Il 91% dei professionisti usa la GenAI almeno una volta a settimana, il 57,5% più volte al giorno. Ma l’uso è superficiale: l’86% ricerca informazioni, il 63% riassume testi e scrive email

AI sui CIO - gen ai

La GenAI è una tecnologia pervasiva, ormai adottata quasi ovunque: 9 professionisti italiani su 10 la usano almeno una volta a settimana, 6 su 10 più volte al giorno. Eppure, spesso non sembra non produrre i risultati sperati. È il cosiddetto GenAI Paradox, per cui secondo un recente studio del MIT, il 95% dei progetti pilota in ambito GenAI non porta valore concreto e solo il 5% genera ritorni misurabili.

La ragione sta nel fatto che le attività per cui è oggi maggiormente utilizzata è di livello superficiale: per i professionisti italiani sono soprattutto la ricerca di informazioni (86%), la generazione di opzioni alternative (67%), il riassunto di testi (63%) e la scrittura di email (63%). In larga parte, in Italia la GenAI è ancora considerata uno strumento individuale di produttività, non una leva di trasformazione strategica delle organizzazioni.

Un problema risolvibile con il Platform Thinking, l’approccio con cui le organizzazioni consolidate possono imparare dai modelli delle piattaforme digitali a fare innovazione, che oggi dimostra di aiutare le imprese a utilizzare realmente la GenAI per generare un impatto reale. Il Platform Thinking, infatti, non è solo un metodo per progettare piattaforme digitali, ma un modello mentale che aiuta manager e lavoratori a collaborare con l’AI, trasformando l’interazione da semplice assistenza a innovazione condivisa.

La GenAI non fallisce perché inefficace, ma perché la stiamo usando nel modo sbagliato – afferma Daniel Trabucchi, Direttore dell’Osservatorio Platform Thinking Hub -. Stiamo affrontando una rivoluzione sistemica in grado di ridefinire i legami tra attività e processi, ma spesso riduciamo la GenAI a un correttore di bozze per le email. Trattata come semplice strumento individuale di produttività, questa tecnologia rischia di restare confinata a compiti marginali. Approcciata come leva strategica e di piattaforma, invece, può diventare il motore di una trasformazione radicale e rappresentare una vera e propria infrastruttura di collaborazione. La combinazione di Platform Thinking e GenAI può sbloccare l’innovazione a più livelli: non solo nei prodotti e nei modelli di business, ma in qualsiasi processo di creazione di valore all’interno dell’organizzazione”.

“Con il Platform Thinking le organizzazioni consolidate possono imparare dai modelli delle piattaforme digitali a fare innovazione e con la GenAI – dichiara Tommaso Buganza, Direttore dell’Osservatorio Platform Thinking HUB -. Le nostre sperimentazioni rivelano che può essere usata con successo anche su problemi strategici complessi, soprattutto in team, dove l’efficacia aumenta, in particolare quando il tema è noto e il progetto reale. L’adozione può essere accelerata se i dipendenti sperimentano con knowledge base proprietarie e agenti custom, favorendo la creatività condivisa in ottica di open innovation interna all’organizzazione. In questo modo, la GenAI può diventare una vera e propria infrastruttura di collaborazione: un meccanismo di knowledge management, capace di valorizzare la conoscenza tacita e facilitare l’interazione tra funzioni”.

L’uso individuale dell’AISecondo la survey condotta dallOsservatorio Platform Thinking Hub su 419 professionisti italiani rappresentanti di 162 imprese, emerge che la GenAi è ampiamente diffusa: il 57,5% la usa più volte al giorno, il 10% almeno una al giorno, il 20% più volte a settimana. Ben il 91% degli intervistati la usa almeno una volta a settimana.

Le attività per cui è maggiormente utilizzata la Gen AI è la ricerca di informazioni (85,9%), seguito dalla la generazione di opzioni alternative, il riassunto di testi e la scrittura di email. Gli usi più sofisticati sono poco diffusi: solo il 35% usa la GenAI per riflettere su temi strategici, il 32% simula diversi punti di vista, il 18% usa la GenAI come coach.

Questi numeri sono coerenti con il modello proposto da Elisa Farri e Gabriele Rosani (autori della HBR Guide to Generative AI for managers), che hanno collaborato alla ricerca dell’Osservatorio, e che individuano due approcci diversi all’AI. Il primo, detto “Co-pilot”, è quello di assistente personale, che aiuta a svolgere compiti quotidiani per aumentare l’efficienza, risparmiare tempo e ridurre lo sforzo operativo. Il secondo, detto “Co-Thinking”, è più avanzato: l’AI non solo esegue, ma collabora al pensiero. Aiuta a esplorare alternative, mettere in discussione ipotesi, generare intuizioni e progettare soluzioni. Richiede fiducia e apertura mentale, perché l’AI entra nel processo decisionale e creativo. È pensato per stimolare l’innovazione, non solo per semplificare il lavoro.
Oggi in Italia, l’approccio “Co-pilot” è di gran lunga prevalente, ma è il secondo a mostrarsi più promettente sull’efficacia.

L’uso in team. Solo una piccolissima percentuale dei professionisti usa l’IA in team. Il 52% la utilizza esclusivamente da solo, il 43% solo occasionalmente con un partner o un gruppo. Tuttavia, il 69% degli intervistati afferma che l’IA funziona meglio se utilizzata in team. Inoltre, la governance è debole. La maggioranza delle organizzazioni non offre ancora un vero supporto alla diffusione di GenAI. Il 43% delle imprese non ha alcun piano strutturato o linee guida per la Gen Ai, il 35% ha diffuso solo policy d’uso, il 31% ha definito progetti pilota. Solo il 18% permette ai dipendenti di sperimentare direttamente, ad esempio creando agenti o chatbot. Questo avviene perché i professionisti percepiscono incertezza e caos rispetto a cosa l’organizzazione permetta a loro di fare e desideri sulla GenAI.

Chat GPT vs CoPilot. Tra i diversi modelli di GenAI, a livello individuale ChatGPT domina nettamente: è utilizzato dal 65% dei professionisti, seguito da Microsoft Copilot (39%) e poi Google Gemini (26%), Perplexity (19%), Claude (13%) e Grok (3%). Ma se guardiamo alla diffusione all’interno delle organizzazioni, Microsoft Copilot è il più adottato (quasi 6 aziende su 10). Anche se emerge anche un quarto di dipendenti che si affida a licenze personali, non approvate dall’azienda, con il rischio evidente di dati sensibili che circolano fuori dai confini organizzativi.

Gli utilizzatori dell’AI. La survey dell’Osservatorio ha identificato quattro profili di utilizzo della GenAI. La maggioranza è rappresentata da Early Explorer (65%), che sperimentano liberamente, senza pratiche di sviluppo strutturato. Poi ci sono gli Efficiency Seeker (15%), che utilizzano la GenAI per automatizzare compiti ripetitivi e aumentare la produttività, ma con l’unico di scopo di risparmiare tempo. Gli Effectiveness Seeker (8%), invece, utilizzano la GenAI per migliorare la qualità del lavoro, prendere decisioni migliori e generare impatto. Mentre i GenAI Master (12%) integrano l’AI come partner strategico per co-creare valore.