Ottimizzazione dei processi, valorizzazione delle risorse umane e riduzione dei costi: questi gli obiettivi dei direttori del personale per il 2016

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“Situazioni e prospettive della direzione del personale in Italia” è un’indagine di mercato qualitativa sulla figura dei direttori del personale e Ayming, gruppo internazionale di Business Performance Consulting, ne ha annunciato i risultati. Lo studio, commissionato a ESTE, è stato condotto su un campione di 30 direttori del personale di imprese multinazionali italiane non-pubbliche, con un numero di addetti superiore ai 1.000, distribuite per il 70% nel Nord Italia e per il 30% nel Centro e Sud Italia.

Scopo della ricerca è stato quello di delineare gli obiettivi dei direttori delle risorse umane per il 2016 e i temi su cui questi ultimi focalizzano la propria attività, all’interno di un contesto economico che ha visto, proprio negli ultimi anni, una serie di importanti cambiamenti legislativi, economici e sociali in ambito risorse umane.

Per comprendere meglio il ruolo del direttore HR la ricerca è partita dal percorso di crescita professionale, evidenziando come all’interno della direzione del personale la carriera risulti essere molto più lunga e lenta rispetto ad altre aree, come marketing o finanza e controllo, dove la crescita e il raggiungimento di posizioni di vertice sono più rapidi; il 40% dei direttori HR intervistati lavora per la stessa azienda da oltre 20 anni, mentre il 44% vi opera per un periodo che va da 10 a 20 anni.

Inoltre, per raggiungere i vertici viene tenuta maggiormente in considerazione l’esperienza rispetto a una formazione specifica. Altra caratteristica dell’area HR è la bassa mobilità inter funzionale, tanto che il 60% di chi opera in questo contesto proviene da aree contigue, soprattutto legale e contabile, a sottolineare come storicamente il direttore del personale venga vissuto come un profilo maggiormente focalizzato sugli adempimenti retributivi e contrattuali. La provenienza da ambiti di consulenza o scuole di formazione è minoritaria e riguarda più che altro le grandi imprese, dove la competenza tecnico professionale del direttore del personale perde di importanza. Si evince quindi che il profilo di competenze dei direttori HR è ancora prevalentemente di natura giuridica, anche se comincia ad aumentare il numero di direttori HR con formazione umanistica. Questo dato può essere messo in relazione con il progressivo passaggio da un modello in cui sono maggiori le relazioni sindacali, verso un modello che vede la gestione delle risorse umane incentrata sull’iniziativa manageriale.

Per quanto riguarda le aree di attività del direttore del personale, il sondaggio mostra come negli ultimi dieci anni i vertici aziendali abbiano chiesto ai direttori del personale di aumentare l’attenzione verso lo snellimento organizzativo, la definizione dei processi e la formazione e sviluppo del personale, a cui seguono il contenimento dei costi e la gestione degli esuberi. Il 77% dei direttori intervistati però predilige azioni orientate a incrementare motivazione, engagement e accountability, piuttosto che azioni volte alla riduzione dei costi, 23% degli intervistati. La volontà è quella di far emergere la direzione del personale come ente promotore e responsabile dell’investimento in “capitale umano”, anche in risposta ai cambiamenti dettati dalla crisi, dall’internazionalizzazione del mercato del lavoro, ecc. Il direttore HR è convinto che la mera riduzione del costo del personale porti benefici solo nel breve periodo, mentre interventi organizzativi tesi al recupero dell’efficienza, con un maggiore coinvolgimento dei dipendenti, possano produrre benefici durevoli. Questo trova conferma anche quando ai direttori HR viene chiesto di ordinare le attività secondo i propri valori personali.

Anche in questo caso infatti le attività come cambiamento organizzativo, formazione, sviluppo del personale e benessere aziendale sono considerate più rilevanti, come lo sono la ricerca di una relazione diretta con i dipendenti, non mediata dai sindacati, e un’attenzione alle azioni di mantenimento e miglioramento del clima aziendale. Dai dati emersi dalla ricerca si evince chiaramente come il direttore del personale creda che il proprio ruolo debba essere principalmente quello di mantenere vivo il rapporto con le persone che lavorano in azienda e di creare un ambiente di lavoro positivo, dove vi sia coesione sociale. Questi fattori sono imprescindibili per accrescere le performance e la produttività in azienda. È inoltre interessante vedere come le priorità del direttore HR cambiano se le stesse vengono esaminate non in base al proprio punto di vista, ma rispetto alle strategie dettate dai vertici aziendali. In questo caso si trovano a dover privilegiare e mettere al primo posto il controllo dei costi, a scapito di attività come la cura e lo sviluppo delle persone.

Pare evidente quindi come uno dei problemi più comuni che deve affrontare il direttore del personale è la difficoltà di combinare le proprie esigenze con quelle dei vertici aziendali. Questo perché si trova molto spesso a dover accettare che le strategie di business allontanino l’impresa dalla continua valorizzazione dell’asset più importante “il capitale umano”, puntando invece maggiormente ad azioni finanziarie. Il direttore del personale è ovviamente consapevole dell’indicazione strategica di riduzione dei costi, ma vuole cercare soluzioni alternative, che si basino maggiormente su leve come la formazione, la qualità della vita professionale, lo sviluppo dei talenti e l’efficienza dei processi e dell’organizzazione.

In conclusione per il 2016 uno dei principali obiettivi del direttore del personale sarà certamente la riduzione dei costi, ma raggiunta attraverso una maggiore ricerca di efficienza e produttività e grazie all’integrazione di azioni orientate allo sviluppo delle potenzialità delle risorse, al welfare, all’engagement e all’accountability. La vera sfida sarà quindi quella di diventare un “direttore umano delle risorse” e non più semplicemente un direttore delle risorse umane.

Altra tendenza sarà quella di non agire più solo su singoli interventi dettati dall’emergenza, ma di focalizzarsi su politiche più complessive, realizzate tramite l’uso di diversi strumenti. Un esempio è l’inserimento tra gli obiettivi per il 2016 dello smart working come nuovo approccio all’organizzazione aziendale, dove si possono coniugare diversi aspetti: uso di tecnologie, nuovi accordi con i dipendenti relativi alla responsabilità individuale, ricerca di flessibilità organizzativa e riduzione dei costi.