Il “civismo” di aziende e marche, secondo l’Osservatorio Civic Brands, inizia in primis dai dipendenti nel corso di questo periodo di emergenza

civismo
civismo

Da dove inizia il “civismo” delle aziende e marche? Secondo la nuova rilevazione dell’Osservatorio Civic Brands, il progetto editoriale nato dalla collaborazione tra Ipsos e Paolo Iabichino, per l’83% degli italiani “Un’azienda che vuole davvero migliorare la società in cui viviamo deve prima di tutto occuparsi della qualità della vita dei propri dipendenti”. Questo dato non è solo figlio dell’emergenza Covid- 19, ma, già antecedentemente, aveva raccolto il 73% dell’opinione pubblica.

In effetti, il mantra di ogni CEO di aziende che vogliono davvero definirsi “civiche”, dovrebbe essere riassunto nell’affermazione probabilmente attribuibile a Leo Burnett: “il mio capitale sociale alle 18 prende l’ascensore e va a casa”.

Del resto, come possono l’impegno e la “promessa” di un’azienda nei confronti della società essere credibili se lo stesso impegno e responsabilità non vengono dimostrati verso coloro che, a tutti gli effetti, rappresentano il vero patrimonio aziendale, ovvero i propri dipendenti?

Di sicuro, l’emergenza che abbiamo attraversato ha costretto moltissime aziende, se non tutte, a prendere provvedimenti per salvaguardare la salute del proprio personale, attivando, ove possibile, soluzioni di smart working (o in molti casi semplicemente di un “telelavoro” poco smart), ma mantenendo attive le linee di produzione, gli stabilimenti, la logistica, ecc.

È stata, per certi aspetti, un’occasione per mettere alla prova i reali valori di welfare che spesso vediamo sbandierati in brochures, comunicati, o splendidi poster appesi nelle sale riunioni o nei corridoi delle grandi, medie e piccole aziende, ma, non da tutti sentiti e concretizzati nello stesso modo.

A tal proposito, abbiamo potuto leggere esempi di imprenditori della filiera alimentare, come Giovanni Rana e Francesco Mutti, i quali, con significativi aumenti di salario, hanno premiato i propri dipendenti che hanno garantito la continuità delle linee produttive. Fortunatamente non sono stati i soli ad agire, in modo attivo, nei confronti del personale in fabbrica.

Non tutte le realtà, purtroppo, hanno voluto seguire questi esempi e hanno chiesto ai propri dipendenti sacrifici, senza dare nulla, o quasi, in cambio. A nostro avviso, è stata una grande occasione persa per dimostrare la responsabilità e il civismo delle aziende.

Il protrarsi dell’emergenza da Covid-19 e il conseguente impatto sulle performance aziendali hanno, inoltre, fatto sì che moltissime realtà abbiano dovuto prendere dei provvedimenti di contenimento dei costi e procedere ad una riduzione dei salari per poter continuare ad essere presenti sul mercato, in modo adeguatamente competitivo. Si è, quindi, fatto ampio ricorso alle forme di sostegno previste dal Governo, come la Cassa Integrazione Straordinaria, ma di notevole importanza sono apparse anche le scelte, da parte di molti manager e dirigenti, di procedere ad una riduzione volontaria di una parte, a volte anche significativa, del proprio salario per poter contribuire al contenimento dei costi e alla salvaguardia dei posti di lavoro.

Purtroppo, non tutti i comportamenti sono stati coerenti con le dichiarazioni di intenti.

Possiamo dire che il modo in cui aziende e imprenditori “si curano” dei propri dipendenti, in particolare durante momenti di grande crisi o difficoltà, sia davvero la prima cartina tornasole della credibilità di un gruppo aziendale che vuole assumersi e comunicare al pubblico il proprio ruolo attivo per lo sviluppo sociale e culturale della comunità, grande o piccola che sia.

La popolazione delle imprese diventa il primo tassello da cui partire per costruire il “civismo delle aziende”.