Si diffonde sempre più in Italia il fenomeno del ‘job hopping’: una tendenza che spinge i lavoratori a cambiare impiego frequentemente

Job-Hopping

Negli ultimi cinque anni il mondo del lavoro ha vissuto una trasformazione profonda, che ha modificato abitudini, priorità e aspettative dei lavoratori. Tra i fenomeni più evidenti, emerge il job hopping, ovvero la tendenza a cambiare spesso impiego per cogliere nuove opportunità professionali, anche in tempi brevi. Un modello che arriva dall’estero, già consolidato nel Nord Europa e nel Regno Unito, e che si sta affermando sempre più anche in Italia: oggi le persone tendono a cambiare lavoro in media ogni due anni.

Infatti, negli ultimi dieci anni, in Italia, le dimissioni volontarie sono raddoppiate, passando da un milione nel 2015 a due milioni nel 2024. Sebbene si registri un lieve calo rispetto ai picchi post-pandemici, il fenomeno riflette una trasformazione culturale profonda: il posto fisso non è più un mito e cambiare lavoro è ormai comune e accettato. Se negli anni ’80, infatti, un lavoratore cambiava azienda in media 1,5 volte nell’arco della carriera, oggi si stimano 6-7 cambi.

Job-HoppingStoricamente”, precisa Joelle Gallesi, managing director di Hunters Group, società di ricerca e selezione di personale qualificato, “si è sempre creduto che le persone dovessero iniziare e finire la propria carriera in un unico posto o che, comunque, dovessero cambiare il meno possibile. La lunga permanenza nella stessa azienda è sempre stata sinonimo di professionalità e serietà mentre i cambi repentini e continui erano visti come un segnale di scarsa affidabilità.
Oggi, questa è una percezione ormai superata: la maggiore mobilità professionale ha favorito una vera e propria contaminazione tra settori e competenze. I professionisti costruiscono carriere sempre più ibride e le aziende si mostrano più aperte verso percorsi non lineari, riconoscendo il valore di chi sa integrare esperienze e prospettive provenienti da ambiti diversi. Mettere la persona al centro è dunque fondamentale: valorizzare background ed esperienze eterogenee contribuisce in modo significativo alla retention delle risorse
”.

Job hopping: i settori più toccati da questo fenomeno

Settori come quello tecnologico o ingegneristico offrono numerose opportunità e rendono i lavoratori più liberi, soprattutto dove la carenza di personale qualificato facilita il cambio di azienda. Al contrario, in contesti più tradizionali, il ricambio è decisamente più lento e meno diffuso.

A livello geografico, emergono delle differenze tra le regioni del Sud e del Nord Italia, dove è maggiore la presenza di multinazionali e culture organizzative più simili ai modelli nordeuropei. Questa disparità del job hopping dipende sostanzialmente da tre fattori:

  • Differenza salariale: gli stipendi medi al Nord sono significativamente più alti rispetto al Sud ed offrono potenzialmente una maggiore flessibilità finanziaria e la possibilità di cercare occasioni meglio retribuite;
  • Maggiori opportunità professionali: le regioni settentrionali hanno un tessuto economico più dinamico, con una maggiore presenza di industrie, multinazionali e settori ad alta tecnologia che offrono numerosi percorsi di carriera e opportunità di cambiamento;
  • Più elevata concentrazione di laureati: al Nord ci sono più laureati che trovano impiego in ruoli in linea con i loro studi; questo li può portare a una maggiore mobilità professionale per avanzamenti di carriera o cambi di settore più frequenti.

Oltre alle differenze territoriali”, aggiunge Joelle Gallesi, “le motivazioni individuali giocano un ruolo chiave nella mobilità dei lavoratori. Tra le più ricorrenti troviamo retribuzioni e benefit più competitivi, opportunità di crescita rapida, condizioni di lavoro meno stressanti e relazioni interpersonali di qualità. Un altro fattore determinante è la possibilità di costruire una carriera appagante: oltre alla sicurezza economica e alle prospettive di crescita, contano scopo, sviluppo personale, allineamento valoriale e senso di realizzazione. Riconoscere il proprio contributo e percepire un reale purpose rafforza l’engagement e riduce il turnover. Le aziende devono quindi operare un cambio di paradigma, puntando su trasparenza, comunicazione e formazione per favorire lo sviluppo professionale e il benessere dei dipendenti. La Direttiva UE 2023/970, che l’Italia recepirà entro giugno 2026, fornirà strumenti concreti in questa direzione, introducendo misure per garantire equità e accesso alle informazioni retributive”.

Cosa spinge i lavoratori a restare? Valori, formazione continua e welfare

Negli ultimi anni si è registrato un vero e proprio cambiamento della struttura valoriale che attraversa tutte le generazioni presenti in azienda. Questo cambiamento riflette una crescente attenzione delle persone non solo agli aspetti economici, ma anche al benessere e ai valori condivisi all’interno delle organizzazioni.

Secondo i dati elaborati dall’osservatorio di Hunters Group emerge un quadro molto chiaro: la generazione X (1965–1980) attribuisce maggiore importanza al clima aziendale (47,5%) e al  work-life balance (14,6%); i millennial (1981–1996) danno priorità a welfare e work-life balance (33,8%), clima aziendale (29,3%) e piani di crescita (21%); la gen Z (dal 1997 in poi), invece, mostra un cambio radicale: clima aziendale e welfare condividono il primo posto (32,6%), superando di gran lunga i piani di carriera (17,9%).

Il job hopping”, conclude Joelle Gallesi, “non è più un segnale di instabilità, ma la dimostrazione che oggi le persone non sono disposte ad accontentarsi del posto fisso. Oggi la lealtà di un lavoratore non si misura in base agli anni di permanenza in azienda, ma in termini di risultati e obiettivi raggiunti. È il segnale che il successo si costruisce anche attraverso il cambiamento ed è su questo che dobbiamo puntare se vogliamo essere competitivi in un mercato sempre più dinamico e che richiede competenze trasversali”.