovunque e la popolazione è più giovane.
Sorge spontanea una domanda: quale sarà la valuta nel metaverso di Mark Zuckerberg? Da anni Facebook tenta di sviluppare e lanciare la propria moneta digitale, un tempo chiamata “Libra” e ora “Diem”. Un modo per stimolare l’adozione di questa valuta digitale potrebbe essere la sua trasformazione in una moneta di riserva all’interno di Meta. Se la realtà fisica e quella virtuale si fondono, allora Diem può entrare rapidamente nell’uso comune e diventare così accessibile e utilizzabile accanto ad altre valute esistenti (ad esempio USD, JPY, EUR, ecc.).
Un’unica azienda non sarà però quasi certamente in grado di costruire, gestire e includere o escludere tutti gli altri mondi virtuali. Lo scenario più verosimile è costituito da un insieme di metaversi differenti che si avvalgono di protocolli interoperabili e software open source. È quello che ha fatto Jack Dorsey con Twitter, che sta integrando wallet open source di bitcoin nei profili degli utenti. Amazon sta cercando un direttore che aiuti i clienti di alto livello a trasformare la modalità con cui effettuano operazioni con asset digitali, dalla determinazione dei prezzi all’esecuzione, al pagamento e alla custodia. La ricerca di questo ruolo lascia presagire che altre aziende della classifica Fortune 500 seguiranno questa tendenza.
Meta ha fatto una grande scommessa con il suo rebrand – ma le opportunità vanno ben oltre ciò che Meta realizzerà in quest’ambito. I metaversi non sono una novità: ciò che è nuovo è l’entità degli investimenti che stanno attraendo e la crescente accettazione degli asset digitali presso una comunità di nativi digitali sempre più vasta.
di Benjamin Dean, Director, Digital Assets, WisdomTree