Un recente studio condotto da Outbrain e Sapio Research suggerisce che nel settore della pubblicità digitale esista l’erreonea convinzione che ad un più alto tasso di viewability corrisponda un maggiore livello di engagement. I brand che agiscono seguendo questa falsa aspettativa pagano un caro prezzo, sia in termini di budget che in termini di user-experience. Il 59% dei consumatori su un campione di 1036 utenti italiani afferma infatti di non ricordarsi i brand dalle loro pubblicità, anche se sono ritenute “visibili” dagli standard del settore.
I formati video adv ‘pull’ piacciono di più
Il 92% dei consumatori intervistati ha dichiarato di essere più incline ad avere un comportamento negativo nei confronti di un brand che disturba o interrompe le proprie attività online.
Gli intervistati hanno indicato come formati più fastidiosi i video auto-play con l’audio (54%), i pop-up online (49%), e i video auto-play senza audio (38%). Questo è dovuto prima di tutto al fatto che questi formati non danno la possibilità di essere o meno fruiti, si riversano, infatti, direttamente nella navigazione dei consumatori senza il loro permesso.
Al contrario, invece, i video click-to-play sono stati indicati come i meno intrusivi trai i vari formati di video advertising. Scegliendo tra formati nativi e formati click-to-play, i pubblicitari possono creare campagne che evitano di disturbare l’esperienza dell’utente.
La rilevanza è forse l’ingrediente più importante nelle tattiche di marketing pull (rispetto al marketing push). Il 40% dei consumatori ricorda soltanto un prodotto pubblicitario se è considerato per loro rilevante.
Sebbene possiamo costruire su misura le nostre campagne pubblicitarie in base alle preferenze del nostro pubblico, non è garantito che vengano effettivamente visualizzate. Questo succede continuamente nel settore della pubblicità digitale perché, come è già possibile constatare, gli attuali standard di visibilità non sono sufficienti. Lo standard attuale sostiene che per far sì che una pubblicità video sia considerata viewable, è sufficiente che il 50% dei pixel sia visibile sullo schermo per due secondi consecutivi. Ma quando andiamo a realizzare test, almeno 3 consumatori su 5 (il 59%) non sono in grado di ricordare il brand. Non c’è dubbio che questo stia danneggiando l’intero settore – perché, ora come ora, visualizzabile non coincide con visibile.
Considerando questo scarso livello di effettiva visibilità della pubblicità online che sta minacciando di rendere futili gli sforzi degli inserzionisti, è tempo che il settore si compatti accogliendo una visione meno miope nei confronti degli utenti. È tempo di vedere la realtà per quello che è: una metrica difettosa con il potenziale di concorrere a vanificare gli sforzi che i pubblicitari stanno compiendo per rispettare ed accrescere la user-experience.
Gli inserzionisti hanno bisogno di cominciare a settare i loro stessi standard – ma questo non significa stabilire i propri standard di viewability come hanno fatto alcune aziende. Significa, invece, aderire alla creazione di contenuti pubblicitari che portino valore in termini di esperienza utente. Significa optare per una pubblicità nativa tramite formati che rispettino l’esperienza del consumatore. Significa campionare meglio la viewability per il bene di tutti.
Rispettare e attrarre il pubblico – invece di disturbarlo nella sua esperienza online – renderà il web uno spazio migliore e maggiormente redditizio.
Pubblicitari e publisher faranno fatica a mostrare il proprio ROI attraverso l’utilizzo di metriche basate solamente sulla viewability, dovranno pensare seriamente ad utilizzare metriche più pertinenti, per garantire piena trasparenza sull’impatto della pubblicità.