Il settore dell’adtech cambierà enormemente. Ecco le implicazioni per il nuovo anno

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L’AI ha dominato ogni ciclo di previsioni negli ultimi anni e il 2026 non farà eccezione. Ma la vera storia non riguarda più l’Intelligenza Artificiale, bensì i miti che essa sta per infrangere nel settore adtech. Nonostante si parli tanto di strategie omnicanale, rivoluzioni nell’ottimizzazione della search, impeccabile automazione nel programmatic o ruoli buy-side/sell-side ben definiti, la realtà è semplice: nessuna di queste narrazioni sopravviverà al contatto con ciò che sta per arrivare.

Gli editori dell’open web devono diventare omnichannel per sfuggire all’impatto della ricerca basata sull’AI

Siamo lontani da un plateau nell’uso delle ricerche AI, e ogni query tramite chatbot implica una visita in meno a un sito web. Il traffico dell’open web diminuirà, soprattutto attraverso la ricerca tradizionale, spingendo gli editori ad ampliare la propria presenza su ogni canale in cui è possibile trovare le audience.

Gli editori di successo saranno quelli in grado di padroneggiare output multimediali, ampliando talenti e capacità produttive per creare, distribuire e monetizzare contenuti attraverso newsletter (basti guardare alla rapidissima ascesa di Substack), social media, podcast, app mobile e persino CTV. Se la portata delle piattaforme si espanderà, la strategia basata sulle audience diventerà più mirata, supportata da sistemi di intelligence in grado di rivelare segmenti inesplorati che potrebbero generare crescita di lettori e ricavi incrementali.

Diffondere un messaggio il più ampiamente possibile sarà fondamentale per assicurarsi un seguito fedele e duraturo, mentre si esaurirà il traffico occasionale proveniente dai referral. Quello che pronostichiamo è un aumento dei servizi in abbonamento, soprattutto tra gli editori di nicchia e giornalismo investigativo di qualità, così come video e podcast così forti da creare community e offrire un’esperienza intima che l’IA non può emulare.

La GEO sarà il nuovo SEO: ma si tratta di una strategia vincente?

Un numero crescente di consumatori condurrà le proprie ricerche di prodotto e, grazie alle integrazioni e-commerce, completerà l’intero percorso d’acquisto all’interno delle interfacce di ricerca basate sull’AI. Naturalmente, i brand si chiederanno come garantire visibilità su tali piattaforme. Le strategie GEO (Generative Engine Optimization) verranno proposte come risposta, ma se ottimizzare le SEO poteva apparire difficile, le impenetrabili black box dei chatbot renderanno le GEO molto più complesse.

Gli editori, in particolare quelli con accordi di licenza con aziende AI, potranno sfruttare il proprio status per offrire contenuti brandizzati in grado di influenzare le risposte dei chatbot. Tuttavia, in assenza di metodi standardizzati per tracciare e misurare la GEO, ci sarà un lungo periodo di test e apprendimento per capire cosa funziona, con modelli AI che si aggiornano continuamente rendendo così il successo un bersaglio mobile.

Le promesse agentiche si scontreranno con la complessità del programmatic

Le efficienze che l’AI introduce all’interno dei flussi operativi, nella gestione delle campagne e nell’acquisto media hanno reso la tecnologia un requisito essenziale per il successo in tutti gli ambiti della pubblicità digitale. Ma affinché l’automazione vada oltre un’interfaccia in linguaggio naturale collegata a un’API, l’intera infrastruttura del real-time bidding dovrebbe essere ripensata da zero. Nel 2026 capiremo se questo è possibile — o anche solo desiderabile.

Sebbene si stiano compiendo sforzi verso la standardizzazione dei protocolli agentici, scalare questi sistemi in una supply chain che opera costantemente, in millisecondi, con margini di errore minimi, è un’impresa monumentale. I costi, l’efficienza e la latenza dell’AI agentica sono ancora largamente non provati alla scala e velocità richieste dal real-time bidding. Nei prossimi mesi ci saranno molti test e progetti pilota promettenti, ma una revisione completa di come gli annunci vengono acquistati o venduti richiederà anni.

Le piattaforme end-to-end sostituiranno la vecchia divisione DSP/SSP

Nel 2025 abbiamo assistito alla convergenza tra buy-side e sell-side nella pubblicità digitale, con DSP che si avvicinano alle integrazioni dirette con gli editori e SSP che lanciano proprie piattaforme di acquisto. È stata la risposta semplice e trasparente (attesa da tempo) alle richieste provenienti da entrambi gli attori del mercato, e i benefici di una supply chain più facilmente verificabile continueranno a emergere nei prossimi anni. Alla fine, la distinzione tra DSP e SSP svanirà, sostituita da una gamma di piattaforme end-to-end in competizione tra loro.

Ciò che rende interessante questo imminente futuro è che, a differenza di molti sviluppi della pubblicità digitale negli ultimi decenni, esso rafforza la posizione degli editori. Che si tratti di SSP che attirano buyer grazie alla vicinanza ai consumatori o di DSP che cercano integrazioni dirette, tutti sono in competizione per accedere a media di qualità e segnali di audience. Finché eviteranno la trasformazione delle audience in commodity, come è accaduto nell’era degli ad network, gli editori potranno godere di uno scambio molto più equilibrato e reciprocamente vantaggioso con il buy-side rispetto al passato.

Se il 2026 svelerà qualcosa, sarà la fragilità di molti presupposti. L’AI accelererà il cambiamento, ma non porterà certezza. Cosa lo farà, allora? Una comprensione precisa della propria audience e una disciplina rigorosa nel soddisfarne le aspettative, sia che tu sia un inserzionista o un editore. Le aziende che considereranno questo come la loro stella polare — e non il prossimo hype — saranno quelle ancora in piedi quando i miti svaniranno e la realtà farà il suo corso.

Analisi di Francesca Lerario, Managing Director Southern Europe di Ogury