I consumatori italiani dicono la loro sui chatbot, suggerendo ai service provider in ambito media e comunicazione come migliorarli

Automazione, AI e chatbot per migliorare il customer engagement

In una nuova indagine che ha coinvolto oltre 500 persone, i clienti italiani dei service provider in ambito media e comunicazione hanno espresso il proprio giudizio sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale (AI) in ambito commerciale e per il servizio clienti, specificando come vogliono essere assistiti da robot software e chatbot.

Lo studio ha inoltre coinvolto un panel di decisori sulla spesa in ambito AI delle principali aziende italiane di comunicazione e media, facendo emergere come i piani per un’ascesa dei robot in prima linea nelle interazioni con i consumatori possano essere ostacolati da scelte di investimento sbagliate e dalla mancanza di personale di talento. Questi sono alcune delle evidenze raccolte attraverso una ricerca condotta da Forrester Consulting per conto di Amdocs in America, Europa e Asia.

I consumatori amano la velocità e la comodità dei robot ma non vogliono averci troppo a che fare finché non saranno più umani e più intelligenti

Quasi un terzo (31%) dei consumatori italiani interagisce con agenti virtuali almeno una volta a settimana perché è più comodo (38%) e veloce (38%), ma il 45% confessa di farlo solo perché non ha alternative. Se potesse scegliere, il 79% preferirebbe parlare con un essere umano, dal momento che comprende meglio le proprie esigenze (75%) e può rispondere a più domande contemporaneamente (47%).  Secondo i consumatori i bot non sono ancora in grado di gestire richieste complesse (evidenziato come il problema principale), né di proporre offerte personalizzate come una persona o comprendere le emozioni di chi hanno di fronte.

Inoltre, i consumatori hanno le idee molto chiare su come vogliono che i bot siano fatti e si comportino.  Il 41% vorrebbe il proprio bot più simile a un umano, contrapposto a un 24% che vorrebbe avesse le fattezze di un avatar. Sebbene quasi la metà dei rispondenti (45%) non esprima preferenze di sorta, il 35% afferma che preferirebbe avesse tratti femminili piuttosto che maschili (20%). Le caratteristiche più apprezzate di un bot sono nell’ordine la gentilezza, l’attenzione e la serietà, seguiti dalla simpatia e dall’intelligenza. Esprimere autorevolezza o piuttosto avere un accento straniero rappresentano invece gli attributi che meno interessano ai consumatori, rispettivamente con l’8% e il 7% delle preferenze.

Gli investimenti dei service provider non sono attualmente focalizzati a risolvere le problematiche riscontrate dai consumatori

I service provider non si stanno concentrando sulle aree corrette nell’ambito degli investimenti in intelligenza artificiale. Dall’indagine, infatti, è emerso che tutti i service provider intervistati stanno dando priorità a investimenti nell’AI volti a migliorare la sicurezza delle informazioni, la privacy e la velocità di risposta. Tuttavia, elementi indicati dai clienti come principali aree di miglioramento – quali una migliore personalizzazione degli output e informazioni più complete – non rientrano tra le priorità dei service provider. Inoltre, attualmente il 42% dei service provider crea immagini di avatar per i propri bot, mentre i consumatori dichiarano di preferire immagini dalle fattezze umane. Non stanno nemmeno investendo in caratteristiche che i consumatori ritengono desiderabili. Sono ad esempio impegnati a rendere i bot educati ma non si stanno preoccupando di renderli premurosi o divertenti, elementi che i consumatori indicano rispettivamente al secondo e al quarto posto delle loro priorità. Il fatto che il 39% dei consumatori che riscontrano problemi con il servizio offerto attualmente dai bot non se ne lamenti significa che l’industria è all’oscuro dei feedback del mercato.

Il rischio maggiore delle strategie AI è l’impossibilità di far crescere la forza lavoro

Tutti i decisori in ambito AI dei service provider concordano nell’affermare che tra cinque anni l’85% delle interazioni con i clienti avverrà con robot software. Metà di questi decision maker teme però di essere indietro rispetto ai principali competitor nell’impiego dell’intelligenza artificiale per migliorare l’esperienza dei consumatori e per colmare il divario esistente pianifica di aumentare il proprio budget destinato all’AI di oltre il 10% nel prossimo anno e di ampliare la forza lavoro che si occupa di AI.

Tuttavia, questa espansione potrebbe non essere sufficiente. Diversamente da quanto molti credono – ossia che in futuro i service provider impiegheranno più robot che esseri umani – nessuno dei service provider coinvolti nell’indagine sta guardando all’intelligenza artificiale per sostituire il personale che si occupa dell’assistenza ai clienti né vede nell’AI l’opportunità di sostituire un ampio numero di persone dello staff all’interno dell’azienda. Attualmente, tutti i service provider considerano la mancanza di competenze professionali per impostare e far funzionare l’intelligenza artificiale l’ostacolo più grande alla realizzazione delle proprie strategie AI e nessuno cita come sfida la non maturità della tecnologia. Sebbene ora stiano sviluppando le proprie soluzioni oppure si affidino per avere supporto a vendor esistenti, nessuno si sta rivolgendo a fornitori specializzati in soluzioni di intelligenza artificiale.

“I consumatori hanno le idee chiare su come vogliono essere serviti dai bot, probabilmente più dell’industria stessa. La loro frustrazione derivante dagli attuali bot sta crescendo e molti affermano di essere pronti a cambiare fornitore se il livello di servizio non migliorerà,” ha dichiarato Gary Miles, General Manager di Amdocs. “La buona notizia è che i consumatori credono che l’industria dei media e della comunicazione possa intraprendere la via giusta dell’AI, arrivando anche prima di altri settori quali retail e healthcare. L’intelligenza artificiale può quindi essere una scommessa vincente per i service provider a patto che allineino le proprie priorità di investimento in ambito AI con le esigenze dei consumatori”.

“La ricerca mostra, comunque, che i service provider stanno cercando supporto esterno per progredire in questo percorso,” continua Miles. “Attualmente si stanno rivolgendo a vendor esistenti e non a fornitori specializzati in soluzioni di intelligenza artificiale, probabilmente con l’obiettivo di assicurarsi che l’AI non diventi un ulteriore silos tecnologico difficile da scalare e gestire”.