In questi giorni si è tenuto il 30esimo anniversario dell’introduzione del corso di laurea in Informatica dell’Università degli Studi di Verona. Si tratta di un evento che riporta numerosi ricordi alla mia mente, a cominciare dal fatto che alla prima lezione, sui 100 studenti che avevano superato il test ingresso, noi donne fossimo solo in 12! Un dato che dovrebbe far riflettere e che rispecchia uno scenario che in realtà purtroppo non è cambiato troppo in questi anni, se consideriamo che la presenza femminile alla facoltà d’Informatica si aggira sempre attorno al 10%. Naturalmente, rispetto ad allora, gli indirizzi scientifici e tecnologici sono aumentati a dismisura e le donne hanno certo maggiori possibilità di scegliere corsi di laurea legati alla tecnologia, ma c’è ancora molto da fare per colmare questo gender gap tra presenza maschile e femminile in modo significativo.
Sono numerose le analisi che dipingono uno scenario tutto sommato ben definito, che vede l’Italia giocare una posizione di retroguardia rispetto a molti altri paesi europei. Secondo l’Osservatorio Stem “Rethink Ste(a)m education – A sustainable future through scientific, tech and humanistic skills” di Deloitte solo il 14,5% delle ragazze italiane che decidono di frequentare un corso di studi universitario scelgono una materia STEM (science, technology, engineering and mathematics), un dato decisamente inferiore, ad esempio rispetto a quello della Germania, che guida questa classifica con una percentuale gender del tutto differente pari al 19,2%.
Basterebbe questa disparità per evidenziare come sia fondamentale oggi investire in formazione impegnarsi a risolvere questo problema, legato ancora a una cultura ormai obsoleta, da superare. In qualche modo, resiste la percezione che l’informatica sia un settore per uomini, in cui le donne non possano essere all’altezza. In questo senso, tutte le attività formative, che dovrebbero partire già dalle scuole medie, sono fondamentali per esplorare e far conoscere alle bambine le diverse professionalità offerte dal mondo IT e contribuire ad abbattere la barriera che ancora oggi spesso le frena.
Gender gap: Favorire la formazione femminile in campo cybersecurity
Nel mondo IT in particolare, si verifica un fenomeno sotto certi aspetti complementare. In molti ambiti specifici, a cominciare dalla cybersecurity, c’è carenza di talenti, con un forte divario tra domanda e offerta di profili specializzati. Perché quindi non spingere su una formazione più estesa, oltre che neutra a livello di gender, in modo da aumentare il numero di figure a disposizione delle aziende?
Secondo il 2022 Cybersecurity Workforce Study la forza lavoro globale della sicurezza informatica nel 2022 si aggirava intorno ai 4,7 milioni, con un aumento complessivo dell’11,1% rispetto al 2021. In particolare, a livello di aree geografiche l’incremento particolarmente significativo in EMEA +12,5%. Ma nonostante questo boom recente, la ricerca evidenzia ancora una mancanza di 3,4 milioni di lavoratori a livello globale, con oltre 317.000 posizioni lavorative aperte disponibili solo in EMEA.
Nel corso degli anni, molte aziende si sono impegnate per superare questo divario, focalizzandosi verso figure femminili e offrendo opportunità personalizzate per coniugare e bilanciare sfera personale e lavorativa. Ma spesso il problema emerge sul fronte opposto: mancano candidature femminili, e può essere risolto solo con un approccio strategico e di ampio respiro.
Creare percorsi di formazione vari e articolati
Le ragazze che frequentano la scuola hanno bisogno di sapere che sono diverse le opzioni di carriera disponibili e avere accesso alla possibilità di ascoltare l’esperienza di altre donne che hanno fatto carriera nelle materie STEM, per comprendere direttamente opportunità e scenari possibili. Infatti, solo grazie alla condivisione di esperienze si possono abbattere questi gender pregiudizi.
Fortunatamente le nuove generazioni sono molto più aperte al cambiamento rispetto a qualche anno fa. Purtroppo, non esiste la bacchetta magica per risolvere istantaneamente questo problema, ma serve continuità nelle azioni e fiducia nelle nuove generazioni. È infine sicuramente necessario il supporto delle istituzioni, a livello normativo, ma anche e soprattutto formativo, in modo da creare percorsi di formazione il più possibile vari e articolati, in grado di rispondere sia alle inclinazioni delle studentesse che alle necessità delle aziende, che da parte loro non devono limitarsi a rivedere i processi di selezione in ottica di parità di gender, ma anche studiare percorsi di formazione interna e, in ultima analisi, di carriera, che mettano le persone in grado di esprimersi al meglio. Il tutto senza dover scendere a compromessi, o peggio, sottostare a forme di discriminazione più o meno latenti.
Se è vero che il progresso nasce dal confronto, è fuori di dubbio che la diversità sia la condizione ideale perché il confronto diventi reale, e non di facciata. In qualsiasi ambiente, la diversità arricchisce, porta nuovi stimoli e permette di creare un ambiente di lavoro più dinamico e collaborativo. in cui le persone possono imparare le une dalle altre, portando alla discussione prospettive e punti di vista.
Di Chiara Polloni, Enterprise Customer Success Manager di CyberArk