La direttiva UE sulla trasparenza salariale spinge verso un’Europa più equa.

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La battaglia per l’equità retributiva entra nel vivo e le aziende hanno ancora un anno di tempo per adeguarsi. Con la direttiva UE 2023/970 sulla trasparenza salariale, infatti, l’Unione Europea si prepara a contrastare, in modo sempre più deciso, il gender pay gap, imponendo agli Stati membri – entro il 7 giugno 2026 – regole molto chiare ed estremamente vincolanti per garantire la trasparenza salariale e la parità di trattamento economico per uomini e donne che ricoprono lo stesso ruolo e hanno le medesime competenze.

Secondo i dati di Eurostat, l’Italia si colloca tra i paesi con il minor divario retributivo di genere: le donne italiane guadagnano in media il 2,2% in meno rispetto ai colleghi uomini. Un dato decisamente basso, soprattutto se confrontato con la media europea e con i sorprendenti casi di Germania e Austria, dove il gap supera addirittura il 17% (Austria 18,3% e Germania 17,6%).

Equità in Europa: a che punto siamo? “Negli ultimi tempi – precisa Joelle Gallesi, managing director di Hunters Group – sono stati fatti innegabili passi in avanti, ma resta ancora molto da fare soprattutto per quel che riguarda la trasparenza e l’accessibilità alle informazioni legate alle retribuzioni all’interno delle aziende. La nuova direttiva europea, che entrerà in vigore tra circa un anno, rappresenta sicuramente un’opportunità concreta per colmare, una volta per tutte, il divario di genere e per avere salari più equi. È un’opportunità che non possiamo permetterci di non cogliere”.

La direttiva UE 2023/970 delinea un quadro normativo ben preciso, che obbliga le aziende pubbliche e private a garantire maggiore trasparenza in materia di retribuzioni che si concretizza nel diritto, per i candidati, di avere informazioni relative alla RAL già in fase di colloquio, nella possibilità di conoscere i criteri di definizione degli stipendi e dei livelli di carriera (che ovviamente dovranno essere oggettivi). Questo diritto è esteso anche ai dipendenti che devono avere accesso a tutte le informazioni relative al proprio salario.

La mappa della trasparenza in Europa. Secondo una recente analisi pubblicata da Ius Laboris, gli stati membri dell’UE sono attualmente divisi tra chi ha già introdotto leggi vincolanti (ad esempio: Italia, Spagna, Portogallo, Gran Bretagna, Belgio e Germania), chi prevede solo obblighi indiretti, probabilmente solo per aziende di una certa dimensione o in determinati casi (Svezia, Finlandia, Ungheria, Austria), chi è ancora in fase di proposta normativa (Polonia) o chi ha optato per la totale assenza di obblighi. Sebbene l’Italia abbia avviato un percorso normativo in materia, introducendo l’obbligo di rendicontazione biennale per le aziende con più di 50 dipendenti e una certificazione per la parità di genere, altri Paesi, come Spagna e Belgio, stanno già adottando approcci più strutturati e operativi.

“Parlare di retribuzione – conclude Joelle Gallesi – non deve più essere un tabù. La trasparenza salariale va oltre l’adempimento normativo: deve diventare un atto di responsabilità con cui le imprese rafforzano la fiducia, valorizzano il merito e le competenze e migliorano il clima aziendale per costruire un futuro più equo e davvero sostenibile per tutti”.