Con il graduale rientro in ufficio e l’affermarsi di una nuova normalità oggi le aziende hanno la priorità di garantire la sicurezza dei propri dipendenti. Un aiuto potrebbe arrivare dalla tecnologia e dalla medicina a distanza, un modello che dopo essere stato sdoganato durante la pandemia per questioni di necessità, è ora un alleato in più nell’esercizio del processo di cura. In futuro questo tipo di erogazione della prestazione medica prenderà progressivamente sempre più piede grazie ad una serie di vantaggi sia per le organizzazioni mediche, che per i datori di lavoro, che per i cittadini. Da 15 anni specializzata in Digital Health, Comarch Healthcare propone i suoi Diagnostic Point: dei veri e propri chioschi interattivi dove il paziente misura da sé i propri parametri vitali inviando, tramite la piattaforma cloud Comarch e-Care, i dati all’ambulatorio di Comarch, che può intervenire dando delle indicazioni al paziente sulla necessità di ulteriori accertamenti in centri specialistici o con video visita.
Abbiamo parlato di questo, e di come evolverà ulteriormente questa tecnologia in futuro, con Daniele Greco, Responsabile Business Development per Comarch in Italia, che esordisce:
“I primi sistemi di telemedicina nascono a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80 come telecardiologia ma è solo con una lenta evoluzione tecnologica e l’avvento di internet che si aprono nuove possibilità più concrete. A partire dal primo decennio degli anni 2000 in Italia partono diversi progetti di telemedicina che però restano circoscritti a cerchie di medici particolarmente sensibili al tema. A fare da spartiacque è stata la pandemia di Covid-19 perché con questa si è scoperta la necessità, più che l’utilità in prima istanza, di dover curare le persone senza che medici e pazienti entrassero fisicamente in contatto”.
Ci spieghi meglio…
“La pandemia di coronavirus ha fatto sì che venisse sdoganata, non solo nella popolazione giovane e più tecnologica, ma anche in quella più anziana, l’idea di affidarsi ad un professionista a distanza per una visita diversa da come la intendiamo in termini classici. Si è trattato di un atto di fede perché in quel momento non si poteva fare nulla di più e nulla di diverso”.
E cosa si è scoperto?
“C’era il timore che la popolazione non fosse sufficientemente avanzata dal punto di vista tecnologico per far fronte a questa nuova necessità ma invece abbiamo avuto la sorpresa che era molto più avanti di quello che gli operatori credevano. In un primo momento erano i caregiver, i figli, i nipoti a gestire le televisite dei genitori e dei nonni ma sono loro che poi in prima persona si sono effettivamente messi in gioco e hanno imparato ad utilizzare la strumentazione di cui disponevano. Un aiuto è arrivato anche dalla necessità di utilizzare in maniera massiva e diversa strumenti semplici come Whatsapp: mentre prima della pandemia questo veniva usato dalle persone adulte e anziane solo per mandare qualche messaggino d’auguri ora è lo strumento privilegiato per videochiamate con parenti e amici. E questo ha aiutato molto a familiarizzare con la tecnologia ed ha dato un input ad andare più avanti”.
Ecco, quindi, che oggi la telemedicina è qualcosa di normale e si utilizza anche all’interno delle aziende per la tutela della salute e della sicurezza dei propri dipendenti. Quali sono i vantaggi?
“Non tutte le visite sono ancora derogabili alla telemedicina ma tante si possono tranquillamente fare e questo permette a tante aziende, da quelle più grandi alle PMI, che hanno magari più sedi sparse sul territorio, di erogare la prestazione medica senza che il medico competente si muova direttamente all’interno delle varie sedi per fare le visite periodiche al dipendente. Il tutto ottenendo la medesima performance. Si risparmiano così soldi e tempo, in primis per il lavoratore che può programmare la sua visita senza uscire dal posto di lavoro, garantendo la business continuity della sua impresa.
Facciamo un esempio semplice: quando un medico del lavoro si muove fa dalle 20 alle 30 visite in un giorno solo. Se invece ha la possibilità di poter collettare diversi parametri vitali e poi di fare una videovisita secondo le tempistiche che lui reputa più idonee è sicuramente un plus sia per il datore che per il lavoratore stesso, oltre che per il medico”.
Parlando in termini concreti: Comarch Healthcare propone i suoi Diagnostic Point che sono stati studiati anche per essere utilizzati all’interno delle aziende. Cosa sono, come funzionano e che parametri vanno a misurare?
“Diagnostic Point è un’applicazione che colletta diversi parametri vitali che arrivano da diversi sensori che non sono altro che dispositivi medici di classe IIa: la persona effettua una pre-registrazione del suo account così che poi questi dati possano confluire sulla nostra piattaforma, anch’essa certificata come dispositivo medico classe IIa, dalla quale il medico può direttamente visualizzarli.
Concretamente la persona si trova davanti ad un totem dove sono presenti un tablet e tutta la sensoristica sparsa per il rilevamento dei parametri vitali. Il paziente sceglie il parametro che vuole misurare selezionandolo dal tablet e a questo punto parte una procedura guidata per la rilevazione. Il dispositivo è molto semplice da utilizzare. Parte quindi la misurazione e il dato viene inviato dal sensore all’applicazione, al tablet, che funziona da hub e trasmette tutto alla piattaforma e-Care.
Nella lista di dispositivi applicabili troviamo: ECG monodirezionale, ECG a 12 derivazioni, il saturimetro, lo sfigmomanometro, il glucometro, la bilancia impedenziometrica che rileva massa magra e massa grassa, un otoscopio e uno stetoscopio, che in una situazione ideale andrebbe utilizzato con un operatore a fianco per un uso corretto”.
Questa prima parte serve per la rilevazione dei parametri ma come dicevamo il tablet funge anche da hub per inviare i dati alla piattaforma. Focalizziamoci su questa: che cos’è Comarch e-Care?
“La piattaforma Comarch e-Care è un dispositivo medico di classe IIa, quindi certificato secondo canoni molto stringenti che permettono all’operatore sanitario, medico o infermiere, di poter visionare e valutare i dati rilevati in autonomia dal lavoratore, che potenzialmente può trovarsi anche all’altro capo dell’Italia o del mondo. La persona che sta facendo gli esami può richiedere tramite l’app e il totem di fare anche una videovisita in contemporanea e il medico sulla piattaforma ha la possibilità di vedere il paziente per fargli tutta una serie di domande più precise e visionarlo anche nella sua interezza, o, addirittura, di approfondire chiedendo informazioni aggiuntive al paziente come se ad esempio se prima di procedere con la rilevazione dei parametri avesse fatto le scale e così via. Il medico può fare diagnosi in tempo reale o pianificare un’ulteriore visita in presenza”.
Questi i lati positivi: ma ci sono anche dei possibili rischi legati al monitoraggio a distanza?
“Allo stato attuale sicuramente l’accuratezza non è uguale a quella di una visita vis a vis perché ad esempio se un medico nel suo studio riscontra una problematica ha subito a sua disposizione tutti gli strumenti per procedere con accertamenti ulteriori. Ma è l’unica problematica che vedo e che può essere bypassata richiedendo degli approfondimenti maggiori a degli specialisti. In futuro un ulteriore sviluppo della telemedicina potrebbe risolvere questo tipo di situazioni perché non sarà il paziente ad andare verso la struttura ma gli operatori della struttura andranno verso il paziente. Esistono già dei casi di telemedicina intesa in questo senso come, per esempio, le radiografie a domicilio o l’ecocardiogramma o l’ecografia: al momento ci troviamo in una fase iniziale e sono pochi gli strumenti che lo consentono ma indubbiamente gli sviluppi futuri andranno in questa direzione”.
Abbiamo visto che la tecnologia per la telemedicina esiste da tanti anni ma che solo nell’ultimo periodo si è iniziato, spinti dalla necessità, ad utilizzarla in maniera massiva. Anche il cittadino cambia il suo ruolo nel suo processo di cura diventando parte attiva. Effettivamente nel cittadino medio c’è la disponibilità ad affidarsi a queste nuove modalità di erogazione della prestazione sanitaria o c’è ancora un po’ di resistenza?
“Nei primissimi momenti della pandemia c’è stata una sorta di resistenza perché come tutti i cambiamenti spaventava. Gran parte del lavoro è stato fatto da parte dei clinici che hanno suggerito questo nuovo modo di uso della medicina.
Per fortuna le persone stanno iniziando a capire che il self-empowerment è una cosa molto importante perché altrimenti si rischia di passare la propria vita negli ospedali, soprattutto per chi soffre di patologie croniche.
Con la telemedicina so che dall’altra parte del terminale c’è qualcuno che controlla i miei parametri e sono informato su come procede la mia patologia e sono molto più tranquillo e sicuro nel restare presso la mia abitazione piuttosto che recarmi in ospedale. Questo strumento è utilissimo per evitare dei ricoveri o degli accessi al Pronto Soccorso impropri. I medici dal canto loro possono dedicarsi alle attività più a valore.
Il nostro sistema è molto ospedale-centrico: per qualsiasi cosa si va in Pronto Soccorso ma questo sistema con l’andare degli anni non è più sostenibile a causa del re-indirizzamento delle risorse. L’ospedale oggi non ha più le risorse per questo modello e quindi si sta cercando di delocalizzare oggi alle Asst (Aziende Socio Sanitarie Territoriali) in un sistema dove l’ospedale si prende cura anche di tutto il territorio circostante”.
Abbiamo parlato prima delle possibili evoluzioni della telemedicina con gli operatori che si recheranno al domicilio del paziente. In Italia con l’invecchiamento della popolazione e l’esplosione delle patologie croniche questo modello potrebbe essere un alleato determinante. Per il futuro cosa prevedete?
“Allo stato attuale ci sono già delle strumentazioni che permettono di monitorare i pazienti con patologie croniche e sono soluzioni molto verticali per patologia. Per quanto riguarda invece i Diagnostic Point sono in corso sperimentazioni dove sono gli operatori a recarsi presso il domicilio del paziente con cadenza prefissata effettuando misurazioni e videovisite per mettere in contatto il paziente con lo specialista in tempo reale. Come dicevamo questo serve per evitare delle ospedalizzazioni e dei ricoveri impropri. Già oggi 1 persona su 4 è affetta da patologie croniche e le più diffuse sono le malattie cardiovascolari, il diabete e le malattie polmonari.
Ecco perché già da 15 anni Comarch Healthcare ha sviluppato le sue soluzioni di telemedicina per aiutare il clinico nell’uso delle risorse e del proprio tempo col fine di evitare il sovraffollamento degli ospedali e degli ambulatori. Purtroppo, fino ad oggi c’era stata un po’ di diffidenza ma post-pandemia le riserve sono state per la maggior parte superate”.
Oggi sappiamo che il dato sanitario è quello più prezioso e più appetibile per il cyber crime: come gestite e tutelate il dato all’interno dei vostri sistemi?
“I nostri software sono tutti GDPR compliant. Questo richiede un riconoscimento univoco della persona che precedentemente ha firmato un consenso dello scambio dei dati, che vengono trattati da noi secondo quanto richiesto dalla persona stessa. C’è la possibilità di cancellare questi dati su richiesta esplicita del cliente e dopo dieci anni vengono automaticamente cancellati, a meno che ci siano accordi diversi con il cliente. Il medico può visualizzare solo ed esclusivamente i pazienti a lui assegnati e si può accedere alla piattaforma e-Care solo tramite USER ID e Password (che ogni 90 giorni deve essere modificata). Il paziente invece riceve un report tramite codice OTP (One Time Password) in modo tale che sia sicuro che solo lui è in possesso di questo codice. La tecnologia della televisita è end-to-end: solo le persone collegate in quel momento possono accedere e sentire cosa si sta dicendo e tutto quello che è uno scambio informatico rimane di proprietà del paziente ed è lui che decide a chi farlo vedere e per quanto tempo farlo vedere”.
Quali sono gli obiettivi di Comarch? Dove volete arrivare visto che il mercato si sta aprendo in questo momento?
“Fino a fine anno è ancora garantita la possibilità dello smart working ma poi si arriverà a forme miste di lavoro con giorni a casa alternati a giorni in ufficio. Con l’avvicinarsi del rientro sul luogo di lavoro stiamo parlando con molte aziende per introdurre la nostra soluzione per rendere il rientro più sicuro e permettere ai datori di avere la percezione della salute dei propri dipendenti in anticipo rispetto a una malattia o a una caduta che potrebbe avvenire. Sono ovviamente previsioni e bisognerà fare dei protocolli intra-aziendali, diversi per ciascuna azienda, per decidere quando una persona non si sente bene e potrà procedere con queste misurazioni.
Il nostro obiettivo è quello di avere un Diagnostic Point in ogni azienda ma bisogna ancora lavorare tanto. Comarch Healthcare ha già delle installazioni che però sono state bloccate in questi mesi ma che poi a gennaio, quando riprenderà il lavoro in ufficio, torneranno a pieno regime. E il nostro obiettivo è quello di andare presso più aziende possibili, sia a livello di PMI che di grandi multinazionali, dove è necessario un welfare aziendale importante”.
L’Italia rispetto agli altri mercati come è messa?
“L’Italia è un mercato molto fiorente rispetto a tanti altri. Ci sono zone, specialmente nel nord Europa, dove la telemedicina aveva già preso piede negli anni passati. Si pensi alla Gran Bretagna, dove l’NHS aveva già introdotto dei progetti massivi di telemedicina nei primi anni del 2010. Ad oggi noi abbiamo i presupposti per poter andare molto più avanti rispetto a tanti altri Stati grazie alla spinta che è arrivata dalla pandemia e grazie all’attenzione riservata nel PNNR alla Digital Health con lo stanziamento di fondi per la telemedicina che serviranno a dare il via e a far sì che questa tecnologia permanga anche nel futuro”.
Voi intanto avete dalla vostra parte la vostra esperienza e il vostro know how…
“Assolutamente sì. Comarch è una multinazionale con sede a Cracovia nata nel 1991. Nel 1993 l’impresa diventa una S.r.l. e circa 15 anni fa il nostro CEO intravede importanti opportunità nella Digital Health con tecnologie che anticipavano la telemedicina attuale. Ecco, quindi, che è stata creata la divisione Healthcare per sviluppare software e dispositivi utili per il lavoro medico. Oggi lavoriamo sulla base delle richieste del mercato: viene scoperta un’esigenza e insieme agli sviluppatori e ai medici viene creato un prodotto, poi testato nel nostro poliambulatorio e una volta che questo è ready-to-use viene lanciato sul mercato. Attualmente Comarch conta circa 6700 dipendenti in tutto il mondo in 5 continenti e in 50 paesi: di questi 6.700 dipendenti quasi 700 sono dedicati solo alla parte healthcare. Quindi c’è uno sforzo molto importante da parte di Comarch verso la parte di Digital Health”.