Secondo Netcomm, rispetto allo scenario base senza imposta, nell’arco di un triennio ci sarebbe una perdita di produttività fino a 2 miliardi di euro e quasi 17.000 addetti in meno

Web tax

A seguito delle trasformazioni dell’economia globale e al maggior peso assunto dai servizi digitali, lo scorso marzo la Commissione Europea ha deciso di adeguare l’attuale sistema di imposizione fiscale, presentando una proposta legislativa per l’introduzione della cosiddetta web tax, norme comuni destinate a consentire la tassazione dei profitti delle aziende derivanti da attività svolte nell’ambito dell’economia digitale.

Con la legge di Bilancio 2017 anche l’Italia ha elaborato una proposta di web tax che prevede, a partire dal 1° gennaio 2019, l’applicazione di un’imposta del 3% sui servizi digitali B2B, nei confronti di stabili organizzazioni di soggetti sia residenti che non residenti nel territorio dello Stato.

Commenta Roberto Liscia, Presidente Netcomm: “Al momento non è stato emanato dal Governo italiano un decreto per la definizione degli ambiti di applicazione di questa imposta e il quadro normativo europeo appare ancora estremamente incerto. Le attuali norme sulla tassazione delle società non sono adatte alle realtà della moderna economia e certamente questo è un problema globale che richiede una soluzione globale. Netcomm è uno dei membri fondatori dell’Associazione Europea del Commercio Elettronico, Ecommerce Europe, che rappresenta gli interessi di oltre 75.000 aziende che vendono beni e/o servizi online ai consumatori in Europa. Dal nostro ruolo di esperti del settore e-commerce, siamo favorevoli all’applicazione di un’imposta sulle società che operano nel mercato digitale purché essa sia basata sui profitti e non sui fatturati e a parità di condizioni nel contesto fiscale, in modo che le imprese siano tassate in modo equo e non discriminatorio. I merchant europei e, a seguire, i consumatori saranno coloro che sosterranno il peso economico maggiore: il costo della tassa si rifletterà inevitabilmente lungo la catena di approvvigionamento, con maggiori costi per le PMI e di conseguenza per i consumatori, frenando la crescita delle imprese e gli investimenti, con effetti dannosi sulla competitività delle aziende e perdita di posti di lavoro. Un altro aspetto che deve essere considerato è la protezione delle imprese: la web tax metterà inevitabilmente le aziende europee in una posizione di svantaggio rispetto a quelle non UE, perché attualmente non disponiamo di mezzi legali per garantire l’applicabilità della tassa nei confronti di società fuori dai confini europei. Le imprese e in particolari le PMI, alla base del tessuto economico italiano, devono poter crescere e innovare: la web tax disincentiverebbe la loro espansione e gli ulteriori investimenti, ancora una volta con effetti dannosi sulla competitività dell’UE e perdita di posti di lavoro.”

La portata applicativa della norma è pertanto ampia poiché inserisce una gamma estremamente vasta di servizi digitali che sono divenuti ormai una componente essenziale e imprescindibile per l’economia italiana e, soprattutto, nell’attività lavorativa di tutti i giorni (cloud computing, sviluppo software, servizi pubblicitari sul web, e-Learning, ecc.), coinvolgendo sempre più imprese.

Nonostante il quadro normativo incerto e ancora largamente indefinito, Netcomm, in qualità di rappresentante di oltre 300 aziende di ogni dimensione, nazionali e internazionali, operanti nel commercio digitale, ha chiesto alla società di consulenza Prometeia di svolgere un’approfondita analisi per disporre degli elementi necessari a valutare le diverse dimensioni delle proposte in campo, con i relativi impatti sull’ecosistema digitale italiano e l’economia del Paese.

Focus su e-commerce e canali di trasmissione all’economia Prometeia, utilizzando il proprio modello multi-settoriale dell’economia italiana, ha analizzato le possibili ricadute complessive di un’imposta sui servizi B2B del settore dell’e-commerce in Italia. Settore che, nonostante tassi di crescita a doppia cifra negli ultimi anni, ha comunque ancora un peso limitato rispetto al commercio al dettaglio. La ricerca ha tenuto conto di quattro canali di trasmissione dell’imposta evidenziati dalla letteratura economica più recente, facendo in particolare ipotesi differenti di traslazione della tassazione sui prezzi da parte delle imprese (passthrough). L’incremento dei prezzi associato all’imposta potrebbe infatti comportare una diminuzione della domanda dei servizi digitali sulla base dell’elasticità della domanda, di cui – date le incertezze del quadro normativo – sono stati ipotizzati due livelli molto diversi (uno superiore, l’altro inferiore all’unità).

Questi i quattro canali di trasmissione individuati:

  1. Consumi: laddove le imprese decidano di traslare il carico della tassazione sui prezzi e quindi sui consumatori. L’incremento dei prezzi si rifletterebbe inevitabilmente sui consumi dei servizi digitali, con conseguente impatto sul fatturato delle imprese del settore e a cascata sul sistema economico italiano;
  2. Investimenti e innovazione: l’impatto su consumi, e quindi un clima meno favorevole, potrebbero condizionare negativamente gli investimenti e, di conseguenza, lo sviluppo dell’innovazione digitale. In particolare la nuova proposta di tassazione potrebbe dirottare le scelte di investimento delle aziende internazionali verso paesi con un sistema fiscale ritenuto più conveniente (come ad esempio Stati Uniti e Asia);
  3. PMI: la traslazione del carico dell’imposta sugli utilizzatori più a valle implica il rischio di penalizzare in modo rilevante le piccole e medie imprese che, disponendo di un minor poter di mercato, potrebbero incontrare maggiori difficoltà a scaricare a loro volta l’imposta sui clienti;
  4. Base imponibile: in una prospettiva dinamica, i possibili effetti negativi della web tax potrebbero comportare una riduzione della base imponibile (sia in termini di spesa finale che di redditi disponibili).

Gli scenari sull’impatto della web tax e i risultati della ricerca In assenza di esperienze già acquisite da altri paesi sull’applicazione della web tax e sul comportamento di imprese e consumatori, la ricerca ha combinato diverse ipotesi sulla definizione della base imponibile della web tax, l’eventuale traslazione dell’imposta sugli acquirenti finali dei servizi di e-commerce, gli effetti dell’aumento dei prezzi sulla domanda di servizi di e-commerce B2B, nonché l’impatto dell’imposta sui margini operativi e sugli investimenti delle imprese.Questo ha permesso di elaborare molteplici scenari che, pur con una forte dispersione di risultati, sono accomunati dall’effetto negativo che la web tax sembra avere sui livelli di attività delle imprese dell’e-commerce in Italia e sui relativi livelli di occupazione.

Nello scenario di maggiore impatto (con ipotesi di traslazione completa dell’imposta, maggiore elasticità della domanda ai prezzi, effetti sugli investimenti e base imponibile più ampia), in un triennio la produzione risulterebbe inferiore fino a circa 2 miliardi di euro rispetto allo scenario base senza imposta, con un’incidenza dello 0.06% sulla produzione complessiva dell’economia, mentre l’impatto negativo sull’occupazione del settore arriverebbe a una perdita di circa 17 mila addetti, lo 0.07% del totale di riferimento, a fronte di un maggior gettito fiscale di poco superiore a 250 milioni di euro.

“I dati della ricerca riflettono le preoccupazioni più volte espresse da Netcomm in merito all’applicazione di una tassazione che contribuirebbe ad allargare il gap sulla competitività con gli altri paesi europei e sui mercati internazionali”, afferma Liscia. “La web tax ha in sé diversi elementi recessivi che si tradurrebbero nell’aumento dei prezzi per i consumatori e in un decremento dell’occupazione. Non dimentichiamo che il settore dell’e-commerce in Italia da diversi anni continua a crescere a due cifre rispetto al canale fisico, con un impatto sul Pil dell’1,6%, facendo registrare una bilancia positiva dell’export che oggi è di circa 4 miliardi di euro e contribuendo a creare posti di lavoro con un alto livello di alfabetizzazione.”