L’Avv. Santaniello di Rödl & Partner spiega che se l’AI decide il licenziamento, il datore deve provarne la correttezza

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L’Intelligenza Artificiale è ormai presente in molti ambiti, incluso quello delle risorse umane. Oltre a supportare le aziende nella selezione dei curriculum, oggi l’AI può essere utilizzata anche per prendere decisioni importanti come i licenziamenti

Se una delle preoccupazioni maggiori degli italiani negli ultimi anni è stata è stata quella dell’“AI Anxiety”, ovvero la paura di essere sostituiti nelle mansioni dall’Intelligenza Artificiale, oggi il nuovo incubo degli impiegati, soprattutto delle grosse multinazionali, è quello di essere licenziato perché un algoritmo AI ha deciso che il suo rendimento non è più adeguato agli “standard” produttivi. E gli esempi non mancano, dalle decine di migliaia di persone licenziate delle Big Tech californiane, fino alla multinazionale petrolifera BP, che sembrerebbe in procinto di tagliare oltre 7.000 dipendenti e appaltatori utilizzando proprio l’AI.

Licenziamenti automatizzati: il datore deve provarli

In Italia – dove già i software per il controllo del personale non sono compatibili con la legislazione del lavoro – secondo gli esperti legali in diritto del lavoro in caso di utilizzo di un algoritmo gestito dall’intelligenza artificiale che decida le sorti di un lavoratore si aprirebbe la strada, in caso di controversie, a problemi processuali in relazione all’onere della prova.

licenziamenti“Quando un datore di lavoro si avvale di un algoritmo per prendere decisioni”, spiega Rita Santaniello, una delle principali esperte del diritto del lavoro in Italia, avvocato dello studio multinazionale Rödl & Partner, “si pensi al caso del licenziamento per scarso rendimento, il lavoratore potrebbe avere difficoltà a contestare tale decisone in quanto non ha accesso al cosiddetto ‘codice sorgente’, ovvero l’insieme delle istruzioni scritte in un linguaggio di programmazione che definisce il funzionamento dell’algoritmo stesso. In queste situazioni l’onere della prova si sposta così sul datore di lavoro che deve dimostrare che l’algoritmo ha operato correttamente. Se il datore di lavoro non dovesse riuscire a fornire prove adeguate riguardo il corretto utilizzo dell’algoritmo, il giudice potrebbe dichiarare illegittimo il provvedimento”.

Cosa dice l’AI Act?

In questo panorama si inserisce l’AI Act, il regolamento dell’Unione Europea che stabilisce regole per lo sviluppo, l’uso e la commercializzazione di sistemi di AI nell’UE, e che prevede requisiti e obblighi specifici per i sistemi di intelligenza artificiale considerati ad alto rischio – come appunto quelli che servono a selezionare e scremare i curriculum, così come quelli per valutare i dipendenti, decidere promozioni e licenziamenti – con l’obiettivo di garantire che l’uso dell’IA sia sicuro, etico e rispettoso dei diritti.

“Il datore di lavoro che intendesse utilizzare in modo corretto sistemi AI ad alto rischio, come quelli descritti sopra”, chiarisce l’avv. Rita Santaniello, “dovrebbe far riferimento innanzitutto all’articolo 26 dell’AI Act, in particolare al comma 7, che stabilisce che prima di mettere in servizio o utilizzare un sistema di IA ad alto rischio sul luogo di lavoro, i datori di lavoro informano i rappresentanti dei lavoratori e i lavoratori interessati che saranno soggetti all’uso del sistema di IA ad alto rischio e all’articolo 14 (in combinato con l’art. 26, paragrafo 2) che prevede la sorveglianza umana adeguata per ridurre al minimo i rischi per la salute, la sicurezza o i diritti fondamentali poiché le decisioni adottate col supporto di sistemi AI sono sempre responsabilità del datore di lavoro”.