Il settore industriale italiano sta vivendo una trasformazione storica. Il “Piano Transizione 4.0” ha catalizzato con successo un’ondata di modernizzazione: secondo un recente rapporto della Banca d’Italia e del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, solo tra il 2020 e il 2022, sono stati investiti quasi 23 miliardi di euro in tecnologie avanzate e connesse. Si tratta della risposta nazionale a un imperativo globale: il passaggio verso un nuovo modo di fare produzione. Un’indagine QNX del maggio 2025 conferma che il 71% delle aziende a livello mondiale utilizzerà la robotica entro i prossimi due anni. Stiamo costruendo le fabbriche intelligenti del futuro per competere su scala globale. Ma in questa corsa all’innovazione, è rimasto un punto cieco che vale miliardi di euro. Abbiamo progettato le nostre nuove fabbriche per la produttività, ma non le abbiamo messe in sicurezza per garantirne la resilienza. E la cronaca dimostra che gli aggressori stanno sfruttando questa vulnerabilità a un ritmo allarmante.
Il Rapporto Clusit 2025 sulla sicurezza informatica rivela una dura realtà: il settore manifatturiero italiano è attaccato con una frequenza quasi tre volte superiore alla media globale, rappresentando il 16% di tutti gli incidenti nel nostro Paese. Non si tratta di una semplice coincidenza: è la diretta conseguenza di un errore strategico fondamentale.
Questo punto cieco rappresenta la distanza tra le nostre ambizioni digitali, sempre più elevate, e la nostra realtà in termini di sicurezza. Per decenni, abbiamo operato basandoci sul mito dell’“air gap”, ovvero la presunta separazione fisica ed elettronica tra la rete IT aziendale (l’ufficio) e la rete di Operational Technology (OT) della fabbrica (i macchinari). Oggi, quel divario non esiste più. La necessità di avere dati in tempo reale, manutenzione predittiva e diagnostica da remoto ci ha costretti a creare un ponte digitale tra IT e OT. Quel ponte è diventato un’autostrada per gli aggressori. Il rapporto Clusit lo conferma, rilevando che l’85% degli incidenti di sicurezza negli ambienti industriali oggi ha origine dalla rete IT, per poi propagarsi al resto dei sistemi e paralizzare la fabbrica.
Un attacco informatico, quindi, non è più solo un “problema dell’IT”. È una minaccia diretta alla continuità operativa e una responsabilità primaria del Chief Operating Officer (COO). Gli effetti sono potenzialmente devastanti: quando un attacco informatico colpisce un sistema OT, non si limita a corrompere un file: blocca la linea di montaggio. Il rischio si misura in ore di fermo produzione, milioni di euro di ricavi persi, costosi richiami di prodotti e incidenti di sicurezza devastanti.
Per colmare questo punto cieco, dobbiamo abbandonare il nostro approccio a silos e abbracciare un nuovo paradigma: la Security Convergence, ossia l’integrazione strategica e tecnologica della sicurezza fisica, della sicurezza informatica (IT) e della sicurezza operativa (OT) in un unico framework olistico.
La Security Convergence nasce dalla consapevolezza che, in una fabbrica intelligente, una credenziale di accesso compromessa è pericolosa quanto una password rubata, e un PLC manomesso è dannoso quanto un server hackerato. L’obiettivo non è più solo prevenire le intrusioni, ma garantire la supervisione ininterrotta dei processi produttivi. E questo può avvenire solamente se si definiscono punti di monitoraggio comuni, da cui osservare l’infrastruttura nella sua completezza.
Un modello di sicurezza convergente ridefinisce il Security Operations Center (SOC) da semplice centro di difesa a nucleo proattivo di resilienza operativa. L’evoluzione porta con sé vantaggi quanto mai concreti, che diventano ancor più evidenti in uno scenario reale:
· La risposta a silos: il team IT rileva un’anomalia di rete. Separatamente, ore dopo, il responsabile di produzione si accorge che una macchina sta producendo pezzi difettosi. Quando finalmente i due eventi vengono collegati, il danno è fatto e l’unico intervento possibile è una costosa campagna di richiamo.
· La risposta convergente: in qualsiasi momento della giornata, un SOC integrato correla gli eventi in tempo reale. Il SOC rileva un traffico anomalo proveniente da un macchinario mentre, nello stesso momento, il monitoraggio fisico segnala un fermo della linea. La correlazione immediata tra i due eventi permette di isolare subito la postazione compromessa e avviare la bonifica, evitando l’estendersi del problema e riducendo al minimo l’impatto produttivo.
Questo è il vero significato della business continuity nell’era digitale: un modello proattivo basato su dati integrati, in grado di andare ben oltre ogni piano reattivo di disaster recovery.
Il “Piano Transizione 4.0” ha offerto all’industria italiana un’opportunità storica. Ma il valore dei 23 miliardi di euro di investimenti in programma è sicuro solo quanto l’infrastruttura su cui si basa. Il prossimo capitolo del “Made in Italy” sarà scritto non solo dalle aziende che automatizzano, ma da quelle che integrano la resilienza nel cuore delle loro operation. Nella fabbrica del futuro, la Security Convergence non è solo una best practice; è l’unica strategia che può garantire la supervisione e la continuità dei nostri processi produttivi più critici.
A cura di Marco Bavazzano, CEO di Axitea
