
E’ vero, ci sono alcuni mestieri come gli sviluppatori di software, designer grafici, traduttori e operatori di customer service o call center che sono forse destinati a scomparire a causa dell’avanzamento tecnologico dei sistemi di intelligenza artificiale. Nessuno, però, poteva immaginare che l’avanzamento dell’automazione sarebbe stato così rapido da mettere a rischio anche mestieri intellettuali e rappresentanti del lavoro di concetto come il ricercatore scientifico, l’analista di mercato, l’insegnante online, il contabile o il revisore.
O, viceversa, di creare nuove figure sempre più richieste dalle aziende come l’esperto nell’addestramento di modelli IA, di creazione di dati sintetici o di cybersecurity.
Al punto in cui è giunto lo sviluppo della tecnologia, la domanda corretta da porsi non è più tanto quali lavori scompariranno, ma quali mestieri nuovi nasceranno se si lascerà che le AI possano lavorare liberamente. In Europa rischiamo di scoprirlo troppo tardi. Mentre il mondo corre verso l’adozione dell’IA, l’Europa si distingue per un eccesso di regolamentazione che rischia di rallentare l’innovazione e di renderci spettatori e vittime piuttosto che protagonisti del cambiamento.
Il problema non è tanto il proliferare di tante regole, ma il fatto di costruirle per limitare e non promuovere una giusta espansione dell’innovazione.
Vediamo le 10 professioni che spariranno e quelle che stanno nascendo
Sistemi avanzati come Deep Research – un agente AI progettato per automatizzare l’analisi e la sintesi delle fonti, permettendo di ottenere report dettagliati in poche ore per un costo di soli 2.400 dollari all’anno (meno del costo mensile di un professionista) e Cristal Intelligence – sistema avanzato di intelligenza artificiale sviluppato da SoftBank e OpenAI per il mercato giapponese, con il potenziale di evolversi verso un’AGI (Artificial General Intelligence) stanno riducendo significativamente il lavoro umano nel campo della ricerca, della consulenza e dell’analisi dati. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, nelle economie avanzate circa il 60% dei posti di lavoro può essere influenzato dall’intelligenza artificiale, con metà di questi che potrebbero beneficiare in termini di produttività, mentre l’altra metà rischia una diminuzione della domanda di manodopera, con possibili riduzioni di salari e assunzioni.
E la domanda che sempre più spesso ci facciamo è ma chi sarà il primo a essere sostituito? Se si è sempre creduto che l’intelligenza artificiale avrebbe sostituito per primi gli sviluppatori di software junior, i designer grafici, i traduttori e gli operatori di customer service oggi stiamo sempre di più realizzando che l’automazione sta rapidamente penetrando anche in ambiti meno prevedibili, come la ricerca scientifica, l’analisi di mercato, l’insegnamento, la contabilità e la revisione.
Alcuni esempi
La realtà è che l’automazione non si limita più a supportare il lavoro umano, ma in molti casi ne riduce drasticamente il bisogno. Aziende e istituzioni non avranno più bisogno di grandi team per analizzare dati, scrivere report o generare strategie: basterà un agente AI per gestire gran parte del processo.
- “Chi sarà il primo a essere sostituito?” la vera domanda da porci
In questo scenario, l’Europa rischia di rimanere indietro. Mentre Stati Uniti, Giappone e Cina investono miliardi nello sviluppo di intelligenze artificiali sempre più sofisticate, l’Unione Europea introduce regolamentazioni sempre più stringenti. L’IA Act, con le sue 140 pagine di restrizioni, sembra più concentrato a definire cosa non si può fare, piuttosto che incentivare l’innovazione. Certo, la regolamentazione è necessaria per evitare abusi e proteggere i diritti dei cittadini, ma un eccesso di vincoli rischia di trasformare l’Europa in una terra di burocrati piuttosto che di pionieri tecnologici. Nel frattempo, le aziende europee si trovano già costrette a importare soluzioni IA sviluppate altrove, con il paradosso di dover pagare per accedere a un’innovazione che avremmo potuto sviluppare in casa.
- Il futuro del lavoro e la normativa
Se ci sono diversi studi e analisi che indicano che l’intelligenza artificiale (IA) non solo sostituirà alcuni posti di lavoro, ce ne sono altri che sostengono che ne creerà anche di nuovi. Secondo il World Economic Forum (WEF) – Future of Jobs Report 2023, entro il 2027, l’IA e l’automazione creeranno circa 69 milioni di nuovi posti di lavoro, mentre circa 83 milioni saranno eliminati, portando a una transizione nel mercato del lavoro piuttosto che a una semplice perdita netta di posti di lavoro. I settori in crescita includono AI specialists, data analysts, cybersecurity, ingegneri dell’automazione e esperti in sostenibilità. Anche un rapporto di McKinsey stima che entro il 2030 tra il 5% e il 10% dei nuovi lavori saranno legati direttamente all’IA e alle tecnologie emergenti. Professioni legate alla creazione, manutenzione e regolamentazione dell’IA saranno sempre più richieste. L’IA sta trasformando il mondo del lavoro, ma non significa necessariamente che causerà una disoccupazione di massa. Piuttosto, sta accelerando la necessità di reskilling e upskilling, con una transizione verso lavori più avanzati e creativi.
- Il futuro del lavoro è già qui, e non si può fermare
Ma soprattutto non aspetterà che l’Europa finisca di discutere le proprie normative. La rigidità normativa dell’Unione Europea, pur mirata a garantire sicurezza e tutela, rischia di rallentare l’adozione dell’intelligenza artificiale e delle nuove tecnologie, frenando così non solo l’innovazione, ma anche la creazione di posti di lavoro legati a questi settori emergenti. In un contesto globale in cui Stati Uniti e Cina avanzano rapidamente, un eccesso di regolamentazione potrebbe compromettere la competitività dell’Europa, ostacolando le opportunità di crescita economica e occupazionale legate alla trasformazione digitale.
In particolare, ci riferiamo alle conseguenze nell’applicazione dell’AI Act, la normativa europea che regolamenta ambiti e applicazioni delle AI nei paesi del Vecchio Continente. Dal 2 febbraio 2025, è entrato in vigore il primo pacchetto di norme dell’AI ACT, quello che stabilisce i requisiti e i divieti per l’immissione di sistemi AI proibiti sul territorio europeo; tra gli altri, in Europa, d’ora in avanti è vietata la raccolta di dati biometrici senza consenso; non si possono utilizzare in alcun modo i dati discriminatori; è vietata l’identificazione biometrica remota “in tempo reale” in spazi accessibili al pubblico se non autorizzata. Questi esempi della prima tranche di applicazione dell’Ai Act sono sufficienti a mostrare le maggiori condizioni restrittive a cui saranno sottoposti ricercatori, imprenditori e sviluppatori che vogliano lavorare sulle AI in territorio europeo.
Dal 2 maggio 2025, inoltre, si aprirà la fase di scrittura dei codici di condotta per le aziende a cui stanno lavorando anche i rappresentanti di OpenAi e Google, insieme a professori e altri stakeholder che stabiliranno le best practice per agire in Europa. Questo codice deontologico non entrerà in vigore prima della fine del 2025 ma le imprese dovranno utilizzarlo come checklist per dimostrare la loro conformità e un’azienda che affermerà di rispettare la legge ignorando il codice – per esempio se non fornirà un report con le fonti utilizzate per addestrare i suoi modelli o se non rimuoverà i dati immessi senza consenso – andrà incontro a questioni legali. Le norme dell’Ai, infine, diventeranno operative per i produttori di Ai Generativa dal 2 agosto 2025, infine entro un anno tutti gli operatori in sistemi di intelligenza artificiale dovranno essere in regola. Il tema è stato oggetto del dibattito al Summit di Parigi, che si è appena chiuso, e secondo l’opinione degli osservatori più autorevoli per ora è inevitabile che le divergenze tra approcci regionali siano destinate a persistere.
La domanda non è più quindi se alcuni lavori verranno sostituiti, ma quando e come ci organizzeremo per affrontare questa trasformazione epocale. Ci sono infatti professioni che dimostrano che l’IA non distrugge solo posti di lavoro, ma ne crea di nuovi, spesso più qualificati e innovativi. Il problema è che rischiamo di scoprirlo troppo tardi.
di Matteo Navacci, Co-Founder Privacy Week