
Secondo un nuovo studio di Usercentrics, specialista europeo nelle tecnologie per la privacy, i giovani italiani della Generazione Z ripongono nei social media una fiducia quasi pari a quella concessa alle istituzioni pubbliche. L’indagine evidenzia un netto divario generazionale: il 38% della Gen Z dichiara di fidarsi delle piattaforme social nella gestione dei propri dati personali, contro il 20% dei Baby Boomer, il 22% dei Millennial e il 24% della Generazione X. Parallelamente, il 41% dei giovani della Generazione Z afferma di avere fiducia nelle istituzioni governative, percentuale che tra i Baby Boomer raggiunge il 66%.
Il divario generazionale nella fiducia digitale si riflette anche nell’approccio all’intelligenza artificiale: la Generazione Z risulta più propensa dei Baby Boomer ad accettare che i propri dati vengano utilizzati per l’addestramento dei modelli di AI (17% contro 10%).
Generazione Z: praticità e cautela a confronto
Per i consumatori più giovani, la condivisione dei dati è sempre più vista come un compromesso accettabile. Il 30% della Generazione Z ritiene che la comodità dell’online valga più della privacy, contro il 22% dei Baby Boomer. Inoltre, mentre il 66% dei Boomer ha la sensazione di essere diventato ‘il prodotto’ dei servizi digitali, solo il 55% della Gen Z condivide questa percezione.
Questa apertura, tuttavia, trova dei limiti. Trasparenza, solide garanzie di sicurezza e spiegazioni chiare sull’uso dei dati restano i tre pilastri della fiducia digitale per tutte le generazioni.
“La Generazione Z è la più propensa a condividere i propri dati rispetto a qualsiasi altra generazione, ma non lo fa in modo ingenuo”, afferma Adelina Peltea, CMO di Usercentrics. “Questi giovani compiono scelte consapevoli su chi merita fiducia e quando condividere, e questo comporta nuove responsabilità per i brand. Conquistare la loro fiducia significa guadagnarne anche la lealtà, ma solo se la trasparenza è assicurata fin dal primo clic”.
Il concetto di “privato” si evolve
In Italia, la percezione di cosa sia un “dato personale sensibile” varia con l’età: sia i 18–29enni sia gli over 60 mettono al primo posto gli “hard data” (numero di telefono, credenziali d’accesso, informazioni sanitarie). Nei più giovani, però, cresce l’attenzione anche verso dati di localizzazione e categorie emergenti come la cronologia di navigazione online e degli assistenti di IA. Ne risulta un panorama della privacy più sfaccettato, dove ai pilastri classici si affiancano nuove preoccupazioni legate ai comportamenti digitali e un approccio unico non basta.
Intelligenza artificiale: il banco di prova della fiducia
L’intelligenza artificiale rende sempre più urgente l’adozione di pratiche chiare ed etiche nella gestione dei dati. Sebbene la Generazione Z sia la più disponibile a consentirne l’uso in ambito AI, il 56% dei consumatori italiani continua a sentirsi a disagio all’idea che i propri dati vengano utilizzati per addestrare i modelli, mentre il 43% dichiara di fidarsi meno dell’IA rispetto agli esseri umani quando si tratta di tutela delle informazioni personali.
“Ci troviamo in un momento decisivo per i brand”, continua Adelina Peltea. “La prossima fase dell’engagement digitale si baserà su dati raccolti con il consenso degli utenti. A emergere saranno i brand capaci di rendere la privacy chiara, valorizzata e parte integrante dell’esperienza utente, non un semplice obbligo legale relegato in secondo piano”.