Il cloud, l’internet delle cose, i big data, la velocissima diffusione dei dispositivi iperconnessi, l’ipertrofia degli strumenti analitici: la digitalizzazione delle aziende e del mondo del lavoro si è imposta come un’accelerazione al tempo stesso distruttiva e rigenerante. Stanno cambiando i processi, le tecnologie e le stesse organizzazioni.
«La digitalizzazione porta con sé l’obbligo di ripensare il concetto stesso di organizzazione aziendale» ha spiegato Carola Adami, fondatrice e CEO di Adami & Associati (www.adamiassociati.com), società specializzata in ricerca di personale qualificato per Pmi e multinazionali, «ma il medesimo processo sottolinea anche la centralità delle risorse umane come elemento prioritario all’interno delle imprese» .
In questi anni – e ancora di più nei prossimi – le aziende si scontreranno con dei cambiamenti tecnologici dagli effetti non del tutto prevedibili, i quali a loro volta innescheranno l’introduzione di nuovi modelli organizzativi, imponendo una seria riflessione sui diversi ruoli professionali, sul management, sulle competenze necessarie e sulla leadership.
Il successo della trasformazioni digitali di un’azienda dipenderà prima di tutto dalla parallela valorizzazione delle risorse umane: «le nuove tecnologie digitali non elimineranno l’apporto indispensabile dei collaboratori, anzi» ha sottolineato Carola Adami «se sfruttate razionalmente potranno migliorare le interazioni e accentuare la progettualità e la creatività tipica dell’elemento umano».
A fare la differenza, dunque, saranno sempre i dipendenti, qualunque sarà l’apporto futuro di computer, robot e intelligenze artificiali. A sottolineare le sfide che la digitalizzazione imporrà nel mondo delle HR ci pensa poi il nuovo report di Deloitte ‘Rewriting the rules for the digital age‘, basato sull’intervista approfondita di oltre 10.000 responsabili HR, distribuiti in 140 Paesi diversi. Per l’88% degli intervistati la questione cruciale nel mondo delle Risorse Umane, ad oggi, è la costruzione dell’organizzazione del futuro.
«Più le aziende si rendono digitali» spiega Carola Adami «maggiormente comprendono l’importanza di un ripensamento della propria organizzazione, che le possa rendere quindi effettivamente più smart e più veloci, così da adattarsi in modo più rapido ai mutamenti interni ed esterni, oltre che alle alle richieste di maggiore dinamicità da parte degli stessi collaboratori».
Purtroppo, però, questi progetti di ristrutturazione interna non si dimostrano per nulla semplici, anzi: stando alle cifre di Deloitte, il 70% di queste riorganizzazioni falliscono in breve termine, a causa della ‘disobbedienza’ del team esecutivo.
Ma c’è un ulteriore dato che deve far riflettere: di fronte alla quota maggioritaria di aziende che vede nella costruzione dell’organizzazione del futuro la principale sfida da affrontare per le imprese, solo l’11% degli intervistati ha dichiarato di comprendere come portare avanti questo processo. E quest’ultimo aspetto chiama in causa quella che è sentita come la seconda sfida più importante per il mondo delle HR, ovvero la questione ‘careers and learning‘.
«Un tempo i lavoratori imparavano tutti il necessario per lo svolgimento del proprio ruolo all’inizio della carriera, e quelle competenze erano sufficienti per decenni, praticamente fino al pensionamento», ha ribadito Carola Adami,«mentre oggi le competenze vanno rinnovate di anno in anno, il che significa che una brillante carriera lavorativa non può essere tale senza un aggiornamento continuo».
Di fatto, dunque, le lunghissime carriere attuali si configurano sempre più come un compromesso tra lavoro e studio. Non a caso il titolo dello studio di Deloitte proclama la necessità di ‘cambiare le regole’: «per poter davvero approfittare della rivoluzione digitale» conclude Carola Adami, «è necessario che l’Human Resources Management inizi ad agire fuori dagli schemi prestabiliti, cercando al proprio interno le capacità e gli strumenti per valorizzare al meglio le persone che lavorano in azienda».
Al progresso tecnologico, dunque, non corrisponde un declassamento delle risorse umane, al contrario: l’81% delle aziende è del resto convinto che la selezione del personale e la capacità di individuare i giusti profili professionali resteranno un fattore vitale per il successo aziendale, anche nell’incombente era digitale.