L’Osservatorio Smart Working analizza lo stato del lavoro da remoto in Italia e l’impatto dell’Intelligenza Artificiale sul suo futuro

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Adottato come metodo di contenimento del Covid, oggi lo Smart Working è il modello lavorativo più adottato nel nostro Paese. Dopo il lieve calo registrato nel 2024, in forma ibrida o total remote, lo Smart Working torna a crescere.

Nel 2025 sono circa 3.575.000 i lavoratori che per almeno parte del loro tempo operano da remoto, +0,6% rispetto allo scorso anno. Il maggiore aumento, +11%, si registra nel settore pubblico, in cui oggi 555.000 persone lavorano in smart, pari al 17% dei dipendenti della PA. C’è un rialzo anche nelle grandi imprese (+1,8%), dove oggi il 53% del personale lavora da remoto (1.945.000 persone), mentre le piccole e medie imprese sono in controtendenza: qui i lavoratori da remoto si riducono sensibilmente (-7,7% nelle PMI, -4,8% nelle microimprese) per rappresentare solo l’8% del totale.

Chi lavora di più da remoto?

Oggi sono presenti iniziative di Smart Working in praticamente tutte le grandi imprese italiane (95%, stabili rispetto allo scorso anno) e nel 67% delle PA (6 punti in più rispetto al 2024), quasi sempre con progetti strutturati in cui sono definite policy o linee guida. Mentre tra le PMI le adotta il 45% (8 punti in meno rispetto al 2024) e prevalentemente attraverso una gestione informale, in cui la flessibilità deriva da accordi diretti con il responsabile.

L’opportunità dello Smart Working continua ad essere utilizzata dai lavoratori con assiduità. Nelle grandi imprese, solo il 15% dei lavoratori lavora da remoto meno giorni di quelli previsti dall’accordo con l’organizzazione, soprattutto per la necessità di recarsi in sede per urgenze o emergenze. Nelle PA lo fa il 28%, soprattutto per scelte personali. Nelle PMI la situazione è eterogenea: circa metà lavora da remoto per i giorni definiti dall’accordo, il 22% utilizza di meno questa possibilità, ma c’è anche un 15% che la usa di più, visto le maggiori deroghe possibili con l’approccio informale.

In questo scenario, lo Smart Working in Italia rappresenta ormai un fenomeno stabile, che si è lasciato definitivamente alle spalle le disposizioni di emergenza del periodo covid. A scapito dei modelli più estremi, a diffondersi è un modello di lavoro ibrido in cui lavoro in presenza e da remoto si alternano in funzione dei bisogni personali e organizzativi, secondo policy o linee guida definite dall’organizzazione. Sia i lavoratori che le organizzazioni che adottano lo Smart Working ne apprezzano sempre più gli effetti e, indipendentemente dalle normative, difficilmente tornerebbero indietro.

I numeri dello Smart Working potrebbero crescere

Ma lo Smart Working non ha ancora raggiunto il picco massimo. Tra coloro che non lavorano da remoto, il 21% dichiara che potrebbe svolgere almeno metà delle attività da un luogo diverso rispetto alla sede aziendale con la stessa efficacia e la stessa dotazione tecnologica: questo permette di ipotizzare un potenziale di circa 3 milioni nuovi smart worker, che ci avvicinerebbero al picco di 6,5 milioni toccato durante la pandemia. Mentre si diffonde ulteriormente, in futuro lo Smart Working potrebbe allargare la platea di lavoratori beneficiari della flessibilità. Per coloro che non lavorano da remoto, la forma più desiderata di flessibilità è quella oraria e, come declinazione di questa, la settimana corta, che oggi è presente solo nel 10% di organizzazioni di grandi dimensioni e in molti casi è ancora in fase di sperimentazione.

Sono alcuni risultati della ricerca dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, presentata al convegno “Lo Smart Working ai tempi dell’AI: opportunità e sfide verso il lavoro del futuro”.

I modelli di Smart Working

Analizzando i modelli Smart Working, quello prevalente in Italia è “ibrido”, in cui si alterna presenza in sede e lavoro da remoto, mentre il “full remote” è presente solo in poche realtà, soprattutto di piccole dimensioni e del settore dei servizi. Ci sono però diversi approcci di lavoro ibrido. Il più diffuso è quello strutturato, in cui le persone alternano il lavoro in sede e da altri luoghi rispettando delle policy definite. Meno frequenti sono gli approcci basati su linee guida non vincolanti definite dall’organizzazione, che suggeriscono solo un numero ideale di giornate di lavoro in sede, o quelli a libera scelta del lavoratore.

Gli approcci all’applicazione dello Smart Working

Anche l’applicazione delle policy sullo Smart Working può avvenire in diversi modi: il 36% dei lavoratori che hanno possibilità di lavorare da remoto dichiarano di scegliere in completa autonomia i giorni di presenza in funzione dei loro bisogni (approccio individualista), il 32% dichiara di farlo sulla base di indicazioni fornite dall’organizzazione (approccio centralizzato), mente per il restante 32% la scelta avviene a livello di team bilanciando le esigenze individuali con quelle organizzative (approccio collaborativo). Proprio quest’ultimo approccio “collaborativo” risulta essere quello correlato ai migliori risultati in termini di engagement, prestazioni organizzative e benessere dei lavoratori.  Tra i white collar, il livello medio di engagement di coloro che utilizzano un approccio collaborativo nell’organizzazione delle giornate da remoto è 6,65 (su una scala da 1 a 10) rispetto a 6,14 per coloro che non hanno autonomia decisionale e 6,05 per coloro in cui a guidare è la scelta personale. Chi ha un approccio collaborativo registra più di frequente rispetto agli altri prestazioni “ottime” nel prendere decisioni, nelle comunicazioni con colleghi e capo, nelle attività lavorative. L’approccio collaborativo infine ha un effetto positivo sul senso di appartenenza dei lavoratori all’organizzazione. In generale dichiarano un elevato senso di appartenenza il 37% degli Smart Worker, a fronte del l 31% degli altri lavoratori. Tale percentuale sale però al 40% quando l’approccio alla pianificazione è collaborativo, a fronte del 36% per l’approccio centralizzato e del 35% per quello individualista.

Il diritto alla disconnessione

La difficoltà a “disconnettersi” si conferma essere una particolare criticità per chi fa Smart Working. Tra i white collar, il 35% di chi lavora da remoto soffre di overworking rispetto al 30% di coloro che lavorano sempre in sede. Consapevole del problema, il 49% delle grandi organizzazioni private che hanno progetti di Smart Working sta adottando misure, nella maggior parte dei casi (43%) con fasce orarie per cui i dipendenti non sono contattabili. Sono meno diffuse iniziative più drastiche, come la sospensione delle attività dei server all’interno di una fascia oraria (2%) o il divieto di inviare comunicazioni in particolari orari o giorni (8%). Nel settore pubblico, il 78% delle amministrazioni che ha iniziative di lavoro agile adotta misure per tutelare il diritto alla disconnessione.

AI e nuovo modo di lavorare

I dati della ricerca permettono di mettere in luce come l’intelligenza artificiale stia già avendo un impatto rilevante sui modi di lavorare, cambiando il mix di attività e creando nuove possibilità di autonomia e di lavoro per obiettivi. L’uso di strumenti di Intelligenza artificiale, in particolare, permette di liberare tempo impiegato in compiti routinari e vincolati dal punto di vista dei luoghi e degli orari, che possono essere reimpiegati in attività a valore aggiunto di innovazione e sviluppo di nuovi contenuti. Quei lavoratori, ad esempio, come consulenti telefonici o gli addetti al customer care, che passano oggi la maggior parte del loro tempo in attività di interazione sincrona con i clienti, possono con l’AI efficientare le attività di comunicazione diretta con i clienti, liberando tempo da dedicare ad attività di collaborazione e creazione di nuovi contenuti, meno vincolate dal punto di vista degli spazi e degli orari. L’AI, dunque, non solo permette di migliorare l’efficienza, ma consente di ridisegnare le mansioni rendendole più autonome e a valor aggiunto e quindi potenzialmente più coerenti con un modello di Smart Working.

L’indagine sui lavoratori è stata realizzata in collaborazione con Doxa.

Smart Working Award 2025

In occasione del convegno, sono stati assegnati gli “Smart Working Award 2025”, il riconoscimento dell’Osservatorio alle organizzazioni che si sono distinte per capacità di innovare le modalità di lavoro grazie ai loro progetti di Smart Working. Fater è il vincitore dello “Smart Working Award 2025” fra le grandi imprese, ActionAid ritira il premio fra le PMI, Comune di Padova riceve il riconoscimento nella categoria PA.

Dichiarazioni

smart-workingLo Smart Working in Italia è oggi una realtà consolidata, soprattutto nelle grandi imprese”, afferma Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Smart Working. “Sempre più organizzazioni abbandonano modelli tradizionali in presenza per adottare modelli ibridi che alternano il lavoro in sede a quello da remoto, in cui l’obiettivo è costruire un equilibrio virtuoso tra le due modalità, garantendo coesione di team, autonomia individuale e mantenimento del legame con l’organizzazione. Oggi il vero interrogativo per i manager non riguarda “se” fare Smart Working, ma come far evolvere i modelli per renderli sempre più efficaci ed evitare che si assestino in routine “scontate” che non garantiscono la necessaria tensione al miglioramento. Per sfruttare appieno le potenzialità di trasformazione dello Smart Working, capi e collaboratori devono lavorare per rafforzare continuamente la capacità di assegnare e perseguire obiettivi di progetto, di delegare e di sentirsi responsabilizzati sui risultati, mentre le organizzazioni devono riflettere sull’evoluzione di questi modelli per rispondere alle esigenze emergenti delle persone e cogliere le opportunità offerte dall’evoluzione tecnologica”.