A sei anni dall’entrata in vigore dell’obbligo, molte aziende la trattano ancora come una normale casella email

A seguito della conversione del Decreto legge 179/2012 nella legge 221/2012, la Posta Elettronica Certificata (Pec) è obbligatoria per tutte le aziende, pubbliche e private, e i liberi professionisti. Eppure, a distanza di sei anni, moltissime le imprese che non sanno ancora come rapportarsi a questo strumento. Secondo un sondaggio realizzato da Achab su un campione di 154 Service Provider IT, il 32% dei messaggi di posta certificata non viene letto dai destinatari. Altre fonti parlano addirittura del 40%. Dati agghiaccianti se si pensa all’importanza dei documenti contenuti in questo genere di comunicazioni.

Oggi la Pec è un servizio in costante aumento (nel primo bimestre del 2018 le caselle Pec aperte sono arrivate a 8.950.940, solo 18 mesi prima erano 7.720.974. Nei primi due mesi dell’anno sono stati inviati oltre 297 milioni di messaggi), ma con la quantità non cresce di pari passo la consapevolezza della necessità di un suo migliore utilizzo. Secondo il sondaggio di Achab, meno del 10% delle aziende è in grado oggi di trattare correttamente il contenuto della propria casella Pec. Ciò significa che queste stesse aziende sono nell’impossibilità di utilizzarla come prova in caso di contenzioso. Una lacuna non da poco, quindi, con ripercussioni di impatto, potenziale, molto dannoso.

Proprio dalla casella di posta Pec, infatti, passano i documenti più importanti: dalle comunicazioni Inail a quelle dell’Inps, passando per Camera di Commercio, Tribunale, Ufficiale giudiziario, Ordine professionale ecc.

L’errore più comune? Trattare una mail ricevuta in posta certificata come se fosse una corrispondenza telematica qualunque. La giurisprudenza ha stabilito che tutto ciò che è contenuto in una Pec è, a tutti gli effetti, un documento informatico, non analogico, e come tale deve essere archiviato e conservato, altrimenti non ha alcun valore legale.

Rispetto alla posta raccomandata cartacea però, la Pec ribalta l’onere della prova in caso di contenzioso: è il proprietario della casella di posta elettronica certificata a dover controllarne periodicamente il contenuto, mentre con la raccomandata “classica” è il mittente a doversi curare di inviarla all’indirizzo giusto ed attenderne la ricevuta di ritorno come prova dell’avvenuta ricezione. Inoltre, come tutte le scritture contabili di un’azienda, anche la corrispondenza via Pec va conservata nel tempo, ma la firma legale che la certifica spesso ha una scadenza temporale inferiore rispetto a quanto necessario.