Il livello di Data Maturity medio rilevato in Italia da Hewlett Packard Enterprise è di 2,6 su una scala di 5, in linea con il dato globale, con solo il 3% delle realtà coinvolte che raggiunge il gradino più alto.

Data maturity

Settore pubblico e settore privato devono possedere un certo livello di data maturity per il raggiungimento degli obiettivi chiave, come l’aumento delle vendite o il progresso nella sostenibilità ambientale. La mancanza di tale maturità potrebbe rappresentare un enorme ostacolo da superare. Questo è ciò che viene dimostrato dallo studio di YouGov per conto di Hewlett Packard Enterprise (HPE).

Il livello di data marurity delle organizzazioni è ancora troppo basso

L’indagine ha coinvolto oltre 8.600 decision maker di tutti i settori privati e pubblici in 19 paesi e rivela che il livello medio di data maturity delle organizzazioni, ovvero la loro capacità di creare valore dai dati, è di 2,6 su una scala di 5, con solo il 3% di queste che raggiunge il livello di maturità più elevato. In tale contesto, il dato relativo all’Italia riflette quello mondiale.

Il dato al centro: l’imperativo per cambiare rotta

Esiste un ampio consenso sul fatto che i dati abbiano un enorme potenziale per far progredire il modo in cui viviamo e lavoriamo. Tuttavia, liberare questo potenziale richiede un cambiamento nelle strategie di trasformazione digitale delle organizzazioni”, ha dichiarato Claudio Bassoli, Presidente e CEO di Hewlett Packard Enterprise Italia. “È dunque necessario che mettano i dati al centro dei loro percorsi di trasformazione per colmare le lacune attuali, rafforzare la loro autonomia e consentire la collaborazione tra ecosistemi di dati“.

La mancanza di capacità gestione dei dati impedisce il raggiungimento di obiettivi chiave

Il sondaggio si basa su un modello di data maturity sviluppato da HPE, che valuta la capacità di un’organizzazione di creare valore dai dati sulla base di criteri strategici, organizzativi e tecnologici. Il livello di maturità più basso (livello 1) è chiamato “data anarchy“: a questo livello, i pool di dati sono isolati l’uno dall’altro e non vengono analizzati sistematicamente per generare insight o risultati. Il livello più alto (livello 5) è chiamato “data economics”: a questo livello, un’organizzazione sfrutta strategicamente i dati per ottenere risultati, sulla base di un accesso unificato a fonti interne ed esterne che vengono analizzate con sistemi di analytics avanzati e di intelligenza artificiale.

I risultati del sondaggio rivelano che il 14% delle organizzazioni si trova al livello di data maturity 1 (data anarchy), il 29% al livello 2 (data reporting), il 37% al livello 3 (data insights), il 17% al livello 4 (data centricity) e solo il 3% è al livello 5 (data economics).

In Italia si registrano dati simili: data anarchy 13%, data reporting 31%, data insights 34%, data centricity 17%, data economy 4%.

Cosa ne consegue?

La mancanza di capacità di gestione e valorizzazione dei dati, a sua volta, limita la capacità delle organizzazioni di raggiungere obiettivi chiave come l’aumento delle vendite (30%), l’innovazione (28%), il miglioramento della customer experience (24%), il miglioramento della sostenibilità ambientale (21%) e l’aumento dell’efficienza interna (21%).

Per quanto riguarda l’Italia sono stati rilevati i seguenti dati: aumento delle vendite 34%, innovazione 32%, miglioramento della customer experience 23%, il miglioramento della sostenibilità ambientale 17%, l’aumento dell’efficienza interna 20%.

Le organizzazioni devono colmare i gap strategici, organizzativi e tecnologici

Il sondaggio sulla data maturity delle organizzazioni fornisce una visione dettagliata dei gap strategici, organizzativi e tecnologici che le organizzazioni devono colmare per sfruttare i dati come asset lungo tutta la value chain.

Tra le principali evidenze:

  • Solo il 13% degli intervistati afferma che la data strategy della propria organizzazione è una parte fondamentale della strategia aziendale.
  • Quasi la metà degli intervistati (48% – in Italia 33%) afferma che la propria organizzazione non alloca alcun budget per iniziative relative ai dati o finanzia solo occasionalmente iniziative relative ai dati tramite il budget IT.
  • Solo il 28% (in Italia il 29%) degli intervistati ha confermato che la propria organizzazione ha un focus strategico su prodotti o servizi data-driven.
  • Quasi la metà degli intervistati afferma che le proprie organizzazioni non utilizzano metodologie come il machine learning o il deep learning, ma si affidano a fogli di calcolo (29% – in Italia 34%) o business intelligence e report preconfezionati (18% – in Italia 15%) per l’analisi dei dati.

La creazione di valore dai dati richiede anche l’aggregazione di dati o insight provenienti da diverse applicazioni, location o spazi dati esterni. Ad esempio, i dati di telemetria generati dai sensori dei prodotti venduti possono aiutare il reparto R&S di un produttore ad allineare meglio la successiva generazione di prodotti alle esigenze dei clienti. Allo stesso modo, la condivisione tra strutture sanitarie degli insight generati dai dati dei pazienti può far progredire la diagnostica medica.

Le organizzazioni vogliono il controllo su cloud ed edge

Una caratteristica legata a un basso livello di data maturity è che non esiste un’architettura globale di dati e analisi: i dati sono isolati in singole applicazioni o posizioni. Questo è il caso del 34% (in Italia 39%) degli intervistati. D’altra parte, solo il 19% (in Italia 14%) ha implementato un data hub o fabric centrale che fornisce accesso unificato ai dati in tempo reale in tutta l’organizzazione e un altro 8% (in Italia 13%) afferma che questo data hub include anche fonti di dati esterne.

Considerato che le fonti di dati sono sempre più distribuite tra cloud ed edge, la maggior parte degli intervistati (62% – in Italia 63%) afferma che è strategicamente importante avere un alto grado di controllo sui propri dati e mezzi per estrarne valore. Più della metà dei rispondenti (52% – in Italia 48%) teme che i soggetti che detengono i monopoli dei dati abbiano un controllo eccessivo sulla loro capacità di creare valore e il 39% (in Italia 26%) sta rivalutando la propria strategia cloud a causa dell’aumento dei costi (42% – in Italia 40%), delle preoccupazioni sulla sicurezza (37% – in Italia 26%), della necessità di un’architettura più flessibile (37% – in Italia 29%) e della carenza di controllo sui propri dati (32% – in Italia 26%).