Tra tensioni geopolitiche e commerciali i Paesi provano a conciliare sostenibilità e sicurezza energetica: l’80% della produzione elettrica dei Paesi G20 proverrà, entro il 2050, da fonti non fossili, ma i costi e la dipendenza da un ristretto gruppo di fornitori porranno nuove sfide

Renewable energy

L’anno scorso è stato un anno record per le energie rinnovabili, che hanno rappresentato oltre il 90% della nuova capacità di energia a livello mondiale. Un’ulteriore crescita dopo che nel 2023 la capacità globale di energia rinnovabile era già aumentata di oltre il 50% rispetto al 2022. Un’impennata alimentata soprattutto dalla rapida espansione delle principali tecnologie energetiche pulite nei Paesi più industrializzati: secondo le stime del modello POLES dell’Unione Europea, entro il 2050 e nello scenario a 1,5°C almeno l’80% della produzione elettrica dei Paesi G20 proverrà da fonti non fossili. Questo emerge dal documento elaborato da ISPI e Deloitte.

 

Molti i progressi da fare nelle fonti rinnovabili…

Restano però ancora molti i progressi da fare per allinearsi all’obiettivo globale di triplicare la capacità installata di fonti ed energie rinnovabili entro il 2030. Secondo l’IRENA – l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili – per raggiungere questo target la capacità dovrà crescere del 16,6% all’anno fino al 2030. Una sfida ambiziosa alla quale sono chiamati tutti i Paesi e che è al centro di un nuovo studio elaborato da ISPI e Deloitte su come conciliare gli obiettivi di sostenibilità e le esigenze di sicurezza energetica, rese ancora più ineludibili dalle tensioni geopolitiche e commerciali.

I dati raccolti nello studio “Reconciling Sustainability Transition Priorities with Energy Security ones: a focus on Industrialized Countries” mettono in evidenza che la transizione verso un’economia verde è fondamentale per mitigare gli effetti del cambiamento climatico. Le emissioni di CO₂ legate all’energia hanno raggiunto il livello record di 37,7 gigatonnellate (Gt).

  • Il settore elettrico è responsabile per il 36% delle emissioni,
  • seguito dall’industria (26,5%),
  • dai trasporti (21,2%)
  • e dall’edilizia (7,9%).

La mancata riduzione delle emissioni ha profonde conseguenze per gli ecosistemi di tutto il mondo, con impatti per la salute umana, la biodiversità delle fonti e la sicurezza idrica. Le stime indicano che entro il 2050 il cambiamento climatico potrebbe provocare circa 14,5 milioni di morti, perdite economiche per 12,5 mila miliardi di dollari e fino a 1,1 mila miliardi di spese sanitarie extra.

 

Fare i conti con le tensioni geopolitiche ed economiche

Di fronte a questa urgenza i Paesi devono però fare i conti con le tensioni geopolitiche che hanno minato la stabilità dei mercati energetici globali. La pandemia di COVID-19, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e i conflitti in Medio Oriente hanno portato a una ridefinizione delle catene di approvvigionamento ad un rialzo dei prezzi delle materie prime, in particolare in Europa. Nell’agosto 2022, pochi mesi dopo l’inizio della guerra in Ucraina, i prezzi del gas nell’UE sono arrivati in media a più di 3 volte quelli del Giappone e a quasi 8 volte quelli degli Stati Uniti, con una conseguente riduzione della competitività sui mercati globali per le imprese europee.

 

La geolocalizzazione dei minerali critici

Un altro elemento di destabilizzazione verso la transizione energetica è rappresentato dall’elevata concentrazione geografica di minerali critici, essenziali per la produzione di tecnologie pulite.

Alcuni esempi tratti dallo studio:

  • la Repubblica Democratica del Congo fornisce il 70% del cobalto,
  • la Cina il 60% delle terre rare
  • e l’Indonesia il 40% del nichel,
  • l’Australia rappresenta il 55% dell’estrazione del litio
  • e il Cile il 25%.
  • Anche la lavorazione di questi minerali è altamente concentrata: la Cina è responsabile della raffinazione del 90% delle terre rare e del 60-70% di litio e cobalto.

“Riuscire a bilanciare la spinta verso la decarbonizzazione con la necessità di garantire approvvigionamenti energetici stabili, prezzi sostenibili e filiere industriali resilienti” ha commentato Andrea Poggi, Head of DCM Public Policy & Stakeholder Relations Centre e DCM Innovation Leader “rappresenta oggi una delle principali sfide strategiche per le economie avanzate, chiamate a guidare una transizione sostenibile anche sotto il profilo economico e geopolitico. Per affrontarla, è fondamentale promuovere un approccio sinergico e collaborativo tra istituzioni e imprese, valorizzando innovazione e tecnologie emergenti come leva di crescita.”

“La transizione energetica non per forza incide negativamente sulla sicurezza energetica, e viceversa” – segnala Antonio Villafranca, Vice Presidente ISPI per la Ricerca. “È infatti nell’interesse stesso dei Paesi industrializzati guidare la transizione verde e garantire una crescita più strategica e sostenibile. Tuttavia, sono necessarie nuove politiche e risorse finanziarie per affrontare l’impatto a breve termine su imprese e famiglie”.