Nel mondo del lavoro italiano si discrimina sull’età? Ne parliamo con Andrea Pietrini, Founder e Chairman di YOURgroup, società italiana leader nel settore del fractional management ed esperto di gestione delle risorse umane.
In ambito professionale persistono numerose forme di discriminazione, più o meno manifeste. Una di queste riguarda l’età dei candidati, anche in considerazione delle forme contrattuali di assunzione e dei relativi costi, oggi esistenti. Parliamo, per esempio del contratto di apprendistato che è consentito solamente per gli under 30 oppure delle varie forme pubbliche di incentivazione alle assunzioni, riservate sempre alla medesima categoria.
Può succedere che i datori di lavoro possano nutrire pregiudizi, ad esempio, nei confronti dei giovani, neolaureati o neodiplomati, a causa della loro scarsa o inesistente esperienza, in particolare per mansioni che richiedano molti anni di lavoro prima di essere in grado di gestire certe funzioni. In altri casi invece, vengono previlegiate attitudini giovanili pensiamo a funzioni in ambito informatico dove l’esperienza viene dall’essere nativi digitali, per non parlare poi di mansioni fisiche, dove la prestanza e quindi anche l’età contano.
In questo caso, se in generale non inserire la data di nascita può prevenire questo deprecabile atteggiamento, si possono però percorrere strade alternative. D’altra parte, gli esperti di recruiting professionale sostengono che la data di nascita possa essere molto utile se rapportata ad un percorso lavorativo specifico. Se, ad esempio, un candidato trentenne può dimostrare di aver conseguito la sua laurea nei tempi giusti e un rapido inserimento nel mondo del lavoro post-laurea istantaneo e un’esperienza duratura nel medesimo lavoro allora specificare l’età può essere un fattore di vantaggio.
“Non esiste una regola aurea, o un precetto generale relativamente a questo aspetto. – sottolinea Andrea Pietrini, fondatore e chairman di YOURgroup, società leader nel settore del fractional management – In generale, sarei portato a dire che inserire l’età sul curriculum può essere utile se si cerca un lavoro in cui questa rappresenta un requisito o un valore aggiunto, come per esempio i lavori per i più giovani, quelli in cui l’esperienza, intesa anche come maturità, è fondamentale o anche le professioni di natura sociale, come nel terzo settore. Non inserire l’età sul curriculum può essere svantaggioso se, altresì, si cerca un lavoro in cui l’età è irrilevante o secondaria, come per esempio i lavori tecnici, creativi, scientifici, digitali, innovativi. Inserire l’età sul curriculum in maniera strategica può essere vantaggioso se si vuole mostrare ai recruiter quale sia la propria storia, le motivazioni che ci ha portati a proporre la nostra candidatura, dimostrare che la nostra esperienza, più o meno prolungata, sono funzionali ai requisiti richiesti o anche la nostra voglia di imparare e di crescere. Per esempio, inserire la data di nascita all’inizio del curriculum può facilitare una migliore caratterizzazione del proprio profilo”.
La legge italiana, in questo senso, è molto chiara. Nella fattispecie, il Decreto Legislativo 216/03 specifica chiaramente come sia vietato discriminare l’assunzione di un potenziale lavoratore in base alla data di nascita. Un ulteriore norma, contenuta nell’articolo 10 del Decreto Legislativo 276/03, consente ai datori di lavoro di non assumere persone solo in situazioni palesemente sfavorevoli al corretto svolgimento di un lavoro. Un dilemma che rimane aperto sia sul fronte di chi si appresta ad affacciarsi al mondo del lavoro, per la prima volta o in seguito all’interruzione di un’attività professionale di lungo termine, e anche per parte di chi è alla ricerca di profili professionali specifici.
“Nel settore del fractional – continua Pietrini – l’età è generalmente un elemento che apporta valore aggiunto, visto il profilo esperienziale dei nostri manager, e le aziende apprezzano la competenza di chi, per un periodo più o meno prolungato, mette a disposizione il proprio vissuto professionale e le best practice conseguite. Dobbiamo recuperare il senso della ricchezza che l’esperienza rappresenta, sapere che questo bagaglio così prezioso può essere messo a disposizione della crescita aziendale, senza rincorrere a tutti i costi un giovanilismo che, se per alcune nuove funzioni può essere utile, non sempre è sinonimo di dinamicità e successo. Affidarsi a mani esperte vuol dire assicurarsi una comprensione dei problemi o delle opportunità che va al di là dei meri tecnicismi del business. L’esperienza è sinonimo spesso di oculatezza e anche senso pragmatico che può rivelarsi organico alla risoluzione dei problemi. Largo alla creatività dei giovani da far crescere ma anche la maturità professionale che consolida lo sviluppo”.