Questa mattina i dati personali di oltre 100 milioni di clienti di Capital One Financial Corporation, società statunitense che emette carte di credito, sono stati hackerati negli Usa e in Canada.
“Anche se nel caso in questione il presunto autore dell’attacco è già stato identificato, questo non significa che le ripercussioni della violazione siano state del tutto evitate.
Nella nuova era digitale, i dati sono una valuta e quando cadono nelle mani sbagliate possono divampare come un incendio, propagandosi a tutta la comunità criminale. Considerando le tempistiche di accesso, le informazioni rubate hanno probabilmente già raggiunto il DarkWeb.
Stiamo assistendo alla convergenza delle vulnerabilità del cloud con i rischi costanti delle minacce interne, solo che in questo caso si trattava di un ‘insider’ secondario in quanto l’origine della minaccia proveniva da un fornitore. Cosa succederà al mercato B2B se non possiamo fidarci dei dipendenti e delle procedure dei nostri partner?
Quando affidiamo a server esterni i nostri dati digitali, ci fidiamo intrinsecamente dei dipendenti del fornitore esterno, come se li avessimo assunti direttamente. Riconoscendone il potenziale in termine di riduzione dei costi, sono sempre di più i contratti per servizi cloud e SaaS che vengono stipulati dalle aziende senza valutarne i rischi, perché raramente si preoccupano di chi siano gli amministratori dei data center che gestiscono fisicamente i server che ospitano i dati. Perché accordiamo loro automaticamente la nostra fiducia?
Questi attacchi ricorrenti non comporteranno sicuramente la scomparsa del cloud o che le organizzazioni decidano di rispolverare il proprio storage NAS (Network Attached Storage) e tornare alle infrastrutture on-premise, ma ritengo che rappresentino un segnale di allarme per valutare con maggiore serietà i rischi associati al cloud computing” ha spiegato Corrado Broli, Country Manager di Darktrace.