
Un tempo acclamato come il beniamino delle strategie IT, l’approccio cloud-first ha rimodellato le operazioni aziendali con promesse di agilità, scalabilità e costi ottimizzati. Ma, come dice il proverbio, non è tutto oro quel che luccica: nel 2025, le aziende stanno rivalutando le proprie strategie basate sul cloud, scoprendo che alcuni carichi di lavoro sono più adatti a un ritorno all’infrastruttura on-premise. Questa evoluzione sta guidando il passaggio a una mentalità cloud-smart: una strategia ponderata che bilancia i vantaggi del cloud con un’ottimizzazione IT pratica e a lungo termine.
L’era del Cloud-First: che cosa ha funzionato e che cosa no?
Il passaggio al cloud non è stato solo una strategia, ma un punto di svolta. Per le aziende, è stato come accendere un interruttore per la libertà immediata: distribuzioni rapide, modelli di pagamento a consumo e la promessa di una scalabilità illimitata. Il fascino era irresistibile.
Tuttavia, il diavolo si nasconde nei dettagli. Con la crescita delle aziende sono emersi costi nascosti quali le tariffe di trasferimento dei dati, che hanno colto di sorpresa molti CFO. Oltre a questo, sono emersi problemi di conformità. Nuove normative, come GDPR e CCPA, hanno trasformato il cloud in un campo minato per la conformità.
Non dimentichiamo, inoltre, i problemi associati alle prestazioni: alcuni carichi di lavoro, in particolare quelli che richiedono bassa latenza o alte prestazioni, non riuscivano a funzionare in ambienti cloud pubblici e dovevano risiedere on-premise.
Le ragioni del rimpatrio: costi, compliance e controllo
Con l’allargarsi delle crepe nella strategia cloud-first, il rimpatrio del cloud sta guadagnando terreno. Le aziende stanno rivalutando le proprie strategie e scoprendo che riportare determinati carichi di lavoro on-premise potrebbe far risparmiare molto più di quanto inizialmente previsto. Uno studio di Andreessen Horowitz ha rilevato che riportare i carichi di lavoro dal cloud ad ambienti on-premise ottimizzati potrebbe ridurre i costi operativi di oltre il 50%.
Un esempio lampante è la nota decisione di Dropbox di rimpatriare i propri carichi di lavoro. Il risultato? Un risparmio di ben 75 milioni di dollari in soli due anni. Oltre all’aspetto finanziario, c’è anche la questione della privacy. Con l’inasprimento delle normative a livello globale, le aziende sentono la pressione di dover mantenere i dati sensibili sotto il loro diretto controllo. Le soluzioni on-premise offrono spesso un maggiore senso di sicurezza e trasparenza su dove e come vengono archiviati i dati, il che può ridurre i rischi di conformità. Per i settori che gestiscono informazioni sensibili, come la sanità e i servizi finanziari, la possibilità di mantenere i dati vicino a casa diventa ancora più importante.
Quando contano i millisecondi, come ad esempio nell’analisi in tempo reale o nell’addestramento di modelli di intelligenza artificiale, affidarsi a server cloud distanti non è efficace. Le soluzioni on-premise forniscono una capacità di elaborazione istantanea che le rende indispensabili per il calcolo ad alte prestazioni.
L’Hybrid Cloud come via di mezzo
In risposta alle complessità del rimpatrio, molte aziende stanno adottando un approccio cloud ibrido. Questa strategia, che combina cloud pubblico, cloud privato e infrastrutture on-premise, è rapidamente diventata un valido compromesso per le aziende che desiderano ottimizzare le proprie configurazioni IT.
Gartner prevede che entro il 2027 il 90% delle aziende adotterà soluzioni ibride o multi-cloud per ottenere il meglio da entrambi i mondi. Mantenendo i carichi di lavoro sensibili on-premise per motivi di conformità o di costo, e sfruttando il cloud pubblico per le applicazioni meno critiche, le aziende possono ottenere flessibilità senza compromettere le prestazioni.
Il vantaggio dell’ibrido risiede nell’integrazione: strumenti che consentono un’orchestrazione fluida tra ambienti on-premise e cloud, offrendo alle aziende l’adattabilità di cui hanno bisogno per rimanere competitive in uno scenario in continua evoluzione.
Rimpatrio in azione: i mercati guidano il cambiamento
Alcuni settori sono già all’avanguardia nel rimpatrio del cloud, guidati dalle loro esigenze specifiche. Le principali banche e società di trading stanno riportando on-premise le piattaforme di trading ad alta frequenza per eliminare i ritardi dovuti a latenza che incidono sulle decisioni di trading prese in frazioni di secondo. Ad esempio, JPMorgan Chase ha investito molto in infrastrutture private per elaborare più velocemente le transazioni e garantire la conformità alle severe normative globali.
Ospedali e istituti di ricerca stanno rimpatriando le cartelle cliniche sensibili dei pazienti per ottemperare alle leggi sulla privacy dei dati. L’americana Mayo Clinic, ad esempio, utilizza un approccio federato di gestione dei dati, archiviando dati anonimizzati in contenitori crittografati all’interno della propria infrastruttura cloud privata. Questo metodo garantisce che le informazioni sensibili rimangano sotto stretto controllo, riducendo il rischio di accessi non autorizzati e facilitando al contempo collaborazioni di ricerca sicure.
Alcune considerazioni da fare prima del rimpatrio
Prima che le aziende si lancino a capofitto nel rimpatrio, rimangono da valutare diversi fattori importanti. Il rimpatrio non è una soluzione universale: si tratta di valutare attentamente il costo totale di proprietà (TCO), tenendo conto degli investimenti infrastrutturali, del personale e della manutenzione continua. È quindi fondamentale capire quali carichi di lavoro siano adatti alle configurazioni on-premise e quali possano ancora trarre vantaggio dal cloud. Il successo di questa transizione dipende dalla presenza interna delle giuste competenze per gestire efficacemente l’infrastruttura on-premise.
Tecnologie moderne come l’hyperconvergence (HCI) e la containerizzazione offrono flessibilità e scalabilità, semplificando al contempo la gestione delle configurazioni on-premise. L’HCI consolida elaborazione, storage e networking in un unico sistema software-driven, riducendo la complessità e consentendo implementazioni più rapide rispetto ai tradizionali ambienti on-premise. Al contempo, con la containerizzazione, le applicazioni vengono raggruppate insieme alle relative dipendenze, garantendone l’esecuzione coerente in diversi ambienti senza problemi di compatibilità.
Prospettive future: rimpatrio del Cloud, AI e Edge Computing
Con la continua evoluzione del mondo tecnologico, nuove forze come l’intelligenza artificiale e l’edge computing stanno rimodellando le strategie del cloud. L’intelligenza artificiale, in particolare l’addestramento di modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM), richiede un’enorme potenza di calcolo, spesso erogata al meglio da hardware on-premise. Le aziende stanno implementando localmente sistemi Nvidia DGX e altre macchine ad alte prestazioni per attività come l’addestramento di modelli di intelligenza artificiale.
Al contempo, l’edge computing sta spingendo l’elaborazione sempre più vicino alle fonti di dati, dove può essere analizzata e gestita in tempo reale. Questa tendenza, unita alle esigenze dell’intelligenza artificiale, rende chiaro che è in arrivo un passaggio verso un calcolo localizzato ed efficiente.
Cloud-Smart è meglio di Cloud-First
Il passaggio da una strategia cloud-first a una cloud-smart riflette un approccio più maturo. Man mano che le aziende continuano ad adattarsi alle nuove sfide, la chiave sarà trovare il giusto equilibrio tra soluzioni cloud e on-premise. Il rimpatrio del cloud non significa rifiutare il cloud, ma adottare una strategia più personalizzata, pratica ed economica.
Nei prossimi anni, le aziende daranno priorità alle strategie cloud-smart, combinando la scalabilità del cloud con il controllo e le prestazioni offerti dalle soluzioni on-premise. Non si tratta solo del luogo in cui risiedono i carichi di lavoro, ma di prendere la decisione più valida nel lungo termine.
Di Sneha Banerjee, enterprise analyst, ManageEngine