Il 36% dei nostri connazionali preferirebbe affidare la sicurezza IT all’AI, mentre il 36% ha più fiducia nell’uomo

AI e discriminazione sociale: come sconfiggere il bias?

Palo Alto Networks, in collaborazione con YouGov e della psicologa Jessica Barker, ha condotto l’indagine globale Trust In The Digital Age, per analizzare le percezioni degli utenti in tema di sicurezza IT e fiducia generale nella tecnologia.

La ricerca ha coinvolto 10.317 persone, di cui 1.021 italiane, per realizzare una panoramica dettagliata delle abitudini e dei comportamenti umani quando si utilizza Internet e della conoscenza e consapevolezza delle misure di protezione da mettere in atto per navigare in modo coscienzioso e sicuro, senza rischi per i dati.

La prima domanda relativa all’attribuzione delle responsabilità di sicurezza segna subito una differenza tra l’Italia e il resto del campione. Gli italiani, infatti, sono gli unici in Europa che preferirebbero affidare la propria sicurezza a Intelligenza Artificiale, algoritmi e macchine intelligenti (38%). A livello europeo (Italia inclusa), invece, una media del 36% ha maggiore fiducia nell’uomo, al quale affiderebbe la responsabilità della gestione della protezione della propria identità e informazioni.

Proprio grazie alle tecnologie disponibili, il 49% degli italiani può dedicare meno tempo e preoccupazione alla sicurezza dei propri dati, e lo stesso vale per gli altri paesi europei, con una media del 43% che si mostra fiduciosa.

Il 60% degli italiani sta facendo tutto il possibile per evitare di perdere dati personali. Questo comportamento attento e consapevole è condiviso anche in Europa, con una media del 66% dei rispondenti. Si tratta di un’attenzione che forse deriva anche dall’ansia causata dall’incertezza sui metodi per proteggere i dati online (40% sia in Italia che in media in Europa).

“Questi dati non stupiscono, anche se forse dovrebbero, sottolinea Mauro Palmigiani, Country General Manager Italia, Grecia & Malta di Palo Alto Networks. In Italia la fiducia nella sicurezza intrinseca alla tecnologia è molto alta, ed affidarle la protezione della propria vita digitale è ormai una consuetudine. Questo però è pericoloso: noi concordiamo sul fatto che la tecnologia offra i livelli di sicurezza adeguati ai nostri tempi, ma solo implementando le corrette best practices con la migliore tecnologia, integrata, automatizzata e orientata alla prevenzione. L’impegno del 60% degli intervistati è un patrimonio da valorizzare ed espandere attraverso un maggiore livello di formazione e di consapevolezza.”

Alla domanda relativa alla responsabilità della protezione dei dati, che consentiva risposte multiple, in Italia il 43% si sente direttamente responsabile, il 32% la attribuisce invece alle forze dell’ordine, il 30% la considera un compito degli Internet provider e il 24% degli operatori di rete mobile.

Un dato decisamente positivo emerso dall’indagine è che, nonostante la miriade di tentativi di violazione e furto di dati ben noti alle cronache, il 55% degli italiani dichiara di non essere mai stato coinvolto in un attacco informatico. Chi invece ne è stato vittima, segnala tra i vari danni subìti: furto di identità (10%), perdita economica (10%), perdita di dati (10%) e richiesta di riscatto (8%).

“È sicuramente positivo notare come il 60% degli italiani intervistati dedichi tempo e risorse per proteggersi in modo adeguato online e che oltre la metà non abbia mai subìto un attacco hacker, sottolinea Umberto Pirovano, Manager, Systems Engineering Italia, Grecia, Cipro e Malta di Palo Alto Networks. Tuttavia, un dubbio purtroppo resta. Molte persone considerano gli hacker quasi delle figure remote, che operano da luoghi lontani dalla propria cerchia di lavoro e vita privata, e per questo pensano di essere protetti, di non poter diventare bersaglio dei cyber criminali. Gli esperti di sicurezza sanno che gli hacker utilizzano tecniche molto sofisticate, con malware che agiscono in modo silenzioso, per realizzare data breach senza che gli utenti se ne rendano conto. Ci auguriamo che la protezione sia realmente adeguata e preventiva, ma non bisogna mai abbassare la guardia, anche quando sembra di sentirsi al sicuro.”

“Il fattore umano è una componente importante nella protezione aziendale, ma spesso viene considerato l’anello debole della sicurezza. A volte gli utenti aprono link e allegati pericolosi per curiosità, senza essere consapevoli dei rischi reali che possono correre. È quindi fondamentale che le aziende dedichino tempo e risorse alla formazione del proprio personale, per illustrare tecniche e metodologie del cyber crime e insegnare a proteggere se stessi e l’organizzazione in modo adeguato, conclude Mauro Palmigiani.