“Per adottare l’hybrid working non basta chiedere ai dipendenti di rientrare in ufficio due o tre giorni a settimana. Serve un significativo cambiamento organizzativo all’interno dell’azienda” afferma Andrea Casarosa, imprenditore e Ceo di eNetworks, società che aiuta le aziende nella loro trasformazione in un modello data driven

Nel 2019 soltanto il 4,8% degli occupati lavorava abitualmente da casa (contro una media europea del 14,6%), ma nel 2020, non appena sono state introdotte le restrizioni legate alla pandemia, tale percentuale è salita fino al 13,7%, per poi stabilizzarsi sul 14,9% del 2021. In tal modo l’Italia, che da sempre è stata un Paese piuttosto refrattario allo smart working, ha recuperato in fretta il suo ritardo. Sembrava persino che lo smart working sarebbe diventato la nuova normalità, ma i dati dimostrano che non è stato così.

Nel 2023 la situazione è ancora in stallo, con il 14,9% degli occupati che svolge parte dell’attività da remoto: una percentuale che potrebbe in realtà raggiungere quasi il 40%, sostiene l’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) considerando la potenziale telelavorabilità.

Se dunque le imprese continuano a preferire la presenza in ufficio, una valida strada è rappresentata dal modello ibrido di lavoro. “Bisogna sfatare un potenziale equivoco: per adottare un modello ibrido di lavoro, non basta chiedere ai dipendenti di rientrare in ufficio due o tre giorni a settimana. Serve un significativo cambiamento organizzativo all’interno dell’azienda, che prende il via da una revisione delle policy e della cultura organizzativa e comprende anche una revisione degli strumenti di lavoro, sistemi di garanzia della produttività e un’attenzione certosina alla sicurezza dell’accesso alle informazioni”. A dirlo è Andrea Casarosa, amministratore delegato di eNetworks.

I tre principali vantaggi dell’hybrid working

Basandosi su un bagaglio di oltre vent’anni di esperienza nel campo delle strategie di business e organizzazione, Casarosa identifica i tre principali vantaggi dell’hybrid working:

Flessibilità. “Il modello ibrido di lavoro combina i vantaggi del lavoro da remoto con la possibilità di trascorrere del tempo in un ufficio. I dipendenti riescono dunque ad adattare la routine lavorativa alle proprie esigenze personali, con una gestione più flessibile del tempo e delle responsabilità e, dunque, una maggiore soddisfazione”, spiega Casarosa.

Produttività. “Secondo uno studio condotto da Harvard Business Review, il 65% dei dipendenti che lavora in modalità ibrida dichiara di essere più produttivo rispetto a quando lavorava esclusivamente in ufficio. Questo è in parte dovuto alla riduzione degli spostamenti, all’autonomia nella gestione del tempo e all’assenza delle distrazioni tipiche dell’ambiente ufficio”, continua.

Riduzione dei costi. “Secondo una ricerca condotta da Global Workplace Analytics, grazie all’hybrid working le aziende possono risparmiare in media tra il 20% e il 25% sui costi immobiliari, in termini sia di affitto sia di spese accessorie. Un risparmio che può essere reinvestito in innovazione e servizi per i dipendenti stessi”, sottolinea Casarosa.

Se dunque lo smart working si scontra ancora con una certa sfiducia, l’hybrid working guadagna terreno: stando a una recente indagine condotta da Confindustria (Fonte: Indagine confindustria sul lavoro del 2023), il 43,2% delle aziende italiane appartenenti a un’ampia gamma di settori merceologici, lo ha introdotto come modalità operativa.

Sussistono anche degli ostacoli…

“Capita però che questa modalità venga adottata con una certa leggerezza, senza riflettere sulle sue implicazioni”, fa notare Andrea Casarosa. Oltre ai vantaggi, infatti, esistono anche degli ostacoli:

Cultura organizzativa. “Nelle aziende dalla cultura più tradizionale, la presenza fisica in ufficio è stata a lungo vista come il principale indicatore di produttività. Per superare questa mentalità servono un cambiamento culturale profondo e una comunicazione efficace”, spiega Casarosa.

Misurazione della produttività. “I manager devono sviluppare metriche basate sui risultati, il cui focus si sposta dall’orario agli obiettivi raggiunti”.

Problemi di comunicazione e collaborazione. “Non è banale collaborare con i propri colleghi in modo asincrono, indipendentemente da dove si trovano: servono strumenti e processi adeguati.

Sicurezza informatica: “L’accesso remoto ai dati aziendali può aumentare il rischio di violazioni. È necessario implementare misure di sicurezza robuste, come la crittografia dei dati, la gestione delle identità e degli accessi (IAM) e la formazione per i dipendenti”.

Hybrid working, strategia “ad hoc”

Andrea Casarosa ha dunque elaborato una strategia ad hoc per le aziende intenzionate a implementare con successo un modello ibrido di lavoro:

Analisi delle esigenze aziendali. “Attraverso una mappatura delle mansioni che richiedono la presenza in ufficio e di quelle che possono essere svolte efficacemente da remoto, il management può definire quali figure sono adatte al lavoro ibrido e stilare linee guida chiare per i dipendenti”, spiega Casarosa.

Comunicazione e coinvolgimento dei dipendenti. “Qualsiasi cambiamento organizzativo, incluso l’hybrid working, non può essere semplicemente calato dall’alto. I dipendenti saranno disposti ad accoglierlo, con spirito collaborativo e propositivo, soltanto se saranno coinvolti nel processo decisionale e se potranno esprimere i loro feedback, in una logica di ascolto attivo”.

Tecnologie. “I dipendenti hanno diritto a disporre di tecnologie adeguate per lavorare in modo efficace sia da remoto sia in ufficio: altrettanto prioritario è che ricevano una formazione ad hoc”, continua Andrea Casarosa.

Misurazione delle performance. “Un sistema di monitoraggio delle performance, basato sui risultati e non più soltanto sul tempo speso, è fondamentale per poter valutare i risultati, identificare aree di miglioramento, premiare le eccellenze e fornire feedback costruttivi per la crescita professionale dei collaboratori”, conclude Casarosa.