Come stanno evolvendo le banche italiane per fronteggiare l’avvento della digital economy? Quale è il loro livello di trasformazione digitale? Che tecnologie stanno adottando? Sono queste alcune delle domande che abbiamo posto a Alberto Firpo, CEO & Co-Founder di Agile Lab e a Barbara Pavan, Head of Data Preparation & Automated Testing, Retail Digital Transformation di Intesa Sanpaolo.
La trasformazione digitale è fondamentale in tutti i settori. Le banche italiane si stanno digitalizzando?
PAVAN: Le banche italiane si stanno muovendo verso la digitalizzazione ma si tratta di un percorso di lungo periodo. Ci si sta muovendo, per esempio, nella direzione di architetture a microservizi, che faciliteranno l’integrazione con i dati esterni e le FinTech, così come
si stanno conducendo progetti che prevedono l’alimentazione dati in “near real time”, abilitando processi asincroni modello Amazon, ed è aumentato l’uso delle app di mobile banking, anche per effetto della pandemia. In generale, in ambito Analytics, il settore è ancora molto concentrato sul fact finding e non sul forward looking, ovvero sull’uso dell’Analytics per comprendere i dati e non ancora per trarne valore con uso prescrittivo o predittivo, per esempio attraverso modelli di ottimizzazione. Per quanto riguarda l’Intelligenza Artificiale ci stiamo muovendo dalla Robotic Process Automation all’Intelligent Automation ma non stiamo ancora esplorando le opportunità fornite dalla Social Robotics.
La vera chiave di volta per l’adozione di soluzioni digitali sarà però rappresentata dalla capacità di comprendere che la digitalizzazione non è una questione di tecnologia ma di persone e processi: per diventare effettivamente delle “Intelligent Enterprise” è necessario spostare l’attenzione dal puro cost saving all’ottimizzazione degli investimenti, lavorando per acquisire e sviluppare le competenze necessarie nelle banche del futuro, rivedendo processi e strutture organizzative. Credo che questa sarà la sfida più grande.
Cosa è il Real time banking e quali sono i suoi vantaggi?
FIRPO: Real time Banking è la possibilità di condividere informazioni di uno specifico dominio di business della banca verso tutti i consumer all’interno dell’organizzazione o per specifici processi relativi al contatto con il cliente, alla proposizione di prodotti laddove i tempi di risposta immediati costituiscano un vantaggio competitivo. Tali informazioni possono essere semplicemente “replicate” da un sottosistema legacy senza particolari rielaborazioni ma rese disponibili in maniera scalabile per molti consumer, oppure possono essere soggette a un’elaborazione più o meno complessa come ad esempio un credit scoring aggiornato all’ultimo evento riguardante uno specifico cliente. I vantaggi sono molteplici:
- Condividere informazioni in real-time in maniera meno costosa e più scalabile all’interno dell’organizzazione per processi che richiedono maggiore velocità decisionale
- Superare i limiti imposti dal legacy modernizzandolo ma mantenendolo, evitando quindi phase out onerosi e difficilmente gestibili
- Velocizzare il processo decisionale anche per casi d’uso direttamente connessi al mercato, come per esempio nel caso di uno scoring calcolato in near real time che consente di poter “decidere” in maniera automatica e immediata se erogare o meno un prestito a una certa fascia di clienti, accorciando di molto il lead time del processo, con benefici sia per i clienti sia per l’istituzione bancaria
Esistono dei limiti per l’adozione del Real time banking?
FIRPO: Il Real time Banking, o più in generale la possibilità di fornire e analizzare dati in real-time, è solo una delle componenti che compongono un quadro più vasto di trasformazione. Da questo punto vista i limiti sono solo organizzativi, limiti che si possono superare solo uscendo dalla “comfort zone” e dall’inevitabile inerzia che più o meno ogni organizzazione possiede.
E più in generale ci sono dei freni alla digitalizzazione nelle banche italiane?
PAVAN: Innanzitutto parlerei di sfide, più che di freni: è importante avere il giusto punto di vista. Quanto all’ambizione di diventare organizzazioni data driven (i dati nell’era digitale sono stati definiti “il nuovo petrolio”), le banche italiane stanno affrontando, chi più chi meno, la sfida di monetizzare il valore dei dati. In particolare, in materia di gestione del dato, stanno ora approcciando tematiche con cui banche in altre realtà, come per esempio nel mondo UK, si sono già confrontate. C’è quindi la necessità di definire una strategia del dato company-wide. Un’altra sfida importante sarà quella di attrarre e trattenere le competenze distintive per poter avviare la trasformazione digitale. In ultimo – ma non meno importante – bisognerà lavorare sulla cultura aziendale: è fondamentale sviluppare un growth mindset, cioè una mentalità di crescita in cui gli errori e le sfide siano visti come un’opportunità e non una minaccia. È un nodo importante, forse il più difficile da affrontare perché, per cambiare, desiderio e motivazione non bastano. È un fattore umano: è stato rilevato che anche quando si tratta di vita o di morte, solo 3 pazienti su 7 (43%), cambiano le loro abitudini. Lo status quo è potente, specialmente in organizzazioni tradizionali come le banche, ma credo dobbiamo impegnarci per cambiare noi stessi e le organizzazioni in cui lavoriamo. Per citare il paradosso della legge di Martec, la tecnologia cambia esponenzialmente ma le organizzazioni cambiano logaritmicamente; ne consegue che il management dovrà scegliere sempre più attentamente i cambiamenti da implementare e, in questo processo, il ruolo delle persone è un fattore chiave di successo.
L’intelligenza artificiale sta entrando nelle banche?
FIRPO: A prescindere dalle definizioni di “Intelligenza Artificiale” su cui non mi soffermerei, in alcuni processi si è visto l’utilizzo di machine learning o deep learning applicati in maniera efficace, finalizzato al cost saving o al miglioramento dell’interazione con il cliente come ad esempio per predizione frodi, canali self-servicing sia voce sia chatbot, KYC-KYB e più in generale on-boarding automatizzato, risk management e regulatory compliance, cybersecurity. Tra i casi d’uso più interessanti citerei anche alcune Fintech che stanno facendo molto bene offrendo servizi alternativi a quelli bancari soprattutto nell’ambito del wealth management o dell’asset allocation: mettendo a confronto le prestazioni di un asset manager con quelle di un complesso sistema di modelli automatizzati effettivamente si scopre che le performance degli ultimi sono più elevate anche grazie alla possibilità di gestire automaticamente l’allocazione di un investimento tramite complesse interazioni tra più modelli “concorrenti” e finestre storiche di dati molto ampie, tutte caratteristiche che un asset manager in media difficilmente riesce a mettere in campo con strumenti “tradizionali”.
Quali altre tecnologie innovazioni o paradigmi avranno un impatto significativo?
FIRPO: Le tecnologie sono sempre uno strumento al servizio del business e non viceversa, quindi da questo punto di vista serve tutto ciò che può aiutare una banca ad abbracciare la trasformazione nel senso in cui spiegavo precedentemente a livello sia di creazione di nuove revenue stream sia di processo e organizzazione. Se pensiamo a un’organizzazione di tipo “enterprise” quindi con molte interazioni tra stakeholders, data consumers e data producers in un environment multi -business unit e multi country (caratteristiche tipiche di alcune banche “grosse”), la democratizzazione, l’accesso e il riuso del dato sono più importanti che voler applicare a tutti ai costi l’”Intelligenza Artificiale” ad un processo che non necessariamente possa portare valore. In questo senso uno dei paradigmi che può avere un impatto significativo è il Data Mesh, un trend che si sta affermando in scala mondiale e che vede concetti come il Domain Driven Design e la Decentralizzazione delle Ownership applicati al Data Management e che prevede la l’evoluzione della gestione del dato da una piattaforma centralizzata a un ecosistema distribuito di “Data Products”. E questo è un concetto molto più importante di quanto si possa credere: pensare al dato come un prodotto sconvolge l’organizzazione ma apre degli scenari molto interessanti che vanno esattamente nella direzione di aiutare il processo di creazione “veloce” dei bundle di prodotto, che serve al business. Data Mesh è prima di tutto organizzazione e persone poi architettura, ed è visto da molti come una possibile soluzione per aiutare a velocizzare e scalare iniziative di business e al contempo per risolvere problemi di disefficienza organizzativa originati dal pattern organizzativo centralizzato associato ai più tradizionali Data Lake “monolitici” (o Data Warehouse), pattern originato da un approccio “solo tecnologico” che non ha preso in considerazione il reale processo di creazione del valore.
Quali sono i rischi per gli istituti finanziari che non abbracciano la digital transformation?
FIRPO: A mio modo di vedere i rischi derivano non tanto a livello di concorrenza diretta da parte di outsider internazionali sul mercato italiano, quanto invece da player Fintech, per ragioni che sano tutti, e soprattutto da Tech giants che lentamente possono erodere in maniera indiretta valore dai clienti che una banca già ha (“unbundling” the bank), proponendo servizi finanziari associati all’acquisto di altri beni venduti su altri canali (esempio i numerosi servizi che Amazon mette a disposizione di fatto distraggono valore da una banca: Amazon Pay, Amazon Go, Amazon Cash, Amazon Protect, Amazon Allowance, Amazon Lending etc ). Questo succede perché un Tech Giant è una macchina software estremamente efficiente, ma no solo, ed è anche in grado di evolvere nuove “offerte di prodotto” in maniera rapida e seguendo il comportamento e le esigenze dei clienti con cui stabilisce una relazione ricorrente. Ed è proprio questo il vero significato di “digital transformation”: digital transformation significa diventare una software company o ancor meglio una data-driven company, per essere in grado di evolvere e gestire il cambiamento in maniera resiliente, in primis cercando di proteggere e monetizzare al massimo la relazione esistente con i propri clienti (B2C o B2B), posizionando dei “bundle” di prodotto composti da servizi di terze parti, servizi propri “tradizionali” e persino proprio software o asset digitali, anche creando nuovi veicoli da mettere sul mercato che siano più “agili” e meno soggetti a restrizioni normative. Ciò per una banca non implica necessariamente vendere beni di consumo (es. televisori!!) ai clienti, ma significa invece rafforzare il rapporto di fiducia già in essere con i propri clienti, cercando di soddisfare un bisogno specifico o di cogliere un’opportunità.
La trasformazione in banche digitali comporterà la chiusura degli sportelli sul territorio?
PAVAN: La trasformazione digitale richiede nuove competenze e una revisione dei processi e del modo di lavorare, pertanto porterà sicuramente alla necessità di creare nuove figure professionali all’interno delle banche. I sistemi di Intelligenza Artificiale, per esempio, dovrebbero prevedere una certificazione non solo da parte del business sponsor ma anche da parte di un ente imparziale, affinché rispondano a regole sociali eque. Inoltre, richiedono un monitoraggio continuo perché non si discostino dagli obiettivi, dal momento che apprendono dai dati.
In generale, la tecnologia deve essere vista come qualcosa che potenzia le capacità umane, liberando le persone dalle attività ripetitive e più “meccaniche”, per lasciare loro quelle che invece richiedono capacità di discernimento e il cosiddetto “human touch”, ancora molto apprezzato dalla clientela. Per supportare il cambiamento è quindi fondamentale la realizzazione di programmi di upskilling e reskilling. Inoltre, per far sì che la formazione sia efficace “a scala”, è importante partire dall’analisi dei processi HR esistenti: tecnologia e persone sono una potente combinazione per trasformare il modo di fare business.
Come evolveranno i modelli di business delle banche?
PAVAN: Le banche dovranno sfruttare le complementarietà tra quelle che sono le attività legacy proprie del mondo fisico (es. contatto diretto con la clientela) e le attività digitali. Dobbiamo aspettarci molteplici cambiamenti nei clienti, nei competitors, nella regulation, nella value proposition, nella profit formula, nelle partnership. Su quest’ultimo punto, ad esempio, come anche i trend di mercato del mondo tech nel 2020 hanno mostrato, le fintech si sono trasformate in fornitori di soluzioni innovative che le banche comprano ed integrano nei loro sistemi, riducendo il time to market. L’approccio giusto, però, non è partire dalla tecnologia per andare a definire il business model utile a servire il cliente. È piuttosto necessario partire dai cambiamenti nei bisogni del cliente: da qui ci si muove per identificare come si crea il valore e i fattori organizzativi necessari a costruire il business model, generando, con un approccio bottom up, un “digital core” che permei l’organizzazione e consenta alle banche di fornire ai propri clienti non solo prodotti ma soluzioni.