
Partiamo da una considerazione che viene dal campo: oggi la maggioranza delle aziende accede a molti più dati di quanti ne riesca davvero a valorizzare. E non perché manchi la disponibilità, anzi, i database sono pieni così come è forte la crescita di informazioni digitali: il fatto è che sono pochi quelli sfruttati in modo utile. Questo paradosso dell’abbondanza informativa, pur con il ruolo centrale delle informazioni, rappresenta una delle sfide più significative del nostro tempo: il vero problema non è la quantità di dati in assoluto, ma la quantità di quelli che vengono davvero sfruttati.
In questo contesto, molte aziende hanno iniziato a condividere dati con partner, fornitori o tra diverse business unit: è il primo passo, il Data Sharing. Ma chi sta davvero innovando è già oltre: le aziende più innovative e data-driven hanno già compiuto il salto verso la Data Collaboration, un approccio che supera il semplice scambio di informazioni e punta alla co-creazione di valore dalla reciproca apertura ai propri dati fra entità diverse.
Queste due metodologie, seppur distinte, non sono in realtà in competizione: si completano a vicenda, e se orchestrati in modo strategico, possono trasformare radicalmente il modo in cui le organizzazioni gestiscono e utilizzano i propri asset informativi, soprattutto in certi settori ad alto dinamismo informativo.
Data Sharing: oltre i silos
Il Data Sharing rappresenta essenzialmente un trasferimento controllato di informazioni tra diverse entità. Si tratta di un modello relativamente lineare dove una parte mette a disposizione dataset specifici, e l’altra li utilizza secondo regole ben definite.
In ambito aziendale, questo approccio si manifesta in diverse pratiche consolidate. Prendiamo il retail: molte catene condividono già dati di vendita con i propri fornitori per ottimizzare la supply chain e ridurre i tempi di approvvigionamento oppure gli assortimenti e le esposizioni. Oppure il mondo finanziario, dove alcune banche condividono informazioni creditizie aggregate con partner fintech per sviluppare nuovi prodotti di credito.
I vantaggi? Sono concreti e immediati. Il Data Sharing consente un controllo preciso sulla governance e sugli accessi: le aziende mantengono la proprietà dei dati e possono ottenere i benefici dalla loro condivisione. Rappresenta un primo passo di rottura dei silos interni, favorendo una maggiore trasparenza e collaborazione tra diversi dipartimenti.
Certo ha anche dei limiti, specialmente se adottato nella sua versione più monolitica. Il potenziale rimane intrinsecamente limitato ai dati condivisi, e soprattutto il flusso delle informazioni è unidirezionale: questo significa che i dati accessibili sono vincolati alle modalità e agli scopi definiti a monte della condivisione.
Data Collaboration: pilastro dell’innovazione collaborativa
La Data Collaboration cambia completamente le regole del gioco, e ribalta l’approccio tradizionale. Non si tratta più di dire “Questi sono i dati, utilizzateli secondo regole stabilite”, ma di passare a “Lavoriamo insieme sui dati per generare nuovo valore”: un approccio che trasforma i dati da risorsa statica a strumento dinamico di innovazione collaborativa.
Un esempio illuminante è rappresentato dal settore assicurativo: secondo questo framework, le aziende collaborano per il rilevamento delle frodi senza condividere direttamente i dati sensibli, ma utilizzano tecnologie come il federated learning per sviluppare modelli che beneficiano di una base dati frutto dell’esperienza di ciascuna compagnia pur mantenendo la riservatezza dei dati propri aziendali e dei propri clienti.
Anche nel retail si vedono applicazioni mature: catene come Walmart e Target collaborano con fornitori globali per ottimizzare le previsioni di domanda, grazie ad algoritmi che apprendono da pattern di consumo aggregati senza esporre dati competitivamente sensibili.
Il risultato? Previsioni più accurate e resilienti, analisi che sarebbero irraggiungibili solo con i propri dati dell’insegna e senza l’apporto di dati relativi a un processo attiguo proprio dei fornitori globali.
La Data Collaboration insomma rappresenta un modo di lavorare che non solo migliora le performance, ma trasforma il modo stesso di fare strategia business con i dati.
Quindi Data Sharing o Data Collaboration?
Ovviamente, non esiste una risposta unica: la scelta tra Data Sharing e Data Collaboration dipende da obiettivi e contesto strategico in cui si muove l’organizzazione.
In termini generali, il Data Sharing rappresenta la scelta preferenziale quando l’organizzazione dispone di dataset proprietari unici il cui valore è principalmente nella consultazione e analisi da parte degli utenti. È anche la scelta obbligata in settori dove la normativa impone un controllo molto stretto su governance e utilizzo dei dati, come nel caso di sanità e servizi finanziari.
La Data Collaboration, invece, è la strategia vincente quando nessuna singola organizzazione possiede tutti i pezzi del puzzle necessari per avere visione completa di un processo ed è la risposta ideale per affrontare sfide complesse che le organizzazioni non riescono a risolvere da sole, ma che proprio per questo sono in grado di aprilre la strada all’innovazione.
La strada ibrida
Le organizzazioni più data-driven e innovative non scelgono tra i due modelli: li integrano. Attraverso un percorso evolutivo che prende il via dalla condivisione dei dati per costruire fiducia reciproca e testare la compatibilità operativa, evolvono verso forme di collaborazione più sofisticate e strategicamente rilevanti, guidate dalla consapevolezza sugli effetti sul business che matura via via durante il percorso.
Un esempio emblematico? Amazon, che non si limita a condividere dati di vendita con i merchant della sua piattaforma: collabora attivamente con loro per ottimizzare inventory management, pricing dinamico e strategie di marketing personalizzate. Il risultato? Un ecosistema win-win: i merchant ottengono dati preziosi di sell-out per migliorare le loro performance, mentre Amazon beneficia di un ecosistema più efficiente a monte e più competitivo quindi a valle.
La tecnologia fa la differenza
Come ogni framework concettuale, per passare al concreto serve una solida infrastruttura tecnologica: il mercato sta evolvendo per facilitare l’implementazione di approcci moderni di data management nelle loro forme più articolate. Nel Data Sharing, le soluzioni chiave sono architetture data mesh per una governance solida e distribuita, le piattaforme API-first con standard che favoriscono l’integrazione, e i marketplace intelligenti che automatizzano processi di accesso ai dataset.
Per la Data Collaboration, il livello si alza: si parla di federated learning per lo sviluppo di modelli di AI su dati distribuiti, il confidential computing che garantisce privacy e security grazie ad ambienti crittografati, architetture data cloud per flessibilità e interoperabilità tra sistemi distribuiti, e synthetic data generation per la creazione di dataset artificiali con caratteristiche analoghe a quelle reali per preservare la privacy e dimensionare la base dati ai propri scopi.
Condividere per competere
In un contesto quindi dove i dati sono ovunque ma il valore non si genera da solo, la vera sfida è superare le barriere tecniche e culturali per condividerli proficuamente.
Le organizzazioni che riusciranno a trovare modi nel proprio contesto di mercato di evolvere dalla logica del possesso a quella della collaborazione, saranno quelle in grado di sviluppare vantaggi per il proprio business più profondi e più innovativi, e quindi un vantaggio competitivo duraturo.
Data Sharing e Data Collaboration non sono solo strategie tecnologiche: sono scelte culturali e di visione. Chi saprà orchestrarle con intelligenza, costruendo fiducia, competenze e infrastrutture adeguate, sarà pronto per un nuovo paradigma: quello in cui condividere non significa perdere, ma moltiplicare opportunità.
A cura di Matteo Longoni, Business Development Manager di Axiante
Per ulteriori informazioni consultare www.axiante.com