Da febbraio 2022 Remo Tagliacozzo è Amministratore Unico di Acquario Romano, società in house dell’Ordine degli Architetti di Roma e provincia, che ha il compito di realizzare le attività di Casa dell’Architettura. Lo abbiamo intervistato in esclusiva per indagare il suo percorso professionale e l’innovativo progetto di Acquario Romano, cercando di comprendere anche il legame oggi esistente tra mondo della cultura e tecnologia.
“Ho sviluppato il mio percorso in contesti multinazionali sia pubblici che privati – spiega Tagliacozzo -. Negli anni ’90 ho lavorato come controller di una importante multinazionale americana, Shared Medical System, poi passata a Siemens Health Solutions, dove sono diventato CFO della divisione Health Solutions. Successivamente sono stato amministratore delegato e proprietario di una società informatica che ha raggiunto il 17esimo posto in Italia per il mercato sanitario, per poi passare ad essere responsabile degli Affari Legali e Corporate Governance di CIRA ScpA, Centro Italiano Ricerche Aerospaziali, società controllata dall’Agenzia Spaziale Italia. Dal 2017 ho poi ricoperto il ruolo di amministratore delegato, e successivamente quello di amministratore unico fino al 2022, in Zetema Progetto Cultura, l’azienda municipalizzata più grande d’Europa in ambito culturale, museale e del turismo a cui fa capo la gestione di una buona parte dei siti UNESCO in tutto il mondo e che impiega circa 1.000 persone. Dal febbraio 2022 sono quindi amministratore unico di Acquario romano, una società in-house dell’Ordine degli Architetti di Roma, un ente pubblico non economico convenzionato con Roma Capitale per la realizzazione e gestione della Casa dell’Architettura”.
Focalizziamoci sul progetto di Acquario Romano. Di cosa si tratta?
“Partiamo con il dire che l’Acquario Romano è un edificio di grande pregio artistico, un complesso monumentale di fine Ottocento nato come stabilimento di piscicoltura nell’area dell’Esquilino, all’epoca quartiere del Regno di Italia, dove oggi si trova anche la Stazione Termini. La struttura ha cambiato spesso pelle nel corso del tempo, da teatro a sala cinematografica, da circo a sede di uffici e deposito degli scenari del Teatro dell’Opera di Roma. Con la sua imponente struttura di gusto neoclassico, con il giardino e i reperti archeologici di epoca romana, il complesso oggi è un punto di riferimento della cultura architettonica e urbanistica italiana, grazie anche alla natura eclettica con cui, da sempre, reinventa spazi e identità. Dal 2003 l’Acquario Romano è stato affidato all’Ordine degli Architetti PPC di Roma e provincia e oggi al suo interno si svolgono attività legate a questa professione. Da sempre luogo di incontro e contaminazione di linguaggi diversi, l’Acquario Romano accoglie istituzioni e realtà artistiche da tutto il mondo per offrire al pubblico un’ampia proposta culturale ad accesso libero, curata dalla Casa dell’Architettura.
L’obiettivo del mio incarico è quello di riportare Acquario Romano al centro dello scenario culturale romano e nazionale, enfatizzandone il carattere versatile e compatibile con la valorizzazione di ogni forma di espressione artistica. Si tratta di un tipico caso di marketing territoriale che riserva grande attenzione al welfare dei lavoratori e della comunità di riferimento.
Ci tengo a precisare che Acquario Romano non beneficia di contributi pubblici, sostenendosi solo grazie alle proprie attività culturali e convegnistiche. La nostra struttura è diventata un centro di eccellenza, idoneo a offrire risalto ad aziende e istituzioni, polo d’attrazione per un pubblico diversificato che va ben al di là del quartiere Esquilino. Nel 2023, tanto per citare qualche numero, abbiamo avuto un totale di oltre 60mila visitatori. Si tratta di uno spazio che amiamo definire fluido, che ha fatto della sostenibilità una leva di crescita e dove le nuove forme dell’arte e dell’architettura trovano spazio e spazi polivalenti, capaci di enfatizzare ogni idea di innovazione, creativa e tecnologica”.
Dall’alto della sua esperienza, come vede l’evoluzione delle aziende a partecipazione pubblica? Trova la necessità di adottare nuovi modelli operativi?
“Prima di sbarcare a Zétema Progetto Cultura ho conseguito un dottorato in Ingegneria Gestionale essendo da sempre interessato ai temi del Change Management. Per questo, all’Acquario Romano ho messo al centro della mia gestione il tema del benessere, sia dei collaboratori interni che della comunità di stakeholder che gravita intorno all’Acquario. Rispetto alle risorse interne, il mio obiettivo è quello di portare avanti un piano di change legato all’acquisizione continua di soft skill e alla possibilità di lavorare in condizioni di benessere, a partire dallo smart working o da premi welfare solo per fare qualche esempio. L’altro aspetto da considerare è il ricorso alla digitalizzazione per superare il deficit tecnologico a supporto del core business e del management che spesso caratterizza le aziende del mondo culturale. Oltre che su un welfare diffuso, il modello gestionale che propongo è basato su concetti come open innovation e data driven legati al mondo della cultura e dell’arte, con l’obiettivo di arrivare ad un vero Digital Twin”.
Alle aziende pubbliche sono applicabili temi oggi mainstream come l’ESG?
“Certamente, ed è quello che si propone di fare Acquario Romano in parallelo con il benchmark offerto dal Museo Egizio di Torino. Sono convinto che è necessario affiancare agli indicatori economico-finanziari anche quelli ESG collegati alla qualità e congruità dei servizi offerti, a testimonianza di quello che possiamo restituire alla collettività, a partire dalle iniziative gratuite aperte, ad esempio, alle scolaresche. Si crea così un forte senso di comunità e questo dà la misura dello spessore di una realtà come Acquario Romano che opera in un quartiere complesso e controverso come l’Esquilino. Il claim che mi piace citare è che ‘dove c’è luce non ci sono ombre’ e questo riassume la mia vision, perché dove subentra la bellezza l’arte e la cultura si restringe lo spazio per lo sviluppo di attività opache poco chiare e non legittime”.
Abbiamo parlato prima di digitalizzazione. La cultura è parte integrante del nostro essere, ognuno di noi la rappresenta, ne fruisce e, in qualche modo, la pratica. Come pensa sia necessario lavorare per connetterla alle nuove tecnologie, su tutte l’AI?
“Come accennavo l’obiettivo è quello di arrivare ad un vero Digital Twin. Oggi la tendenza è quella di utilizzare le nuove tecnologie, in particolare l’intelligenza artificiale, soprattutto per le attività a scarso valore aggiunto e ripetitive, insieme ai gestionali, così da lasciare più ‘leggeri’ i dipendenti, che hanno più risorse e più tempo da dedicare alla loro vita privata, oltre che ad una rinnovata creatività. Si tratta ancora di tematiche non del tutto metabolizzate, tanto è vero che, ad esempio, numerose aziende nel mondo della cultura non sono dotate nemmeno di software CRM e questo rende difficile profilare la clientela e proporre una programmazione più appropriata. La digitalizzazione dei processi, secondo me, è necessaria per una pianificazione non casuale ma che vada nella direzione di incontrare davvero i desiderata e gli interessi dei visitatori e che non soddisfi solo il criterio remunerativo. Il mio obiettivo è quello di creare una sorta di Osservatorio che faccia mediazione culturale per arrivare ad utilizzare al meglio l’intelligenza artificiale, liberando la creatività di cui abbiamo sempre più bisogno”.
Si può quindi parlare di tecnologia al servizio della cultura?
“La tecnologia deve essere intesa come un mezzo a servizio della cultura. Facciamo un esempio molto dibattuto, quello del web 3 che ai più è conosciuto come spazio metaverso. Anche noi abbiamo uno spazio nella realtà aumentata che utilizziamo quasi esclusivamente per attività commerciali e di incontro per creare molto più appeal. Ma le potenzialità di questo spazio vanno ben oltre questo perché ci darebbe la possibilità di poter conservare in maniera illimitata tutte le mostre che ospitiamo e di esportarle anche lontano, facendole conoscere a chi probabilmente non avrà mai la possibilità di visitarci di persona, perché molto lontano da Roma e senza la possibilità di raggiungerci.
La tecnologia è al servizio della cultura perché non è contenuto ma supporto al servizio dell’efficientamento di ogni attività. Per concludere, voglio citare il noto economista statunitense Richard H. Thaler, il padre dell’economia comportamentale, che sostiene che ogni comportamento d’acquisto, anche per quanto riguarda i servizi culturali secondo la mia opinione deve essere motivato da una sorta di pathos e sentiment che si crea in maniera spontanea e immediata di fronte a quel bene o servizio e che ce lo fa desiderare”.
Una versione socio economica rispetto a quello che si sostiene attraverso la cosiddetta Sindrome di Stendhal, ovvero quella sensazione di stupore, meraviglia che si prova di fronte ad opere d’arte o architettoniche di notevole bellezza, specialmente se si trovano in spazi limitati.