I pericoli dello sharenting e le conseguenze di un uso non regolamentato delle AI – tra deep voice, deep fake e social scoring

Privacy digitale

Dagli anni ‘90 (quando è stata istituita l’Authority della Privacy) ad oggi, le norme giuridiche riguardo alla tutela della propria sfera privata e privacy digitale hanno attraversato un’era geologica. In poco più di un ventennio c’è stata la rivoluzione digitale 1.0, 2.0 e 3.0 e oggi stiamo entrando in una nuova fase, quella 4.0 ovvero quella delle intelligenze artificiali, che pone sfide ancora più alte.

Non è casuale che l’Europa abbia approvato da pochissimo (giugno 2023) la bozza dell’AI Act, che mette regole e paletti sull’utilizzo di questa nuova tecnologia, per esempio vietando totalmente l’impiego del riconoscimento facciale a scopo preventivo nelle politiche anticrimine (sì, sembra Minority Report, invece è tutto vero!).

Qual è il limite oltre il quale la “condivisione” dei propri dati (per esempio sui social che li raccolgono per rivenderli a scopo commerciale) diventa “esposizione” e dunque violazione dei diritti, si domandano filosofi, giuristi, scrittori e anche persone comuni? Quali sono i vantaggi della rivoluzione digitale per il progresso dell’umanità, e quali sono i rischi? Quali regole bisognerebbe introdurre per evitare che sia la macchina a dirci come comportarci e non viceversa?

Per chiunque abbia la curiosità di farsi un’opinione, suggeriamo un elenco di sette testi, tra saggi, fiction e romanzi autobiografici, che attraverso un linguaggio non tecnico, ma narrativo o in stile saggistico, permettono di offrire spunti di riflessione su queste tematiche che sempre più affollano il nostro quotidiano social e digital.

I 7 libri imperdibili sulla privacy digitale

  1. Tutto per i bambini” è il romanzo di Delphine de Vigan, affermata autrice francese che da sempre scrive racconti su tematiche legate alla famiglia, agli adolescenti e alle sfide contemporanee del parenting con uno stile avvincente. Il romanzo, in Italia edito da Einaudi, descrive la vita social tra stories, post e reel di una famiglia parigina che improvvisamente si trova davanti a uno sconvolgimento: la più piccola di casa scompare. Non si tratta di un thriller o di un noir con risvolti inquietanti, l’intento della scrittrice è di far riflettere il lettore attraverso una storia verosimile, su come e quanto lo sharenting possa influenzare comportamenti futuri e modi di pensare dei bambini coinvolti. Il secondo livello di lettura è se da un punto di vista giuridico si vada a ledere il diritto alla riservatezza del bambino che forse, da adulto, potrebbe avere da ridire rispetto al comportamento poco rispettoso della sua privacy da parte del genitore (seppur rari, esistono già casi di figli che denunciano i genitori per averli esposti eccessivamente in tenera età).

Perché leggerlo: il libro è scorrevole e appassionante, e sicuramente aiuterà a prendere una posizione libera e autonoma rispetto a questo tema, sviluppando degli anticorpi contro l’eccesso da esposizione, soprattutto se si tratta di ciò di cui abbiamo più caro, ovvero i figli.

  1. I figli dell’algoritmo: sorvegliati, tracciati, profilati dalla nascita” di Veronica Barassi (edizioni Luiss) è un saggio sul tema dello sharenting, che gira intorno alla maxi domanda “dove finiscono i dati che condividiamo nella rete e quale utilizzo ne viene fatto?”. La Barassi – studiosa che ha insegnato per molti anni Media, Communications, and Cultural Studies alla Goldsmith University di Londra, prima di diventare professoressa ordinaria all’Università di San Gallo, in Svizzera – porta il suo contributo nell’ambito dei surveillance studiesovvero quel filone di studi di cui “Il capitalismo della sorveglianza” di Shoshana Zuboff è il punto di riferimento principale. “Per la prima volta stiamo creando una generazione “datificata” da prima della nascita – scrive l’autrice. – I dati dei nostri bambini vengono aggregati, scambiati, venduti e trasformati in profili digitali, e sempre più utilizzati per giudicarli e decidere aspetti fondamentali della loro vita”. Partendo dalla sua storia personale, dalla gravidanza e le prime esperienza di genitorialità, Veronica Barassi si è tuffata con gli strumenti dell’antropologa digitale nel mare di dati nostri e dei nostri figli di cui lasciamo traccia ogni giorno online, trovandosi di fronte a una verità tanto semplice quanto inquietante: l’era digitale ci ha catapultati in un mondo nuovo, quello del capitalismo della sorveglianza, che ha completamente riscritto i concetti di libertà, privacy e controllo. C’è un piccolo particolare: nessuno ci ha informati prima.

Perché leggerlo: dopo aver letto questo saggio, l’ipotesi che il consenso alla condivisione dei propri dati a scopo commerciale diventi obbligatorio per legge per qualsiasi social o sito (una sentenza della Corte di Giustizia europea lo ha stabilito alcuni mesi fa a seguito di un ricorso) ci sembrerà molto meno teorica e molto pratica e utile per la tutela della nostra intimità e felicità.

  1. Scalmane” di Roberta Lippi (edizioni Mondadori) è una proposta dai toni più leggeri: un romanzo rosa che attraverso gli occhi di una donna matura, nata in era pre-Internet e completamente adattata al nuovo mondo digitale, ci mostra quanto gli influencer, le piattaforme e le loro dinamiche siano ormai parte integrante della vita lavorativa, sentimentale, relazionale. La vicenda ruota attorno a Rebecca, 47 anni, una vita di successo come influencer. All’improvviso l’orologio biologico entra di prepotenza e nella sua quotidianità arrivano le scalmane. Tutto cambia, non solo il suo corpo, infatti le scalmane sono anche un rivolgimento interiore e la protagonista viene sconvolta da una passione adolescenziale che torna e infiamma tutto, rovinandole la vita. Così le scalmane diventano metafora dell’inseguimento di un successo effimero, quello del mondo digitale, dove ognuno deve mostrare il meglio di sé per ottenere quanti più followers possibili; dell’urgenza di voler risolvere un mistero nel quale viene trascinata, vittima di una hater che la prende di mira con il solo desiderio di distruggerla.

Perché leggerlo: donne e uomini che abbiano voglia di mettere in discussione l’idea che felicità faccia il paio con bellezza, giovinezza, esposizione continua e tanti like. Nella nostra realtà i social sono un’opportunità da gestire non una dipendenza da subire.

  1. Confessioni di un’influencer pentita” di Federica Micoli (Fabbri editori) è una proposta a cavallo tra il memoir e l’autobiografia romanzata. “C’è stato un tempo in cui il mondo dei social media era una landa rigogliosa e sterminata, traboccante di risorse. Era una terra libera, che aspettava solo di essere conquistata. Era un gioco entusiasmante, e di tutti i sentimenti umani l’entusiasmo è quello che più favorisce l’unione e la condivisione”. Comincia così il racconto di Federica Micoli, export manager nel mondo della moda che ha trasformato una sua passione in un lavoro. Era il 2014 quando Micoli ha fondato Closette, un blog di viaggi e moda attorno al quale, attraverso contenuti di qualità, ha creato una community numerosa e affezionata. “Poi sono comparsi i social, le prime proposte di contenuti sponsorizzati, e in breve tempo si è ritrovata a lavorare come influencer – racconta – una novità, con cui è arrivata anche la popolarità, che nasconde però una grande insidia: ti rende schiavo. Giornate scandite dalla ricerca ossessiva di contenuti originali da pubblicare, l’ansia da like e da visualizzazioni, la dipendenza dal telefonino, la paura di perdere follower…”. Federica Micoli, improvvisamente, si è risvegliata e si è domandata se avesse senso scegliere come destinazione per le vacanze non il luogo del cuore con cui passare giorni spensierati col marito e la famiglia, ma il posto più instagrammabile e più giusto per le sue stories. Così oggi lei, che non ha smesso di usare i social ma ha completamente cambiato il modo in cui li utilizza, ha scelto di raccontare al mondo la trappola in cui era cascata e il modo in cui ne è uscita.

Perché leggerlo: è dedicato a tutti coloro che sentono il desiderio di rimettere in chiaro le priorità, riconquistare il timone della propria vita, sia reale sia sui social, e disintossicarsi dalla fame di “like” riprendendo il comando della propria vita contro l’algoritmo.

  1. Questo post è stato rimosso” di Hanna Beurvoets, Mondadori, è un romanzo sul dietro le quinte dei social. Protagonisti sono i moderatori, quelli che vedono ciò che non vediamo noi. Il libro esplora il concetto di moralità e di come sia fluido, mutando costantemente a seconda di dove e con chi ci troviamo, e mette in luce il potere delle grandi aziende tecnologiche, il modo in cui ci controllano e alla fine ci cambiano per sempre. L’ipotesi dell’autrice è che essere un moderatore di contenuti significa vedere l’umanità al suo peggio. La protagonista del romanzo, Kayleigh, però ha bisogno di soldi. Ecco perché accetta un incarico per una piattaforma di social media di cui non le è permesso fare il nome. La sua responsabilità consiste nell’esaminare video e foto offensivi, sproloqui e teorie cospirative, e decidere quali debbano essere rimossi. È un’attività estenuante. Kayleigh e i suoi colleghi trascorrono le giornate guardando le cose più orribili sui loro schermi, e valutandole secondo le linee guida dell’azienda, che cambiano in continuazione. Eppure, lei sente di essere nel posto giusto. È brava nel suo ruolo, trova amici tra gli altri moderatori e, quando si innamora della sua collega Sigrid, per la prima volta il futuro le sembra luminoso. Ma presto il lavoro inizia a cambiarli tutti, facendo deragliare le loro vite in modi allarmanti. Quando i colleghi crollano uno dopo l’altro, quando Sigrid diventa sempre più distante e fragile, quando i suoi amici cominciano a sposare le stesse teorie cospirazioniste che dovrebbero valutare, Kayleigh si chiede se quel che fanno non sia troppo per loro.

Perché leggerlo: consigliato per tutti i community manager e in generale i social addicted che hanno bisogno di essere risvegliati dal grande sonno. Chissà che la paura di finire come i personaggi del libro non li convinca a ribaltare il tavolo e a cambiare modalità e mentalità. 

  1. “Sei vecchio. I mondi digitali della Generazione Z”, di Vincenzo Marino (Nottetempo) è un’indagine su abitudini e passioni digital della GenZ scritto da un trentasettenne che di lavoro si occupa di contenuti e che in occasione della Privacy week parteciperà alla Privacy Night, la serata dedicata al tema dello sharenting. Cosa fanno i più giovani quando guardano incantati i propri smartphone? Di cosa parlano fra loro? Cos’è che li entusiasma, e quali sono i loro consumi culturali? Il tema guida è l’intrattenimento online: infatti è nella costante interazione con i social network – da Instagram a TikTok, da Twitch a YouTube – che la Gen Z trova uno specchio di sé e vede racchiuso il proprio universo contenutistico o meglio il proprio content. Non è facile comprendere davvero qual è la molla che spinge un ragazzo a inseguire per ore su Tik Tok o su Twitch il proprio guru o maestro di gaming o il proprio idolo musicale, quello che sicuramente colpirà i non GenZ è scoprire che i giovani hanno moltissime passioni, ma tutte nuove e decisamente diverse da quelle delle generazioni precedenti.

Perché leggerlo: un libro utile per tutti i genitori, gli adulti e i boomer che non resistono all’idea di penetrare i segreti e le dinamiche del mondo dei giovani, con un avvertimento: il rischio di non capire, di rimanere delusi o di annoiarsi è molto alto, perché il codice di comunicazione della GenZ è davvero qualcosa di totalmente nuovo, e insieme assolutamente settario.

  1. BlackBox, sicurezza e sorveglianza nelle nostre città” di Laura Carrer (Ledizioni) è un saggio che ci trasporta in quel mondo, un tempo considerato distopico, che oggi attraverso le Intelligenze Artificiali sta diventando realtà. Città e ambienti quotidiani in cui strumenti come la sorveglianza, il riconoscimento facciale, la polizia predittiva e la lotta al crimine (ricordate Minority Report?) sono ipotesi al vaglio di decisori e politici, se non già applicazioni pratiche. La Carrer, giornalista di inchiesta che da anni si occupa di questi temi e parteciperà ad alcuni degli incontri della Privacy Week 2023, si domanda: cosa potrebbe succedere se al sistema di video-sorveglianza diamo la possibilità, in autonomia e senza una vera supervisione umana, di individuare il volto di una persona e associargli un’identità e un punteggio? L’utilizzo di queste tecnologie all’apparenza neutrali, indipendenti e più precise dell’uomo, infatti, risulta imperfetto e portatore di diversi pregiudizi. In Italia, solo per dare alcuni elementi concreti, nel 2017 la Polizia Italiana si è dotata del sistema S.A.R.I. (Sistema Automatico di Riconoscimento Immagini). Dopo tre anni, nel 2020, l’amministrazione comunale di Como ha installato il primo sistema di riconoscimento facciale in Italia. Le politiche securitarie, sorveglianza e tecnologie biometriche vanno a configurare un sistema di nuovi strumenti a supporto di quel “potere disciplinare” di cui parlava il filosofo Foucault. In Black Box la Carrer racconta i casi attuali di utilizzo dei sistemi biometrici, inevitabilmente soggetti a bias algoritmici e riflette sul concetto di sicurezza urbana e di società che, attraverso queste applicazioni, si viene a configurare.

Perché leggerlo: una riflessione molto utile a chi dice “non ho niente da nascondere” quando si parla di privacy. Il diritto alla riservatezza è sempre più spesso violato da sistemi di controllo tecnologici, come le telecamere nelle città, che si giustificano e fanno leva sulle nostre paure, sulla percezione della sicurezza ma che non portano soluzione ai problemi reali. Il libro di Laura Carrer dimostra con casi veri che le soluzioni tecnologiche non sono mai “neutre”.