Per Aurora Simonetti di Red Hat una formazione digitale e l’integrazione di competenze umanistiche generano fiducia e partecipazione alle tematiche STEM e chiudono il gap di competenze nel mercato del lavoro.

STEM

Il mercato del lavoro di oggi è caratterizzato da due fronti che sembra non riescono a parlarsi: da un lato, una richiesta crescente di competenze specifiche necessarie a concretizzare i piani di innovazione e sviluppo sostenibile delle imprese. Dall’altro, intere fasce di popolazione che faticano a collocarsi e ad acquisire la propria indipendenza. Nel mezzo, una serie di barriere socio-economiche e culturali che alimentano disuguaglianze e frenano lo sviluppo. In ambito STEM, non è una novità che ci sia un disequilibrio nella rappresentanza di genere.

Le donne che intraprendono un percorso formativo in questa direzione spesso finiscono ad essere occupate in professioni legate all’educazione, alla formazione, alle risorse umane. Il risultato è che la presenza di figure femminili in azienda e in ruoli di tipo ingegneristico si restringe ancora di più: secondo il “Gender Gap Report 2021” del World Economic Forum, su 5 dipendenti nei ruoli ingegneristici, solo 1 posizione è ricoperta da una donna, solo il 32% ricopre professioni legate all’intelligenza artificiale e un ancor più esiguo 14% si occupa di cloud computing.

Eppure, incentivare la formazione digitale, soprattutto verso alcune fasce di popolazione come neodiplomati, donne e occupati con competenze a rischio di obsolescenza, può favorire la competitività sul mercato del lavoro, l’inclusività e il benessere sociale.

Per fare ciò, bisogna innanzitutto ridefinire il concetto di STEM. Le competenze tecniche e ingegneristiche, da sole, non bastano: secondo il rapporto 2022 “Il Digitale in Italia” di Anitec-Assinform, infatti, le soft skill hanno un peso sempre più rilevante poiché consentono di adattarsi più facilmente ai cambiamenti di mercato, soprattutto in un periodo di forte instabilità e discontinuità come quello attuale. Le competenze trasversali sono sempre più il grande driver e l’elemento differenziante nei criteri di selezione, in quanto determinanti per l’applicazione efficace dell’innovazione e per la gestione delle relazioni con i clienti.

In secondo luogo, è necessario trasformare la formazione in elemento sistemico, definendo un approccio scalabile che abbracci tutti i territori e tutte le industrie, facendo leva su “best practice” di percorsi formativi ed esperienze. Le imprese sono alla costante ricerca di profili fondamentali per aree di rilievo come cloud, security, governance, data analytics, e non riescono a chiudere le posizioni aperte che già devono avviare ricerche per nuove competenze e su nuove tecnologie. Una inversione di tendenza è possibile solo attraverso un lavoro congiunto tra imprese e istituti formativi per l’avvio di processi di reskilling e ricollocamento degli occupati.

Red Hat, ad esempio, ha avviato da diverso tempo alcune iniziative di formazione, sia a livello globale che locale, indirizzate a diversi target: donne, giovani e persone con diverse abilità.

L’azienda ha declinato in Italia Co.Lab, un’esperienza educativa basata sui principi dell’open source, che offre agli studenti delle scuole medie accesso al vasto mondo della tecnologia tramite kit pratici, laboratori, e workshop. Nel primo anno di attività, abbiamo coinvolto oltre 150 studenti di prima media e organizzato una tre giorni in presenza per metterli alla prova nella costruzione di un semplice circuito elettronico. L’obiettivo del progetto è duplice: da un lato, promuovere alcuni principi base dell’Open Source, come la collaborazione, l’adattabilità ed il valore della community, dall’altro, abbattere gli stereotipi legati agli studi scientifici e favorire un cambio di percezione, soprattutto per le ragazze.

Con Why Not Cooperativa Sociale Onlus, realtà non profit italiana situata a Bergamo, Red Hat ha avviato il progetto Ribes Academy, per offrire formazione tecnologica gratuita a lavoratori a basso reddito e a giovani che non lavorano e non sono più inseriti nel sistema scolastico. Dopo il primo anno di collaborazione, metà dei partecipanti ha già trovato una nuova occupazione.

Infine, l’azienda partecipa e supporta Hackher, progetto multidisciplinare creato da Bridge The Gaps e patrocinato dal Parlamento Europeo, nato per avvicinare le ragazze al mondo STEM. Nell’ultimo appuntamento che ha avuto luogo a Roma, Red Hat ha coinvolto oltre 100 studentesse provenienti da licei di indirizzo umanistico nello sviluppo di un’app, con l’obiettivo di dimostrare come, anche con un background umanistico, sia possibile intraprendere un percorso di studio di negli ambiti più ingegneristici.

Il digitale e le nuove tecnologie possono essere veramente un motore per generare una inversione di tendenza nel mondo del lavoro e colmare il gap di rappresentanza e inclusione. Per questo, bisogna intraprendere due percorsi congiunti: formare su competenze immediatamente spendibili e lavorare sull’educazione e l’informazione delle nuove generazioni, per incoraggiare i lavoratori di domani a trovare una nuova risposta alla domanda “cosa vuoi fare da grande?”.

di Aurora Simonetti, HR Business Partner di Red Hat Italia